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Università e territorio

Il contemporaneo nell'antico


 
 
01 marzo 2008
di Vincenzo Latina
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"Restauri iblei" è il titolo della mostra inaugurata presso la sede della facoltà di Architettura di Roma Tre l'8 novembre 2007, nell'ambito del Seminario internazionale "Archeologia e Progetto", rimasta aperta fino al 21 dicembre.
Si tratta di una mostra che era stata già allestita nel maggio scorso presso l'aula "Gino Valle" della facoltà di Architettura dello IUAV di Venezia nel quadro del convegno "Progettare l'esistente" e che testimonia dell'attività progettuale e di ricerca di Emanuele Fidone, Vincenzo Latina e Bruno Messina, tutti docenti di "Composizione architettonica ed urbana" presso la facoltà di Architettura dell'università degli Studi di Catania.
Il catalogo della mostra, intitolato "Restauri iblei" e curato da Adriano Cornoldi e Marco Rapposelli, è stato pubblicato nella collana IUAV/Dpa "Nuovo e antico".

I progetti La Corte dei Bottari, Il Giardino di Artemide e Il Padiglione di accesso agli scavi dell'Artemision nascono nell'ambito di un sistema organico di interventi previsti dal piano particolareggiato di Ortigia, redatto da Giuseppe Pagnano. Essi hanno lo scopo di risanare dal degrado gli ambiti più interni di alcuni isolati, di scoprire nelle faglie delle discontinuità del tessuto urbano gli spazi su cui intervenire in continuità con la naturale trasformazione e rigenerazione di Ortigia, sintesi di straordinari eventi millenari sedimentati nel tempo.
Pertanto, quello che a prima vista può sembrare un unicum è in realtà un palinsesto, una sequenza di "fratture" ed "assestamenti" simile ad un "bradisismo". Si è dunque  immaginato il centro storico come un iceberg, di cui affiora in superficie solo la minima parte sospinta da una massa sommersa non immediatamente percepibile. Osservando esclusivamente la parte emersa, risulta difficile comprendere le dimensioni e la complessità delle relazioni operanti nella città consolidata. Pertanto, la necessità di decifrarne la parte "subacquea" s'impone.

La trasformazione della città - e in particolar modo del suo centro storico - ha visto il fronteggiarsi di tendenze contrapposte, espressioni di altrettanti proclami radicali. Restrittivi e conservativi i primi, così detti "religiosi": essi immaginano un univoco approccio ortodosso di vincoli, retorici ed empatici, pervasi da compiacimento storicistico. Opposti, quelli così detti "atei": essi sostengono le prerogative di una radicale innovazione della città attraverso progetti-slogan carichi del furore figurativo proprio di alcune tendenze dell'architettura contemporanea.
I tre interventi proposti cercano, invece, da una parte di compiere una rilettura in chiave contemporanea dei segni visibili e del patrimonio invisibile della città; dall'altra di cogliere alcuni caratteri di identità nella discontinuità e unicità, alla ricerca di un dialogo intenso e penetrante: un "ascolto"  delle persistenze attraverso la dimensione del "silenzio". (a destra: Schizzo della sezione trasversale del padiglione di accesso agli scavi dell'Artemision)


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Secondo Franco Cassano, la condizione contemporanea genera «paura del silenzio, questo horror vacui, la perdita dell'antica maestria nel gestire gli intervalli» (F. Cassano, Il pensiero meridiano, Roma-Bari, Laterza 2005, p. 19).
Una possibile chiave di lettura di tali intervalli può considerare la «realizzazione di un  progetto urbano astratto atemporale per così dire "senza autori"» (V. Latina, Architettura contemporanea e antico a Siracusa, in L. Trigilia, Siracusa antica e moderna. Il Val di Noto nella cultura di viaggio, Roma, Gangemi, 2005, vol. 8, pp. 109-116), che assumerebbe come valore aggiunto il silenzio, «ovvero la ricerca del non altisonante. In architettura uno spazio neutro (non neutrale) riesce a risaltare in altri ambiti particolarmente ricchi e carichi di significati» (ibidem).
Offre, a tal riguardo, una importante riflessione sulla poetica del silenzio Carlos Martí Arís nel suo saggio Silenzi eloquenti: « A volte il silenzio non è che un atto di resa o d'abbandono espresso in forma di sfida ironica. Altre volte, nelle rare occasioni in cui si spinge oltre il linguaggio, il silenzio  diventa il luogo dove nasce l'arte. Il silenzio è dunque una sorta di sorgente nascosta dalla quale possono sgorgare, con naturalità, le acque del significato» (C. Martì Arìs, Silenzi eloquenti, [trad. it. a cura di S. Pierini], Milano, Edizioni Christian Marinotti, 2002).

