ATTENZIONE!!!SI STA NAVIGANDO UNA VECCHIA VERSIONE DEL SITO
CLICCARE QUI PER LA VERSIONE ATTUALE DEL BOLLETTINO D'ATENEO
Politiche universitarie

Tra politica e antipolitica


 
 
01 marzo 2008
di Sebastiano Messina
p 10.jpg

In una fase tormentata e convulsa, spesso indecifrabile, della vita politica del paese, la facoltà di Scienze politiche ha organizzato un ciclo di incontri con esponenti illustri del mondo del giornalismo: lo scopo è quello di fornire ai giovani delle chiavi di lettura e delle conoscenze utili a seguire il percorso delle riforme istituzionali ed elettorali che si preparano.
Il primo incontro - con Sebastiano Messina, laureato presso la facoltà, notista e corsivista de "la Repubblica" - si è svolto il 26 novembre in aula magna, col titolo "Nuovi partiti, movimenti e riforma elettorale tra politica e antipolitica".
Riportiamo qui la sintesi dell'intervento del giornalista.

È finito "il bipolarismo sbagliato" scrive Giovanni Sartori sul "Corriere", sposando la proporzionale alla tedesca. Se lo dice persino il più autorevole dei politologi italiani, forse è vero che la parentesi del maggioritario sta per chiudersi definitivamente. Veltroni e Berlusconi, che per 14 anni ne sono stati i paladini nei due schieramenti (anche se il Cavaliere lo è sempre stato un giorno sì e uno no, a seconda dei suoi calcoli e dei suoi interlocutori), oggi ci dicono che è ora di cambiare: non possiamo - spiegano con gli stessi argomenti, quasi con le stesse parole - restare intrappolati dentro un maggioritario che ci obbliga a subire i ricatti dei partiti bonsai. Così puntano entrambi sul modello tedesco, magari corretto, che è comunque un sistema proporzionale. Come era proporzionale la legge elettorale che avevamo fino al referendum Segni del 18 aprile 1993. L'Italia ha dunque perduto quattordici anni, percorrendo una strada sbagliata? Abbiamo preso tutti un abbaglio, e inseguito un miraggio avvelenato? Forse le cose non stanno così.

Proviamo a ricapitolare. Nel 1992, l'ultima volta in cui si votò con la proporzionale, in Parlamento sedevano tredici partiti: Dc, Pds, Psi, Msi, Lega, Rifondazione, Pri, Pli, Verdi, Psdi, La Rete, Lista Pannella e Autonomisti. Due anni dopo, l'introduzione del maggioritario spinse i partiti ad accorparsi nei collegi uninominali attorno a tre soli simboli (Progressisti, Patto e Polo) ed eliminò d'un colpo sei gruppi parlamentari, lasciandone solo sette: i Progressisti, il Ppi, Forza Italia, An, la Lega, Rifondazione e il Ccd. Dunque il maggiorario produsse un effetto concreto e tangibile: costrinse i piccoli partiti a confluire in gruppi più grandi, o almeno ad aggregarsi, e semplificò drasticamente il panorama politico. (a destra: il pubblico nell'aula magna di Scienze politiche)


p 11.jpg

Eppure quello non era un sistema pienamente maggioritario. Era un ibrido, un incrocio tra maggioritario (75 per cento dei seggi) e proporzionale (25 per cento). Si disse: così ha deciso il popolo. In realtà, i referendari non potevano andare oltre, dovendo ricavare un meccanismo maggioritario cancellando una parola qui e una parola lì della vecchia legge proporzionale. Il Parlamento, certo, avrebbe potuto completare l'opera, e consegnarci un maggioritario puro: l'uninominale secca della Gran Bretagna o il doppio turno della Francia. Però non lo fece. I partiti ci spiegarono che una quota di proporzionale era utile, perché avrebbe reso più dolce la transizione verso la Seconda Repubblica. Le cose però non sono andate affatto così. Nei collegi uninominali il meccanismo maggioritario ha costretto i partiti a coalizzarsi.

