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Didattica

Una formazione umanistica per un nuovo umanesimo

(L'ovvia scelta dell'insegnamento)

 
 
01 febbraio 2007
di Sorbello Cicero
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Appare arduo, quanto evanescente, frangibile, tracciare un quadro sull'ingresso nella scuola in questi anni, per noi diretti interessati, aspiranti professori. Non è scontato avere le carte in regola, bisogna conseguire un diploma di laurea, un'abilitazione, ma anche possedere un quid non del tutto identificabile. Non sembra esserci un percorso definito, difficile ma delineato.

La condizione di precarietà è a noi connaturata, non si può che esserne consapevoli. Il privilegio di percorsi certi e ripetibili non è a noi dato. Tutto, come ovvio che sia, inizia semplicemente con la scelta di un ambito di interesse. La facoltà di Lettere e filosofia, con la sua vocazione alla lettura, consente di crescere tra i libri. Questa dimensione si ama e in essa si vorrebbe crescere sviluppando una sensibilità letteraria, formando una personalità umanistica, magari divenendo a nostra volta portatori di pensiero per altri. Con la presunzione e l'entusiasmo di sentirsi investiti di un ruolo e di una responsabilità.

Così all'indomani della laurea bisogna scegliere una strada del giorno dopo. L'insegnamento è lì a un passo, chimera e prosaica realtà al contempo. Un tempo vi era un concorso spartiacque, con sommersi e salvati. Noi del dopo concorso siamo singole monadi. Oggi più che mai ognuno è figlio del proprio tempo, del proprio singolo anno accademico. La nostra laurea porta una data ben precisa: 2001, gli anni della soluzione Sissis. E Sissis fu.

Allora una "Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento" era un'incognita, oramai si è consapevoli che è la strada maestra per accedere all'insegnamento. Apparentemente il percorso appare lineare, quasi predestinato. Ogni anello prevede il successivo. Ovviamente nulla è così schematico. La Scuola di specializzazione è un primo passo, non così evidente, verso il mondo della scuola e dell'agognato lavoro. La Sissis è una realtà in movimento, poco storicizzata e sedimentata, lo spaesamento e la personale interpretazione sono inevitabili. Nessuno degli specializzandi mette in discussione il valore del tirocinio, anche solo per la curiosità di entrare in aula. Il tirocinio per tutti, docenti e specializzandi, ha assunto un valore predominante, è l'elemento di raccordo tra università e scuola, serve a creare uno status diverso da quello di studente.

Per noi la Sissis è stata una tappa obbligata, non avendo alternative (più o meno chiare) da seguire. Una volta finita , si diventa finalmente un nominativo (fra i nominativi) in graduatoria e si inizia la difficile risalita della lista: ognuno reputa, valuta, soppesa la decisione da prendere al riaprirsi della graduatoria. Noi stesse non ci siamo potute/volute fermare alla semplice abilitazione. Tra le alternative che si prospettavano, continuare la nostra formazione all'interno della Sissis, con il Corso per il sostegno, ci è sembrata la più convincente. Un'opportunità concreta.

Fin dall'inizio questo corso si è profilato come una scelta radicale, apparentemente incoerente ed utilitaristica, in realtà densa di reale impegno fin dall'esperienza del tirocinio, che portava in sé una forte caratterizzazione. Il nostro tirocinio è stato una finestra aperta su una realtà ben precisa: l'area rischio di Librino. Così fin dall'inizio è divenuto un binomio quasi inscindibile sostegno e Librino o meglio sostegno a Librino. Di certo quest'anno di mediazione tra università e un territorio così particolare, ci ha aiutato a scegliere con più consapevolezza, dopo un'esperienza laboratoriale sul campo.

L'istituzione scolastica all'interno di questo contesto ha guadagnato ormai da tempo un ruolo guida, è divenuta un polo attivo di esperienze, attività, collegate e rivolte al territorio, certamente nell'insieme propositiva, per quanto a volte si riduca a semplice ancora di salvezza. Appunto per questo l'insegnamento e a maggior ragione l'insegnamento del sostegno a Librino si è ritagliato una funzione costruita su misura, meno asettica e normativa. A prima vista tutto ciò potrebbe apparire una rinuncia alla propria formazione culturale o un'abnegazione al volontariato, o ancora un ripiegamento a una prosaica quotidianità. Ma senza falsi eroismi o tentativi di mistificazione, per noi ha costituito uno stimolo ad un umanesimo più radicale, ridotto all'osso ma non del tutto scarnificato, non privato della sua peculiarità ed identità.

È divenuto una presa in carico di responsabilità umana e civile, che ha dato un volto, una fisionomia a ciò che è stato un modo di pensare e di studiare. Una metodologia finora letteraria e teorica, che paradossalmente solo a contatto-contrasto con questa quotidianità, si è mutata per noi in radicamento, e ha aggiunto valore restituendo pienezza ad un gusto specificatamente letterario dell'agire.

Per noi è stato elemento di differenza accostarsi all'esperienza del sostegno, se pur con tutte le difficoltà, senza la frustrazione generata dalla rinuncia alle predilette materie, consapevoli che i percorsi non sono rigidamente stabili, ortodossi. È risultato a noi indispensabile essere coscienti che l'insegnamento è creatività, sperimentarsi in un ruolo meno tradizionale. Insegnare qualcosa a qualcuno può voler dire usare i propri strumenti del mestiere come leve per suscitare curiosità, come soluzioni per limitare il disagio.

Per insegnare bisogna aver maturato una motivazione, e forse questa può costituire quell'inafferrabile quid che spinge a non fermarsi di fronte alla frustra quotidianità, e che nel contempo permetta di convivere con l'ansia del continuo cambiamento delle regole del gioco. Una motivazione forte che aiuti a non smarrire la direzione, che permetta di trovare la migliore tra le combinazioni date. Per uscir fuori da una logica poco lungimirante che si riduca alle opportunità del momento, perdendo il senso della continuità della formazione. Una formazione che, se per sua natura deve essere in divenire, in realtà può ridursi ad un affannoso affastellamento di esperienze.

Nella gestione della motivazione, il ruolo del singolo protagonista è centrale ed insostituibile, ma l'università ricopre anch'essa una funzione capitale, soprattutto come Scuola di specializzazione (fase di approdo di una motivazione). Oggi un'università capace di essere comunità di ricerca e di studio, è indispensabile ad alimentare e strutturare una motivazione, affinché si esca fuori da una logica frammentaria, individualistica, emulativa, in cui l'urgenza di decongestionare le situazioni ingestibili sia l'assoluta priorità.

Un'università capace di proposte coraggiose e ufficiali è, non è esagerato dirlo, vitale. Non si è mai troppo "cresciuti" per rinunciare ad interloquire con essa. Forse non basta più il vecchio modello di un'università circoscritta nel tempo, che taglia i ponti con i suoi allievi, riducendosi ad un lontano ricordo. E tutto ciò è un bene.
Agata Sorbello e Gabriella Cicero