ATTENZIONE!!!SI STA NAVIGANDO UNA VECCHIA VERSIONE DEL SITO
CLICCARE QUI PER LA VERSIONE ATTUALE DEL BOLLETTINO D'ATENEO
Ricerca

Diario minimo d'archeologia

La Missione dell'Università di Catania a Creta

 
 
31 ottobre 2007
di Dario Palermo
Palermo2.jpg

Anche quest'anno, come succede da più di trenta anni a questa parte, l'inizio dell'estate mi ha portato a Creta.

La grande isola dell'Egeo, insieme alla Sicilia, è infatti al centro dei miei interessi scientifici da quando, nel 1974, fresco di laurea partecipai per la prima volta ai lavori della Missione Archeologica dell'Università di Catania che sotto la guida di Giovanni Rizza aveva da qualche anno ripreso l'esplorazione del sito archeologico della Patela di Priniàs. Il promotore di questa impresa riteneva infatti, che questa antica città cretese, scoperta da una missione archeologica italiana agli inizi del '900, fosse di centrale importanza per lo studio della cosiddetta "età oscura" della Grecia, e cioè del momento della formazione della civiltà greca.

A distanza di quasi quarant'anni, la Missione è attiva e vitale, come ha dimostrato il convegno "Identità culturale, etnicità, processi di trasformazione a Creta fra Dark Age e Arcaismo" che abbiamo organizzato ad Atene lo scorso novembre, e all'Università di Catania, che cura i lavori di Priniàs attraverso il Centro di Archeologia Cretese, si è aggiunto il C.N.R. tramite la sede catanese dell'Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali.  E' inutile nascondersi, però, le grosse difficoltà, di natura soprattutto finanziaria, che ne ostacolano il normale funzionamento e che particolarmente quest'anno si sono fatte sentire. Non è mancato però un concreto intervento finanziario dell'Ateneo, di cui la Missione è grata al Magnifico Rettore, che ha consentito la sistemazione di alcune parti della casa e dei magazzini di lavoro, di proprietà dell'Università; l'aiuto generoso della Facoltà di Scienze della formazione e del Dipartimento di Processi formativi mi ha inoltre permesso di effettuare lo scavo di quest'anno, breve ma ricco di risultati scientifici.


Palermo3.jpg

Da sette anni, infatti, sto esplorando un grande edificio di carattere certamente pubblico (per gli scavi degli anni 2003 e 2005 vedi http://wwwold.unict.it/cac-ct/scavo.htm): si estende per una lunghezza complessiva di circa 25 metri, ed è largo circa 7; si articola in tre vani posti sul medesimo asse, e la sua pianta ricorda indubbiamente quella di un tempio. Nessun elemento finora ci aveva consentito di pensare ad un uso sacro dell'edificio: lo scavo stratigrafico ci aveva però rivelato interessanti dettagli sulla sua storia.

Costruito tra la fine dell'VIII e gli inizi del secolo successivo, infatti, l'edificio sembra aver vissuto almeno per tutto il VII secolo a.C.; nella parte finale di questo secolo, però, vi erano state delle profonde trasformazioni. Da un uso pubblico, esso era passato ad un utilizzo probabilmente di carattere produttivo e artigianale: l'ambiente centrale era stato modificato, realizzando pareti di tramezzo e piani di lavoro, e distruggendo perfino il grande focolare rettangolare che in origine ne occupava il centro. La coincidenza cronologica di queste trasformazioni con la data della costruzione del vicino Tempio A, riccamente adorno di sculture, mi aveva già fatto pensare che questi cambiamenti si fossero verificati in occasione di un momento cruciale della storia della comunità della Patela, probabilmente la prima costituzione di una polis o città organizzata.

Lo scavo di quest'anno si proponeva di mettere in luce l'ultima parte dell'edificio, e cioè il vano più interno, situato all'estremità occidentale e solo in parte esplorato negli anni precedenti.
Già in quel primo scavo vi era stato un dettaglio che mi aveva incuriosito circa la destinazione dell'ambiente: la presenza di una stretta e profonda nicchia, che sul fondo aveva uno spazio lastricato al quale era sovrapposta una spessa lastra quadrangolare, che sembrava essere stata in origine il supporto per qualcosa ormai scomparso, una stele, un tripode o chissà, una statua.
Una sopresa ci attendeva però in questo vano, rinvenuto spoglio di ogni arredo: lungo la parete di fondo, infatti, era collocata una grande struttura trilitica, formata da una spessa lastra di pietra posta in verticale e da due pilastrini rozzamente sbozzati ai due lati di essa; era stata collocata in quel punto al momento della costruzione dell'edificio, e mai più rimossa, a testimoniare che aveva conservato sino alla fine il suo significato.


Palermo4.jpg

Davanti a questo oggetto misterioso, i possibili confronti e le ipotesi si affollano alla mente di chi lo guarda con il febbrile interesse dello scopritore: penso ai betili aniconici della civiltà minoica, al culto del pilastro diffuso nella Creta minoica come nell'Oriente; viene in mente soprattutto il confronto con il "Tripillar Shrine" scoperto dai colleghi archeologi canadesi a Kommòs sulla costa meridionale di Creta, per il quale si è presupposto un legame con la frequentazione del sito da parte di mercanti e navigatori fenici. Ma soprattutto, ritorna alla mente il famoso passo di Pausania in cui afferma che i Greci primitivi adoravano i loro dei sotto l'aspetto di pietre informi: e allora tutto diventa chiaro, capisco che mi trovo di fronte ad un grande simbolo religioso, che per la sua composizione allude certamente alla presenza di una triade divina, forse quella di Apollo, Artemide e Latona.

Si tratta, insomma di una scoperta di notevole rilievo, testimonianza di un aspetto della formazione della religiosità greca arcaica, che non è ancora quella fissata nel pantheon cosiddetto "olimpico" di età classica; che richiederà una attenta valutazione per essere portata alla conoscenza della comunità scientifica internazionale, ma che già sappiamo che aggiunge un significativo tassello alla conoscenza delle vicende storiche e storico-religiose di cui è testimonianza. E mentre l'aereo che mi riporta a Catania sorvola il Mare Egeo scuro per le prime ombre del crepuscolo e spumoso "come il vino dentro il cratere", come esso dovette apparire ai navigatori greci che 2700 anni fa salpavano da queste sponde verso il lontano Occidente, rifletto su come organizzare la pubblicazione di questo importante dato, sulla sede dove darne notizia. Ma soprattutto penso alla frase con cui mi hanno salutato i bravi operai di Priniàs che hanno collaborato allo scavo: tou chrònou, arrivederci all'anno prossimo. Non posso fare altro che augurarmelo.

Credits