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Facoltà

Il positivismo italiano: una questione chiusa?

Un'occasione di confronto per la comunità italiana degli storici della filosofia

 
 
31 ottobre 2007
di Michelangelo Caponetto
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Le quattro giornate del congresso "Il positivismo italiano: una questione chiusa?", tenutosi a Catania dall'11 al 14 settembre, hanno rappresentato un'occasione di confronto per la comunità italiana degli storici della filosofia, la quale si è potuta giovare anche dell'apporto di studiosi provenienti da altre aree disciplinari. La riuscita dell'evento è stata possibile grazie all'impegno di Francesco Coniglione, direttore del Dipartimento di Processi Formativi, e dei docenti di storia della filosofia della Facoltà di Lettere Giuseppe Bentivegna e Giancarlo Magnano San Lio; senza dimenticare il contributo offerto dall'Assessorato Regionale alla Cultura e il patrocinio della Società Filosofica Italiana.

A rispondere alla domanda che ha ispirato il congresso si sono avvicendati alcuni tra i più noti studiosi italiani di storia della filosofia e delle tematiche connesse al rapporto tra filosofia e scienze speciali. Ciò ha permesso un fecondo intreccio di prospettive diverse, ora orientate in maniera maggiore verso la disamina teoretica, ora verso l'indagine storiografica e la riscoperta di protagonisti spesso dimenticati del positivismo italiano e anche siciliano. In tal modo è emersa la possibilità di ritornare a riflettere su un'importante stagione della nostra cultura filosofica che, a cavallo tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, ha fornito un contributo rilevante alla determinazione dei caratteri della nostra identità nazionale.


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È stata messa in luce la presenza nel positivismo italiano di un'attenzione per la conoscenza storica e per la dimensione etico-civile del sapere forse superiore rispetto al contesto europeo; ma al contempo si è sottolineata la debolezza dei nostri positivisti nei riguardi della riflessione metodologica sulla scienza che in quegli anni stava rapidamente trasformando i caratteri della conoscenza scientifica, e di riflesso anche le coordinate della riflessione epistemologica in filosofia. A queste ragioni, quindi, oltre all'influente ostilità del neoidealismo che ben presto sarebbe diventato egemone nella nostra cultura, risalgono le cause di un'eclisse precoce. E nella precocità del tramonto della stagione positivistica si è anche rinvenuto uno dei motivi della mancata fioritura in Italia del progetto di una filosofia scientifica che in Europa avrebbe invece dato vita a risultati duraturi, come la nascita della nuova logica matematica ad opera di Russell e Frege e la formazione del Circolo di Vienna e del movimento neopositivistico.

Collocando il positivismo italiano nel contesto del dibattito internazionale sulla filosofia scientifica è stato pertanto possibile meglio comprendere le linee ispiratrici del movimento. È emerso infatti come il nostro positivismo, sebbene spesso debole sul piano della proposta teorica, si ritrovasse in linea di continuità con la riflessione metateorica dei fautori della filosofia scientifica, i quali, nel resto d'Europa, miravano a un connubio tra risultati scientifici e riflessione filosofica capace di condurre all'elaborazione di una filosofia finalmente rigorosa. Questioni come quelle dell'autonomia metodologica della filosofia, della specificità del suo oggetto d'indagine rispetto a quello delle scienze speciali o della sua subordinazione al ruolo di mera generalizzazione dei risultati delle scienze erano infatti all'ordine del giorno nei dibattiti dei positivisti italiani e nelle pagine dell'organo ufficiale del movimento: la Rivista di filosofia scientifica diretta nel decennio dal 1881 al 1892 da Enrico Morselli.


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La discussione del simposio catanese è stata arricchita dalla partecipazione, in qualità di chairmen, di studiosi di chiara fama quali Giuseppe Giarrizzo e Fulvio Tessitore, nonché dalla tavola rotonda finale presieduta dal presidente nazionale della Società filosofica italiana Stefano Poggi.

La tavola rotonda ha costituito anche l'occasione per trarre le conclusioni delle quattro giornate di riflessione. Si è infatti messo in luce come, lungi dall'essere una questione chiusa, il positivismo italiano abbia lasciato un'eredità importante per la nostra cultura nazionale che si è tradotta in un contributo non solo teorico ma anche sociale e civile, consistente nella rivendicazione della laicità della cultura e nell'apertura verso gli apporti provenienti da campi d'indagine  diversi, come è stato anche testimoniato dalla partecipazione al congresso di docenti di storia del diritto e di studiosi di discipline scientifiche. Un'eredità che potrebbe oggi trovare un nuovo impulso nella proposta, emersa nelle discussioni e nei commenti conclusivi, di una storia della cultura italiana capace di superare gli steccati disciplinari per aprirsi compiutamente verso una dimensione europea: un progetto ambizioso che potrebbe senz'altro beneficiare dell'annunciata pubblicazione degli atti del Congresso.

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