Ma intanto, sotto il tetto della quota proporzionale i piccoli partiti si sono riorganizzati, e la spinta alla semplificazione è stata neutralizzata. Nel 1996 i gruppi erano già risaliti a dieci. E alla fine della legislatura successiva (2001-2006) in Parlamento si potevano contare ben 24 partiti, quasi il doppio di quelli che c'erano nel 1992. Una cifra che è aumentata ancora con il famigerato Porcellum, che ha eliminato i collegi uninominali maggioritari: oggi, tra Camera e Senato, sono rappresentati 29 partiti, quattro dei quali da un solo parlamentare. Grazie alla proporzionale. Ora, dal momento che a Palazzo Madama - dove è scattato un singolarissimo premio di maggioranza assegnato regione per regione, che non sta né in cielo né in terra - nonostante il "premio" il governo ha una maggioranza di un solo voto, basta un partito bonsai di due senatori per sfasciare tutto. Da qui, Sartori trae la conclusione che il maggioritario ha fallito, poiché era "un bipolarismo rigido e cementificato" nel quale il povero Prodi "è rimasto imbottigliato". Il rimedio? Il sistema tedesco, cioè il ritorno alla proporzionale.

Del resto, argomenta, "quasi tutti i Paesi europei sono contemporaneamente proporzionalisti e bipolari". Quasi tutti. Con l'eccezione di Francia e Gran Bretagna, dove il maggioritario - misteriosamente - funziona benissimo e sforna sistematicamente delle leadership forti (dalla Thatcher a Blair, da Mitterrand a Sarkozy). Noi invece, arrivati a metà del guado, invece di puntare definitivamente verso il maggioritario torniamo indietro e scegliamo il sistema proporzionale, vera causa delle nostre sciagure. Che Bertinotti, Casini, Mastella e Bossi salutino la svolta, non stupisce. Se questa sarà la conclusione, avranno vinto proprio loro, che dal 1993 sono stati i più tenaci avversari del maggioritario. Se questo tormentato guado ci porterà sulle sponde del Reno, Rifondazione potrà tornarsene a gestire la protesta di piazza (in attesa della rivoluzione che è sempre dietro l'angolo) senza il fastidio di dover governare una società capitalista.

Quanto ai centristi, conosceranno la loro età dell'oro, perché potranno finalmente fare l'ago della bilancia e trattare sia con Berlusconi che con Veltroni, restando sempre e comunque al potere, chiunque sia il vincitore, perché mai nessuno avrà la maggioranza senza di loro. Cosa possono chiedere di più alla vita? Stupisce, invece, il pentimento dei maggioritaristi (da Veltroni a Berlusconi, passando per lo stesso Sartori che fino a ieri ci raccomandava caldamente il doppio turno alla francese). Nel pasticciato ibrido maggioritario-proporzionale che i partiti italiani hanno voluto mantenere, l'elemento proporzionale è sicuramente quello che ha funzionato peggio. È ad esso che dobbiamo i 29 partiti dell'attuale Parlamento. Il maggioritario aveva costretto i due fronti ad allearsi sotto uno stesso simbolo, nei collegi uninominali. Invece ora ne facciamo il capro espiatorio, gli diamo la colpa di aver "cementificato" il bipolarismo e lo togliamo di mezzo, puntando sulla proporzionale. Non solo, ma prendiamo ad esempio non il sistema proporzionale che funziona meglio ma quello che funziona peggio: quello tedesco, che si è inceppato già tre volte costringendo i partiti alla Grosse Koalition.

Dicono Veltroni e Prodi (benedetti da Sartori): dobbiamo farlo, per sottrarci al ricatto dei partitini. La diagnosi è esattissima, ma forse la terapia è quella sbagliata: confonde la medicina con il virus, e la malattia con il rimedio. (a sinistra: Sebastiano Messina nell'aula magna di Scienze politiche)

Credits