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Alle radici delle scienze psichiatriche e psicologiche


 
 
01 febbraio 2007
di Mario Alberghina
malber@unict.it
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A seguito di una mia lezione magistrale di carattere storico, tenuta durante un recente corso di aggiornamento sul tema di grande attualità: Fenomeno depressione, l'emergenza nella nostra civiltà, organizzato in collaborazione con l'Azienda Policlinico dell'Università, mi sono lasciato convincere a far conoscere al pubblico più ampio del Bd'A alcune delle riflessioni nate per quella lettura, rivolta in quella sede principalmente a specialisti.

La psicologia come scienza ha una storia molto recente; poco più lunga è, invece, la storia della psichiatria come scienza medica quale oggi l'intendiamo. Solo nell'ultima decade del Settecento cominciano a formarsi nuove idee terapeutiche per la cura dei malati di mente. Nell'ambito della cultura francese del periodo post-rivoluzionario fino alla restaurazione, la presenza del vecchio chirurgo Jacque-Renè Tenon (1724-1816) all'Hospice de la Salpétrière, di Georges Cabanis (1757-1808) e degli ideologues portò al rinnovamento delle scienze mediche. Philippe Pinel (1755-1826), uno di quel gruppo di intellettuali liberali ed empiristi, condusse lunghe ed accurate osservazioni sugli alienati e sperimentò nuovi trattamenti terapeutici che contribuirono al sorgere della moderna psichiatria. Con la pubblicazione del Traité mèdico-philosophique (1800) ci fu il tentativo di portare la psichiatria fuori dal campo della medicina. Il manicomio, istituzione ricreata su basi più tolleranti e meno reclusorie rispetto a modelli europei settecenteschi da Cabanis e Pinel durante la Rivoluzione, rappresentò l'essenza del progetto medico sulla follia, progetto di cura, rieducazione e guarigione, oltreché progetto politico e sociale di gestione e controllo della follia. Il manicomio di Aversa, istituito sotto Gioacchino Murat nel 1813, e la "Casa dei Matti" fondata dal barone Pisani a Palermo nel 1824, possono essere considerati una testimonianza geograficamente periferica in questa direzione.

Gli studi della fisiologia del sistema nervoso periferico e del cervello da parte di François Magendie (1785-1855) e di Franz J. Gall (1758-1828) in Francia, di Johannes Müller (1801-1858) e di Hermann Helmholtz (1821-1894) in Germania, studi su cui cominciò a fondarsi la psicologia, riportarono la psichiatria nel campo della medicina e suffragarono la conclusione che l'alienato non è un uomo posseduto dal demonio o un peccatore ma un malato di mente, come altri uomini lo erano di organi differenti. Questo atteggiamento nuovo pervase tutta la medicina romantica, e ad esso si associò la trasformazione della psicologia (studio filosofico o empirico dell'anima) da disciplina semplicemente qualitativa in disciplina scientifica quantitativa, prevalentemente sviluppata in ambiente tedesco. Di quegli anni è il mito dell'anatomia patologica tramite la quale si pensava che si potesse accedere alla spiegazione dei fenomeni osservati negli alienati.


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Questa posizione organicistica ebbe il riferimento di letteratura nel Lehrbuch der Pathologie und Therapie der psychischen krankeiten (1845) di Wilhelm Griesinger (1817-1868). Il manicomio rimaneva solo un luogo di possibile cura poiché il concetto di lesione organica localizzata portava in sé anche l'idea di incurabilità.

Il sorgere del positivismo in Francia, che fondava i suoi principi sull'elaborazione razionale dell'esperienza conoscitiva, sull'indagine delle leggi fenomeniche, sulla lotta contro ogni principio metafisico, rimarcò la radice biologica e fisiologica della psicologia individuale (concezione somatica della malattia mentale), strettamente legata alla psicopatologia e alla psichiatria. Particolare influsso esercitarono la neurofisiologia e la frenologia che ebbero il merito di ipotizzare il concetto di molteplicità delle funzioni delle diverse regioni cerebrali. Insieme ad Antoine-Laurent Bayle (1799-1858), si affermava, infatti, che la natura intima dell'alienazione era organico-cerebrale.

