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Ateneo

Presente e futuro dell'Editoria Universitaria

A Firenze un convegno organizzato da FUP e CRUI

 
 
31 ottobre 2007
di Umberto Coscarelli
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Cresce sempre di più, ora anche in Italia, la consapevolezza che il delegare il controllo dell'informazione scientifica al di fuori delle università danneggia la circolazione del sapere. La maggior parte delle università italiane non dispone di iniziative editoriali genuinamente autonome e continua ad appoggiarsi ad editori privati. Alcuni di questi editori, anche se piccoli, hanno raggiunto un notevole prestigio culturale. Ma è il dato generale che deve far riflettere le nostre comunità scientifiche: le università italiane, cioè, hanno finora delegato l'importantissimo compito della diffusione del sapere in esse prodotto esclusivamente all'editoria commerciale.

In realtà anche il quadro internazionale esprime lo stesso andamento: la quasi totalità delle pubblicazioni scientifiche, infatti, è in mano all'editoria commerciale. È una situazione che trae origine dagli anni successivi alla seconda guerra mondiale. In quel periodo - specie negli Stati Uniti, in Europa ed in Giappone - vi fu una grande espansione dell'attività di ricerca nelle università. Di pari passo crebbe in maniera esponenziale la richiesta di pubblicare e di diffondere le pubblicazioni allargando sempre di più i circuiti della diffusione.

A questa domanda fece (e fa) fronte soprattutto l'editoria privata, ma non sempre in maniera adeguata. Ecco, ad esempio, cosa scriveva Nino Recupero nel 2002 sulla situazione italiana: «In Italia l'editoria privata [.] non ha assolto ai compiti di conquista capillare e sistematica di fette di mercato internazionale, né ha assolto ai compiti di affrontare la distribuzione del prodotto. Ha badato, cioè, solo ai propri bilanci e mai agli autori e men che meno alle esigenze della cultura».

In pratica quello che succedeva, e che succede, è che l'università prima paga le attività di ricerca che si svolgono al suo interno, poi affronta costi sempre più elevati per pubblicare presso editori commerciali i risultati di quelle ricerche, infine paga nuovamente i suddetti editori che rivendono le pubblicazioni alle biblioteche e ai dipartimenti delle stesse università che le hanno prodotte.


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Una strada alternativa è stata tracciata dalle University Press. La prima a nascere, nel Seicento, fu la Cambridge University Press. Lo sviluppo successivo fu soprattutto all'interno del mondo anglosassone (Regno Unito, Stati Uniti), poi in Spagna ed America Latina. Attualmente nel mondo se ne contano all'incirca mille, in Italia non più di dieci. Sia pur con caratteristiche diverse, perseguono l'obbiettivo comune di valutare, pubblicare e diffondere autonomamente - con o senza commercializzazione - i risultati della ricerca che si svolge all'interno dell'ateneo di riferimento. Sono dunque strutture associate ad una università o ad una istituzione di ricerca, per la quale svolgono un servizio editoriale specializzato nella pubblicazione di libri e riviste di cui l'università stessa, rappresentata da un comitato scientifico, certifica la validità.

Non c'è dubbio che i costi spesso proibitivi di stampa, stoccaggio e distribuzione delle pubblicazioni, ed anche la difficoltà nel ricreare organizzazione interna e professionalità tipiche di una casa editrice (con conseguente esternizzazione delle varie fasi produttive) hanno quasi sempre penalizzato queste esperienze nei confronti del monopolio dei grandi editori commerciali. Troppo distanti le disponibilità di capitali fra i due mondi, così come troppo consolidata la posizione di privilegio acquisita nel tempo dai privati (spesso per "merito" dello stesso mondo accademico che tende a scegliere l'editore commerciale per motivi di prestigio, visibilità o semplice consuetudine, anziché pubblicare con la University Press del proprio ateneo).

Tuttavia negli anni Novanta, su questa situazione di stallo e di scacco, si è abbattuto un autentico terremoto. L'impatto delle nuove tecnologie dell'informazione sulla comunicazione scientifica ha provocato una vera rivoluzione: nella creazione del sapere, nella sua diffusione, nella maniera stessa di fare ricerca. Non solo nuove tecnologie dell'informazione, ma anche nuove tecnologie per la produzione editoriale: il Desktop Publishing (DTP) per esempio, ma soprattutto la stampa digitale e quindi il print on demand. Tutto questo ha avuto per l'editoria universitaria l'effetto di uno strike, perché ha aperto uno scenario nuovo nel quale il sapere scientifico può essere pubblicato e diffuso direttamente da chi lo produce: università, dipartimento, centro di studi, docente, ricercatore.