Il progetto La Corte dei Bottari è, in parte, scaturito dallo studio delle testimonianze visibili dell'ambiente fisico, costituite dalle tracce del passato come i resti topografici antichi, i tessuti urbani, le giaciture, gli edifici, i flessi murari superstiti integrati o incastonati nelle nuove fabbriche. Si è intervenuti all'interno del tessuto urbano di tipo ippodameo, ordinato per strigae.
Tale operazione ha  comportato l'assunzione della topografia archeologica della città come una risorsa, nella quale antico e contemporaneo si fondono pur mantenendo imprescindibilmente valori e aspetti distinti.
In tali circostanze le aree degradate rinvenute sono state piuttosto delle opportunità, dei "tessuti molli", in cui innestare dei progetti dai confini disciplinari labili, miranti all'integrazione, alla demolizione, alla ristrutturazione, all'innovazione o al restauro.

In un contesto così articolato, anche i detriti generalmente destinati al rifiuto sono  stati assunti come "patrimonio materiale". Attraverso le operazioni di spolio di edifici ridotti allo stato di rovina, si è cercato di utilizzarne i detriti come materiale di costruzione della città contemporanea. A tal riguardo scrive difatti Marc Augé: «La storia futura non produrrà rovine. Non ne ha il tempo» (M. Augé, Rovine e macerie. Il senso del tempo, Torino, Bollati Boringhieri, 2004, p. 137). Il mercato globale impone la rapida produzione di edifici a scadenza preordinata, come gli elettrodomestici; la loro demolizione genera solamente rifiuti e scarti di lavorazione riciclati in minima parte, il resto è spazzatura.
Altrettanta attenzione è stata rivolta alle suggestioni scaturite dalle presenze "invisibili" ed evocative dei centri antichi, quello che definiamo "patrimonio immateriale" della città mediterranea. Tale aspetto riguarda le fonti letterarie e storiche, le tradizioni, i riti e, in particolare, il mito, il quale permane nella memoria dei luoghi come sublimazione di eventi umani e naturali. (a sinistra: vista interna della Corte dei Bottari, foto M. Montagna)

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Il Giardino di Artemide, per esempio, è stato immaginato come un'offerta alla dea vergine che, nell'immaginario mitologico, è rappresentata come la protettrice delle belve feroci, dei boschi, delle ninfe e delle partorienti. In inverno il giardino si presenta scarno e asciutto. Le poche piante superstiti presenti nell'area non sono altro che spogli ed esili steli, proiettati verso la plumbea luce invernale. Il recinto perimetrale dell'area diviene così un cretto di acciaio che marca attraverso le sue fenditure a vista il dramma dell'assenza. 
Nella mitologia Artemide è descritta come colei che, vibrante di luce, rappresenta anche la natura nella stagione estiva. Si diceva che Artemide, insieme al fratello Apollo, all'arrivo dell'autunno emigrasse nel paese degli Iperborei per far ritorno l'estate successiva.
Il momento più emozionante e lirico cade in primavera, quando nel giardino la natura si palesa non solo come oggetto di contemplazione, ma anche come materia viva e materiale dell'architettura e in nessuna misura artefatta. 

Il progetto del padiglione di accesso agli scavi dell'Artemision prevede, all'interno di un "vuoto urbano", la realizzazione di un edificio "cavo" che contiene il  percorso sotterraneo per la fruizione dei resti archeologici del tempio di Artemide. (a destra: vista complessiva del giardino di Artemide, foto L. Rubino)

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