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Politiche universitarie

Luciano Modica: "Col nuovo dottorato di ricerca daremo spazio ai giovani e al talento"


 
 
01 febbraio 2007
di M.C.
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Il sottosegretario di Stato all'Università e alla Ricerca, Luciano Modica, è stato il relatore principale di un incontro dal titolo "Giovani, talento e nuova università"che si è tenuto a Catania  giovedì 23 novembre 2006 nell'aula magna "Santo Mazzarino" del Complesso dei Benedettini, su invito del dottorato di ricerca in Studi inglesi ed anglo-americani del dipartimento di Filologia moderna, coordinato dalla prof.ssa Maria Vittoria D'Amico. L'incontro è stato organizzato in collaborazione con la Scuola superiore di Catania e le facoltà di Lettere e filosofia e Lingue e letterature straniere, rappresentate rispettivamente dai presidi Enrico Iachello e Nunzio Famoso.

"Giovani, talento, valutazione, ricerca. Sono questi i quattro assi del nostro programma di governo, le azioni che vogliamo impegnarci a realizzare per rendere il sistema universitario nazionale sempre più competitvo". Luciano Modica, ex presidente della Crui ed attuale sottosegretario di Stato all'Università e alla Ricerca nel governo Prodi, ha sintetizzato così le linee guida del proprio mandato come braccio destro del ministro, Fabio Mussi al dicastero di piazzale Kennedy. Un incarico senza dubbio delicato e difficile, a capo di un settore fortemente messo a repentaglio da tagli e ristrettezze economiche della finanziaria 2007: si pensi che il travagliato iter di approvazione del bilancio statale ha dovuto fare i conti, una dopo l'altra, con la minaccia di dimissioni  dello stesso Mussi, con la levata di scudi del premio Nobel Rita Levi Montalcini, senatrice a vita e "mostro sacro" della ricerca italiana, e infine con le proteste da parte di tutto il mondo accademico italiano, rettori in testa.

"Uomo di università, non certamente un politico in senso stretto, per formazione ed esperienza istituzionale" - come il rettore Antonino Recca lo ha presentato -, Modica ha accettato di rispondere al fuoco di fila di domande sul timore per la riduzione dei fondi agli atenei: "Non mi voglio certo sottrarre, ma guardo con fiducia alla versione definitiva della Finanziaria, nella quale abbiamo cercato di recuperare quegli stanziamenti che ci vengono richiesti dalle università italiane e dagli enti di ricerca, pur consapevoli che il Paese tutto è stato chiamato a fare sacrifici per contribuire ad un'operazione di risanamento dei conti pubblici connessa al disavanzo accumulato negli ultimi cinque anni. L'università e la ricerca sono comunque tra i settori meno penalizzati".


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Modica ha quindi ripreso il tema dell'incontro, sottolineando, in prima battuta, che l'università italiana è "tremendamente vecchia, in un Paese anagraficamente sempre più vecchio". "L'ultimo rapporto del Comitato nazionale per la valutazione delle università - ha aggiunto - rileva che l'età media del nostro corpo docente è superiore ai 50 anni, con differenze clamorose rispetto allo stesso dato di Paesi vicini come Spagna e Francia. Ciò significa che il sistema universitario italiano ha letteralmente chiuso le porte ai giovani: e l'età media rimarrebbe alta anche se assumessimo subito 10 mila trentenni, visto che abbiamo già 60 mila ultracinquantenni.

Insomma, conviveremo con questa criticità per molti anni ancora, ma dobbiamo procedere gradualmente ad una forte iniezione di giovani con alta formazione nel mondo accademico. Il nostro obiettivo è quello di farvi accedere 10 mila nuove unità nel corso di questi 5 anni di legislatura: abbiamo cominciato con 2.200 solo nel primo anno, destinati sia agli atenei che agli enti di ricerca, con un peso non trascurabile per le finanze statali. Se manterremo questa media, al termine del nostro mandato saremo riusciti ad andare persino oltre la quota prefissa. Il problema però riguarda anche i meccanismi di gestione delle attività universitarie: ai giovani viene chiesto purtroppo di uniformarsi ai criteri che sono tipici della nostra "gerontocrazia" accademica, comprimendo la voglia e le capacità innovative dei giovani stessi. Ma questo ostacolo richiede un profondo cambiamento culturale che non si può certamente imporre per decreto".

Per quanto riguarda gli aspetti del talento e del merito, il sottosegretario ha riconosciuto che finora la società italiana ha creato delle barriere strutturali che hanno "isolato, compresso, spesso umiliato il talento". "Dobbiamo porci il traguardo di rivalorizzare il merito - ha rilanciato Modica - anche per esaltare le disuguaglianze: vogliamo che chi sa di più, e non semplicemente chi ha di più, occupi le posizioni che gli competono in tutti i settori, perché malauguratamente siamo stati un Paese a forte immobilità sociale. È necessario perciò pensare a nuove regole, più oneste e trasparenti, per il reclutamento dei ricercatori, anche per abbassare la soglia d'ingresso che oggi è in media di 36 anni. Il primo segnale di questa intenzione è colto dall'unica norma ordinamentale contenuta nella finanziaria, cioè l'istituzione di un'agenzia nazionale indipendente di valutazione del sistema universitario. Ogni scelta politica, ogni risorsa investita, la gestione amministrativa degli atenei e persino ogni singolo progetto di ricerca andranno severamente ed opportunamente valutati da questa struttura di esperti, al fine di premiare i buoni risultati e non soltanto le promesse, come avveniva in passato".

