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Memoria d'Ateneo

L'eredità catanese di Rosario Romeo

Dal declino del sicilianismo all'ultimo revisionismo

 
 
16 aprile 2007
di Gabriele Licciardi
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Nel numero di marzo del Bd'A, abbiamo pubblicato un articolo del prof. Roberto Tufano che ha rievocato la figura del prof. Rosario Romeo a vent'anni dalla sua scomparsa. Torniamo adesso sull'argomento con un intervento del dott. Gabriele Licciardi, collaboratore alla ricerca della Facoltà di Scienze della formazione, che si sofferma sull'opera del grande storico siciliano dal punto di vista dell'influenza che essa ha determinato sulla storiografia italiana e, in particolare, sugli studiosi delle università dell'Isola.

La prima opera di Rosario Romeo, il Risorgimento in Sicilia, venne data alle stampe nel 1950. Essa segnò l'inizio di una nuova stagione storiografica che si sviluppò parallelamente ad una nuova fase politico-culturale per la Sicilia e per l'intera nazione italiana. Il Risorgimento di Romeo venne costruito attorno alla questione del ritardo «originario» dell'isola rispetto alle altre regioni italiane e rappresenta il manifesto dello sforzo compiuto dalle sue classi dirigenti per recuperare una moderna idea di nazione. Se il giudizio di Romeo sulla nascita del processo di unificazione nazionale sembra  in apparenza rispecchiare quello di Croce riguardo alla frattura creata dal Vespro tra Sicilia ed Europa, vista come causa dell'isolamento siciliano fra tardo medioevo ed età moderna, tuttavia molto acuta è la ricostruzione del dibattito culturale tardo settecentesco che proietta la Sicilia dentro il moto di modernizzazione rappresentato dall'insorgere del nazionalismo. L'esigenza dello storico siciliano coincideva, infatti, con quella di Werner Sombart, la cui lettura gli era stata suggerita da Gioacchino Volpe (suo professore a Scienze Politiche dell'università di Roma): la scoperta di una borghesia isolana come portatrice dell'idea della «modernità». Romeo, invece, non evidenzia tutte le contraddizioni del processo di unificazione nazionale, ma tende dritto al risultato finale poiché tutto il Risorgimento in Sicilia mira alla costruzione di un modello interpretativo integrale, senza sbavature o incrinature metodologiche.

Appare fin troppo evidente che nel Risorgimento in Sicilia le necessità storiografiche del giovane storico siciliano si fondono, in un gioco di specchi, con le esigenze di carattere politico che impongono alla Sicilia un recupero forzato della propria dignità lesa dall'ondata separatista del secondo dopoguerra, per risolvere in maniera definitiva il problema della legittimazione dell'identità isolana nella nazione italiana, minata dal perpetuarsi di una raffigurazione antropologicamente mitica dell'isola, sempre più percepita e studiata come eccezione. A distanza di oltre mezzo secolo è forse opportuno chiedersi in quale misura l'azione di Romeo sia riuscita ad incidere tanto sul piano storiografico quanto su quello culturale.

Subito dopo l'apparizione dell'opera prima di Romeo, la prima storia della Sicilia postunitaria appare però ispirata da una ferrea ideologia «sicilianista»: ci riferiamo ai tre volumi promossi nel 1954 da Enrico La Loggia, e scritti dai docenti palermitani Francesco Brancato, Salvatore Francesco Romano e Giovanni Raffiotta. Anche in quest'opera il messaggio di Romeo pare essere andato a vuoto: il tema centrale ruota intorno ai grandi sacrifici fatti dai siciliani, inequiparabili rispetto ai torti subiti. Poi un'ulteriore forma di «sicilianismo», che ebbe una straordinaria fortuna, provenì dal nucleo espressivo implicito nel romanzo di Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo,che è stato utilizzato per la costruzione di resistenti topoi della rappresentazione della Sicilia come metafora. La frase del giovane Tancredi - "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi"- diventa la raffigurazione metastorica di una terra che continua a rimanere immobile davanti ai cambiamenti epocali che tutto il resto d'Europa viveva e governava.

Ma il pensiero di Rosario Romeo si complica e diventa oggetto di ulteriore discussione proprio a partire dai saggi di storia economica pubblicati fra il 1958 e il 1960 (Risorgimento e capitalismo e Breve storia della grande industria).L'impegno anti-sicilianista di Romeo continuava, dunque, a distanza di un decennio. Una forte testimonianza in tal senso la ritroviamo negli Scritti storici dove  l'autore respinge con forza l'idea di un pensiero storiografico che si basava su un concetto di sviluppo politico-sociale dualistico, finendo per assumere la Sicilia ed il Mezzogiorno come un oggetto di studio obbligatoriamente investito di valenze negative. Così, solo a partire dalla metà degli anni Sessanta, sembra affermarsi il rinnovamento degli studi storici, di cui proprio il nostro ateneo diventa epicentro.

Nel 1963 Giuseppe Giarrizzo, rientrato a Catania da Oxford per insegnare nella nostra facoltà di Lettere, dava alle stampe uno studio di storia locale dal titolo Un Comune rurale della Sicilia etnea (Biancavilla 1810-1860). L'intento dello storico di Riposto, amico dello stesso Romeo, stava nell'applicare su scala locale lo stesso paradigma che un decennio prima Il Risorgimento in Sicilia aveva sviluppato sul palcoscenico regionale. L'arguta analisi economica iniziata da Romeo e continuata da Giarrizzo era funzionale a trovare le risposte di un ceto «democratico» alla crisi demaniale. Giarrizzo trovava così il filo rosso per legare le questioni siciliane a quelle del Risorgimento nazionale e ridare dignità ai democratici isolani.

A sobbarcarsi il peso della rivisitazione strutturale dei canoni storiografici, a partire dagli anni Settanta, valorizzando la continuità di una linea storiografica che da Romeo giunge sino a Giarrizzo, è stata proprio una nuova generazione di studiosi (Barone e Lupo) provenienti dall'ateneo catanese ed allievi dello stesso Giarrizzo e di Gastone Manacorda (docente di Storia contemporanea nella Facoltà di Lettere). Questa nuova generazione, partendo dalle stesse premesse di Romeo e da un eguale spirito anti-sicilianista, ha dibattuto il tema della modernizzazione difficile, un paradigma storiografico che ha fondato la sua capacità di ricerca e di divulgazione su alcuni temi fondamentali: la rivalutazione del monopolio siciliano, in campo agricolo, di alcune materie prime essenziali per tutta l'Europa; lo sblocco del sistema agrario notabiliare all'indomani delle riforme elettorali degli anni Ottanta dell'Ottocento e la centralità di quel riformismo nittiano su cui si è formata la linea di continuità economica fra Ottocento liberale e capitalismo di stato nell'Italia repubblicana.

Così, proprio nell'officina dello Studium Generale, la questione meridionale è finalmente studiata come una questione nazionale, anche se la storia della Sicilia non coincide in toto con quella della nazione. Crediamo che in questo Romeo abbia peccato: tuttavia il tema del Risorgimento come motore della storia di una civiltà era il meccanismo fondamentale della sua costruzione storiografica e del suo modo di agire, come ha notato Roberto Tufano in un suo recente intervento su Romeo ospitato nello scorso numero della "Rivista" del "Bollettino d'Ateneo".