La misura dell'impatto dell'editoria elettronica negli atenei italiani si può valutare consultando il Documento del Gruppo di lavoro sull'editoria elettronica della Commissione CRUI delle Biblioteche. Il quadro è dei più variegati: siti web, didattica on-line, riviste elettroniche, eBooks, biblioteche ed archivi digitali. Naturalmente si va dalle iniziative personali ai più o meno grandi progetti "istituzionali" promossi da atenei e dipartimenti. Ma il dato generale è che la circolazione del sapere scientifico, se vi è la volontà di farlo, può oggi abbattere i confini nei quali è stata sempre relegata: un articolo, un saggio, una ricerca, può raggiungere gli specialisti interessati di tutto il mondo senza passare dai difficili (e onerosi) circuiti della distribuzione; una rivista elettronica può presentare molti più contributi di quelli concessi dalla versione cartacea; sulla comunicazione della nuova uscita di un libro ci si può sbizzarrire raggiungendo facilmente l'intero ambito disciplinare di riferimento, senza sperare vanamente nella recensione "giusta"; copie di una pubblicazione che difficilmente (nonostante le promesse degli editori) troveremo nelle librerie - o che vi faranno da "comparsa" per un paio di settimane - sono facilmente reperibili ordinandole on-line; di una pubblicazione si possono stampare tirature calibrate in base alle richieste; i giovani ricercatori, con le loro difficoltà croniche per vedere pubblicate le proprie ricerche, possono con l'editoria elettronica uscire dall'anonimato; stesso discorso per le tesi di dottorato e per le dispense dei corsi.

Le università possono insomma gradualmente riappropriarsi della produzione editoriale, anche in forme autogestite e se si vuole artigianali. Questo processo è già ampiamente avviato. Semmai le difficoltà che già emergono in questo contesto sono quelle della frammentazione, della mancanza di standard condivisi, della garanzia di qualità, della certificazione legale, del referaggio scientifico, delle valutazioni concorsuali, della visibilità internazionale, della libertà di accesso, del confronto con il mercato.


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Indubbiamente le University Press e le altre iniziative di natura simile - pur nella loro breve e dalle alterne fortune esperienza - sono il contesto "naturale" all'interno del quale trovare soluzioni appropriate per queste difficoltà.

Se ne è parlato a Firenze il 12 giugno scorso, in occasione di un Convegno su "Editoria Universitaria tra Ricerca e Mercato", organizzato da Firenze University Press (FUP) e dalla Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI). Lo spunto principale al dibattito è venuto dalle "Raccomandazioni per lo sviluppo dell'editoria elettronica negli Atenei Italiani" predisposte dal relativo gruppo di lavoro della CRUI e presentate al convegno dal Direttore di Firenze University Press Patrizia Cotoneschi.

L'aspetto che è emerso quale elemento fondamentale è quello della piena integrazione delle pubblicazioni elettroniche nella valutazione ufficiale della Ricerca in ambito universitario. Fin quando la valutazione del lavoro svolto negli atenei continuerà ad essere demandato solo a criteri di semplice Impact Factor non potremo parlare di vero cambiamento, cioè di un vero rientro della produzione editoriale all'interno delle università italiane. Si auspica quindi una battaglia politico-strategica in tal senso. Una battaglia a cui necessariamente se ne affianchi un'altra strettamente collegata: quella per l'Open Access, cioè per l'accesso aperto alla fruizione della comunicazione accademico-scientifica. Gli archivi Open Access, che cominciano a comparire anche in Italia, possono essere la risposta al monopolio dei grandi editori commerciali; ma anch'essi hanno bisogno che l'editoria elettronica conquisti pari dignità in termini di valutazione ufficiale.

E poi il grande ed annoso tema del mercato. Le University Press e le altre iniziative di editoria universitaria autonoma devono confrontarsi col mercato come un qualsiasi altro editore? E attraverso quale modello economico? Con quali strategie alternative? Poche, e per la verità deludenti le risposte in tal senso, piuttosto la riproposizione di schieramenti contrapposti derivanti dalla presenza in sala di esperienze e testimonianze diverse.

Infine la presentazione di nuovi progetti pronti a decollare come quello della Casa Editrice dell'Università degli Studi di Trento. Segno che finalmente la strada delle University Press sta per essere percorsa da molte Università Italiane. Per queste, che si trovano ancora in uno stadio embrionale, si prospetta - alla luce del parziale bilancio delle prime esperienze - una grande opportunità: puntare ad un modello che, senza per nulla snaturare la missione di University Press, punti all'alta qualità del proprio servizio editoriale