Un'idea, anticipata dal sottosegretario, è quella di internazionalizzare i valutatori: "La mia ricetta è quella di sganciare, attraverso un ricorso consapevole ad esperti stranieri, la platea di valutati da coloro che li devono esaminare, per far sì che il talento diventi il criterio unico per le carriere dei docenti o l'assegnazione delle risorse. A mio avviso, ciò può garantire maggior indipendenza e obiettività, e forse contribuirebbe a ridare fiducia nel concetto di valutazione ai tanti giovani che si accostano al mondo universitario. Credo sia un problema con il quale dovremmo confrontarci senza tante paure".

Il quarto filone di intervento concerne la ricerca libera, quella cioè che nasce dalla curiosità e dall'inventiva del singolo ricercatore, che merita - secondo il sottosegretario - "lo stesso diritto di cittadinanza della ricerca applicata". "È proprio il percorso di dottorato di ricerca quello che riunisce tutti questi aspetti - ha affermato Modica - il terreno sul quale possiamo agire più concretamente per far sì che questo corso post-laurea non sia un "parcheggio" temporaneo dei laureati, ma costituisca invece una cerniera reale tra studio e lavoro ed uno strumento efficace per l'ingresso dei giovani nel sistema accademico e per la promozione del talento, della cultura della valutazione e della ricerca libera".

Da qui l'appello che il relatore ha voluto rivolgere ai docenti catanesi che hanno affollato l'aula magna dei Benedettini: "Perché non fate qui, proprio a Catania, l'esperienza di rivoluzionare il dottorato di ricerca? - ha esortato Modica - Provate a cambiare le regole, a studiare dei criteri innovativi: in fondo, nel nostro Paese il dottorato è retto da un solo articolo di legge, il numero 4 della legge 210 del '98; tutto il resto è prassi o inutile paccottiglia normativa, pochissimi sono i vincoli reali da seguire. Per esempio, pochi sanno che l'importo per le borse di dottorato, scandalosamente basso al momento, è fissato dalle stesse università: non esiste infatti un decreto che impone dei limiti dall'alto. O che non c'è traccia alcuna dell'obbligatorietà dell'esame scritto. Le università italiane, allora, possono essere più coraggiose e sperimentare con entusiasmo l'esperienza di costruire il proprio modello dottorale, in nome dell'autonomia e dei propri obiettivi d'ateneo. L'Europa, in questo senso, con l'evoluzione del "processo di Bologna", la dichiarazione di Bergen e i cosiddetti "principi di Salisburgo", può fornire degli utili punti di riferimento per effettuare questa operazione".

Nel decalogo sottoscritto lo scorso anno nella città austriaca dai 45 Paesi che aderiscono alla carta di Bologna, si evidenzia ad esempio che "la componente centrale del processo d'integrazione è l'avanzamento della conoscenza attraverso la ricerca originale", e che "i percorsi post-universitari come il dottorato devono intercettare le necessità di un lavoro più ampio di quello strutturale accademico, guardando alle alte professionalità e alla possibilità di assumere responsabilità in tutti i campi della società"; "negli Usa - ha osservato a questo proposito il sottosegretario - il titolo di Ph.D. è il vero e proprio passaporto per la classe dirigente".

Ancora: "Le università come istituzioni in grado di compiere scelte responsabili di politica educativa e di ricerca, devono mettere in campo progetti di dottorato che siano capaci di esaltare la ricca diversità delle culture delle varie aree geografiche, non ispirandosi a modelli unici statutari ma valorizzando le specificità territoriali e la multi e trans-disciplinarietà dei dottorati, che va sostenuta con finanziamenti mirati". Tra le altre "raccomandazioni" europee, Modica ha voluto citare la necessità di "far crescere la massa critica, attraverso l'istituzione di grandi scuole dottorali nelle maggiori università ed estese collaborazioni internazionali".

È questa è un'emergenza tutta italiana: il numero medio di studenti per ogni corso di dottorato nel nostro Paese è di 5,9, all'estero non vi sono mai meno di 20-30 dottorandi per classe. Ciò trova un emblematico riscontro nella rilevazione Ocse del 2005, secondo cui in Italia soltanto lo 0,5% dei giovani fra i 25 e i 30 anni è impegnato in percorsi di studio post-laurea; la media Ocse è di 1,3%, in Germania il dato arriva al 2%, in Svezia addirittura al 2,8%. Infine, da Salisburgo pongono l'accento sulla figura del supervisore del dottorato, suggerendo - neanche troppo velatamente - di "allentare il legame, attualmente troppo forte, tra lo studente ed il proprio relatore, per lasciare uno spazio maggiore all'inventiva".

"La nuova università sarà quindi tale - ha concluso Modica - solo se avrà al suo interno tanti più giovani, tanta più ricerca libera, valutazione, riconoscimento del talento, e in questo obiettivo dobbiamo sentirci tutti impegnati, anche perché nell'immediato futuro le risorse saranno proporzionali alla voglia reale di riformarsi profondamente. Altrimenti che mestiere sarebbe quello di professore?".