I primi laboratori dove cominciò a studiarsi la psicologia sperimentale dei processi normali furono concepiti e diretti da Wilhelm Wundt (1832-1920) a Lipsia, dove si educarono un gran numero di psicologi europei ed americani. In un clima di rinnovamento scientifico positivista ci si rivolse allo studio dei fenomeni mentali attraverso un metodo scientifico che potesse integrare riferimenti molteplici, biologici, psicologici e filosofici. L'insuccesso dell'anatomismo patologico, dovuto al fatto che in moltissime malattie mentali non si riscontravano al tavolo autoptico lesioni organiche, avviò il ritorno all'osservazione clinica, al decorso o valutazione dell'evoluzione temporale delle malattie psichiche sull'onda delle pubblicazioni di Emil Kraepelin (1856-1926). Egli consolidò un primo sistema nosologico che individuava tre categorie principali di malattie mentali: demenza precoce, parafrenia e psicosi maniaco-depressiva, ivi includendo numerosi distrurbi depressivi.

A Parigi il secolo XIX si chiude con lo studio della psicopatologia il cui principale esponente fu Jean-Marie Charcot (1825-1893), un clinico e neuropatologo che avviò l'evoluzione generale del concetto di isteria (debolezza del sistema nervoso centrale) e le ricerche sull'ipnotismo (il sonno ipnotico divenne un mezzo d'indagine psicologica). A cavallo tra Ottocento e Novecento emerge la figura di Pierre Janet (1859-1947). Quest'ultimo estende i concetti induttivisti o positivistici, che pervadono tutte le scienze del periodo anche alla psicologia (osservazione pura del fatto psicopatologico e della sperimentazione su di esso; la malattia determinata dagli stessi meccanismi che regolano la vita psichica normale), attribuisce grande importanza all'intelligenza emozionale ed avvia una svolta teorica nell'epistemologia genetica o evolutiva dei processi cognitivi.

La psichiatria del primo Novecento si evolve tra filosofia e psicoanalisi, in direzioni radicalmente diverse dal passato, inaugurando l'approcio olistico (totalità e accumulazione continua della vita psichica, esperienza del passato, inconscio cerebrale) come categoria della conoscenza biologica della malattia mentale. La riflessione filosofica diventa un punto essenziale nel risolvere la malattia dell'umano. Il distacco dalla medicina e dalle scienze neurobiologiche e dai loro modelli conoscitivi diventa netto. Si ipotizza che il pensiero razionale è una conquista mai definitiva; il mondo dell'infanzia e dell'adolescenza, il ruolo della sessualità, l'insoddisfazione delle aspirazioni libidiche, il conflitto tra pulsione e controllo, tutti temi del pensiero freudiano, diventano componenti scientifiche della visione analitica, su base psicologica, della mente umana. Ma a tanto fiorire di idee ed interessi non corrispose un significativo mutamento nella prassi terapeutica che rimase ancorata all'interno della spazio manicomiale. È del 1904 la legge che istituisce i primi ospedali psichiatrici.

Adolf Mayer (1866-1950), influenzato dalla psicoanalisi, nel 1904 modifica il termine melanconia in quello di depressione e su quest'ultima malattia si concentrano il primo studio psicoanalitico di Karl Abraham (1877-1925) ed il saggio a forte impatto scientifico Lutto e melanconia (1917) di Sigmund Freud (1856-1939).

Il seguito del pensiero psichiatrico e psicoanalitico, la descrizione di quadri clinici sempre più dettagliati ed il salto dalla psicoanalisi alla terapia comportamentale fino all'uso dei farmaci antidepressivi, sono storia recente. Su basi concettuali neurochimiche e neurofarmacologiche (vedi il ruolo dei neurotrasmettitori, cioè molecole semplici che realizzano il linguaggio intercellulare nel sistema neuronale, quali serotonina, noradrenalina, dopamina), a metà del XX secolo comincia ad essere utilizzata la terapia con antidepressivi triciclici, anti-MAO (inibitori degli enzimi monamino-ossidasi), con i sali di litio e gli antidepressivi di seconda generazione (antiserotoninergici).

Su questa affascinante storia prossima, che rappresenta le fronde terminali dell'albero con radici che sopra abbiamo descritto, potremmo eventualmente tornare.