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Lavoro

Il comitato anti-mobbing d'Ateneo

Approvati il regolamento e il codice di condotta

 
 
31 ottobre 2007
di Graziella Priulla
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La storia del lavoro nei moderni sistemi industriali ha visto una progressiva riduzione delle sopraffazioni e della violenza nelle fabbriche e negli uffici, e un aumento parallelo della sensibilità diffusa nei confronti delle condizioni di lavoro e delle garanzie dei lavoratori, dell'aspirazione al benessere e alla democrazia all'interno dei luoghi di lavoro.

I rischi da lavoro sono stati però a lungo confinati nell'ambito esclusivo della salute fisica; è recente l'estensione del concetto all'ambito psicofisico, quindi all'integrità complessiva e alla dignità della persona. E' ancor più recente l'ingresso nel linguaggio del termine mobbing (To mob, "assalire tumultuando", riferito al mondo animale, è l'aggressione del branco contro un esemplare da isolare e da espellere): ne sono stati pionieri gli scandinavi, a partire dagli anni '80; da noi è arrivato più tardi.  Solo da poco tempo si cerca di tutelare contro il mobbing i lavoratori e soprattutto le lavoratrici (molta parte delle molestie è di natura sessuale).

Il tema è complesso e controverso, la sua stessa definizione non è unanime, ma il numero degli studi e delle ricerche che lo riguardano è già considerevole, e sono state elaborate numerose teorie sulle sue cause e sulle sue dinamiche; le controversie giuridiche - relative soprattutto ai parametri di riconoscimento e alla valutazione del danno - non sono poche.

Nel 2006 hanno presentato denuncia per mobbing 12 milioni di lavoratori e lavoratrici nell'Unione Europea (l'8% di tutti gli occupati), 1 milione e mezzo nel nostro paese. Il 70% dei "mobbizzati" italiani lavora nella pubblica amministrazione. Il "numero oscuro", costituito da quanti patiscono situazioni dolorose e umilianti senza avere il coraggio o la possibilità di denunciarle, è ovviamente molto più alto. Con il ricorso diffuso a modalità contrattuali "atipiche" e a forme instabili di lavoro, che acuiscono gli squilibri tra superiori e subordinati e le contraddizioni tra gli stessi lavoratori, oltre che la ricattabilità dei precari, i casi aumentano ancora.

Sono le dimensioni stesse del fenomeno e la loro crescita in un mondo del lavoro profondamente mutato, ad imporre la necessità di una configurazione giuridica generale che superi i limiti dell'attuale, frammentata normativa: il parlamento europeo ha approvato una risoluzione in materia fin dal settembre 2001; le proposte di legge depositate nel nostro parlamento sono molte; alcune regioni hanno già deliberato per conto proprio; esiste ormai una certa prassi giurisprudenziale; entro la contrattazione collettiva del pubblico impiego per il 2002-2005 è stata inserita una regolamentazione atta ad accertare e sanzionare i comportamenti prevaricatori e persecutori esercitati sui luoghi di lavoro. Tutto questo sul versante repressivo, alla ricerca dei rimedi.


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Per difendersi efficacemente dalle manifestazioni di mobbing, ogni comunità di lavoro, in modo più costruttivo, dovrebbe però cercare di rivolgere l'attenzione anche ad un momento precedente l'inizio del conflitto: dovrebbe esercitare cioè azioni preventive, nel quadro di quella "cultura della prevenzione" che è l'antidoto migliore contro ogni rischio. Si può guardare al fenomeno del mobbing non solo come ad una singola vicenda persecutoria, ad un fatto di devianza isolata, ma anche come al risultato di un sistema malato di relazioni, di una serie ripetuta e sedimentata di strategie negative che danneggiano in modo più diretto e più particolare una persona, ma che inquinano l'ambiente complessivo di lavoro compromettendone il benessere e in fondo anche la produttività (i dati che emergono dalle ricerche sono chiari: se l'ambiente è ostile l'assenteismo cresce a dismisura, e calano le capacità degli individui e dei gruppi).

E' un terreno battuto da più parti, anche da molte istituzioni: l'Università di Catania si è inserita in questo "circuito virtuoso" dando vita ad un Comitato paritetico sul fenomeno del mobbing,di cui fanno parte membri nominati dall'Amministrazione e membri nominati dai sindacati, oltre che una rappresentante del Comitato per le Pari Opportunità. Sono già stati eletti il presidente (il prof. Santo Di Nuovo) e la vicepresidente (la dott.ssa Mara Maugeri), ed è stato redatto un Regolamento. Nell'ultima recente seduta, poi, è stato varato il Codice di Condotta, che impegnerà l'intero ateneo. Quando questi documenti saranno stati approvati dai competenti organi accademici (Il "Bollettino d'Ateneo"ne darà opportuna divulgazione), l'attività del Comitato entrerà nel vivo.


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Di che cosa si tratta? Di un monitoraggio permanente e delle procedure - formali e informali - da attivare in caso di ogni singola denuncia, da un lato; dall'altro, delle strategie generali, da mettere in atto per eliminare o almeno ridurre i presupposti del fenomeno: sui piani dell'informazione, della sensibilizzazione, della formazione, ed anche dell'innovazione organizzativa.

Se si riuscirà nel disegno ambizioso, si apriranno interessanti campi d'azione per quanto riguarda l'impulso alla motivazione professionale e al senso di appartenenza, l'attenzione alle dinamiche interpersonali, lo sviluppo delle abilità assertive e delle capacità di gestione dei conflitti, l'analisi dell'efficacia del management. Le ricadute positive di questo piano operativo potrebbero essere molteplici, e incidere sul clima organizzativo (e sulla qualità della vita) nel nostro ateneo anche al di là della fattispecie patologica del mobbing.

E' noto infatti - in linea assai generale - che la consapevolezza e la valorizzazione della componente relazionale e comunicativa del lavoro nei servizi (caratterizzati dalla centralità delle persone) sono punti strategici che orientano in senso davvero innovativo la cultura delle organizzazioni pubbliche.

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