ATTENZIONE!!!SI STA NAVIGANDO UNA VECCHIA VERSIONE DEL SITO
CLICCARE QUI PER LA VERSIONE ATTUALE DEL BOLLETTINO D'ATENEO
Memoria

Rosario Romeo tra Risorgimento italiano e futuro Risorgimento europeo

Ricordo dello storico siciliano a vent'anni dalla morte

 
 
26 marzo 2007
di Roberto Tufano
Risorgimento.png

A vent'anni dalla scomparsa dello storico siciliano Rosario Romeo, l'esame critico della sua opera, dei suoi punti di forza come delle debolezze, del retaggio paradigmatico e della proficua discussione successiva ha raggiunto dei livelli di equilibrio in un giudizio complessivo, oramai sine ira et studio. Così, per quanto riguarda l'eredità siciliana dell'operazione storiografica di Romeo disponiamo ora della valutazione corretta ed efficace di Giuseppe Barone (che, fin dagli anni Settanta, con quel paradigma si è misurato assieme a Lupo, Mangiameli ed altri) in recenti note sulla «difficile modernizzazione» della storia contemporanea siciliana. E il titolo scelto dallo storico modicano per il suo intervento -Sicilianismo, meridionalismo, revisionismo- vuole essere indicativo del percorso segnato dalla cultura isolana tra Otto e Novecento, come del giudizio ultimo sulla vicenda culturale seguita all'apparizione dell'opera prima di Romeo. In quei tre paradigmi storiografici Barone intravede l'intera parabola della cultura storica siciliana, oggi a suo dire incapace di raggiungere l'alto livello analitico del meridionalismo e del suo revisionismo, il cui prodotto finale è stato il volume dedicato alla Sicilia nella Storia d'Italia Einaudi, curato daGiuseppe Giarrizzo e Maurice Aymard.

Il limite delle pagine riservate a questo intervento rende illogico utilizzarle per tracciare di Rosario Romeo un profilo biografico, che sarebbe di necessità sommario, schematico ed incompleto, sicuramente banale, ma invece si presta a ricordare della sua storiografia e della sua biografia alcune delle maggiori linee di tendenza, che ancora oggi suggestionano profondamente il lettore. Linee che incrociano ancora oggi - a distanza di quasi sessant'anni dalla sua prima opera, il Risorgimento in Sicilia - alcuni dei problemi più impegnativi e seri della nostra società, poiché costituiscono un groviglio difficile da dipanare, che si ripercuote sulla visione complessiva del passato e del presente italiano e sulla previsione del futuro.

Il tema centrale di quel suo primo libro sul Risorgimento e sulla Sicilia era rappresentato dalla descrizione di come fosse morta la «nazione siciliana» e di come dalle sue ceneri era nata l'Italia contemporanea, cioè di come il mito della nazione italiana avesse infine preso il sopravvento su quello isolano. Il Risorgimento italiano sarebbe dunque stato l'importante snodo che aveva permesso ai mille rami e rivoli, superficiali o carsici, delle varie storie regionali dell'Italia moderna di confluire nel fiume del processo storico unitario, rendendolo infine pieno e vigoroso. Per Romeo - che aveva all'epoca dell'apparizione del suo volume venticinque anni e sentiva spirare forte il vento del separatismo sull'isola - la cultura dei gruppi dirigenti isolani era tutta impregnata della «tradizionale mentalità cattolica e autoritaria che dominava nella vita etica e nell'attività economica, nei rapporti sociali e nel costume della società siciliana», sicchè quella minoranza rimaneva nell'insieme recalcitrante all'adozione dei principi fondanti della «modernità». La nascita della nazione italiana come momento dell'ingresso dentro la «modernità» rimarrà per tutta la sua esistenza al centro del suo lavoro di storico, di intellettuale e di politico.

Come riconobbe più volte lo stesso Romeo, nelle sue opere sono evidenti gli enormi debiti ch'egli contrasse con la storiografia di Gioacchino Volpe. Dello storico abruzzese, il Nostro ammirava la descrizione possente dei processi attraverso i quali i gruppi sociali, le élite, il popolo, la nazione possono creare e ricreare le loro identità attraverso la presa di coscienza del raggiungimento di determinati obiettivi a garanzia della propria sopravvivenza. La storiografia volpiana - come commenterà nel 1967 lo stesso Romeo sulle pagine del «Corriere della sera» - gli sembrava più di altre «attenta all'urto delle forze sociali e al germinare delle nuove strutture dal suolo profondo dei grandi movimenti collettivi» e, meglio di quella idealistica, capace di guardare da vicino a istituzioni giuridiche e a coglierne lo spirito informatore e il concreto significato nella vita degli uomini, «al di là degli schemi e delle ricostruzioni dei teorici». A questo unico debito storiografico egli dovrà il senso spiccato dei rapporti di forza, dei processi di selezione dei gruppi dominanti, della nascita e morte dei rapporti sociali, dell'ascesa, vita e decadenza delle collettività. E in queste caratteristiche della storiografia volpiana risiederà il successo enorme dello storico Romeo, autore di opere dai «contenuti politici più affascinanti di quelli meramente cognitivi» (G. Busino), nelle quali è possibile ammirare «il realismo in politica e la politica come forza» (sono parole dello stesso Romeo, che così commentava l'unico volume di Federico Chabod che gli piaceva, lo Stato di Milano nell'Impero di Carlo V).


Cavour.png

L'istanza storiografica rivolta ad indagare in profondità la diade nazione/modernità era poi divenuta lo strumento intellettuale che lo avrebbe accompagnato nelle battaglie politiche in qualità di commentatore dei fatti del giorno. Gli articoli degli anni che vanno dal 1966 al 1987 analizzano con un tono crescente di pessimismo la crisi della società italiana, lo snervarsi della tradizione liberale, l'avanzare degli estremismi, tra i quali il peggiore era rappresentato dal terrorismo. Lo stesso strumento intellettuale spinse Romeo, eletto negli anni Ottanta rappresentante italiano nel Parlamento europeo, a vivere quell'esperienza politica progettando un nuovo Risorgimento europeo. Dopo essersi reso conto che la costruzione europea si era realizzata sulla base degli interessi degli Stati-nazione, egli sperava che la classe dirigente italiana e tedesca, i cui fallimentari nazionalismi avevano prodotto il mostro del nazifascismo, fosse in grado di rigenerare il circolo virtuoso tra minoranze illuminate e larghe masse, così com'era accaduto nella vicenda del Risorgimento italiano e tedesco.

Così, il biografo di Cavour, una volta divenuto uomo politico, non riusciva a staccarsi dalle sue creazioni storiografiche né dal suo eroe piemontese e immaginava di riuscire a scuotere le coscienze di quelle classi dirigenti per trovare una risposta «risorgimentista» alla decadenza della società europea. Su questa sua pervicace illusione politica pesava sicuramente l'adesione quasi fideistica al mondo culturale tedesco, la sua ostinata ammirazione per la Kultur contro la Civilisation, la sua fede nell'esistenza di una verità come méta a cui tendere. Le battaglie politiche ed intellettuali dell'ultimo Romeo sembrano dimostrare un esemplare caso d'impegno civile per cui il «dover essere» risulta nella scala dei valori umani e della necessaria azione politica superiore all'«essere». Ma egli aveva calcolato persino il rischio di poter scivolare sulla buccia della «fallacia idealista», così com'era avvenuto alla storiografia piccolotedesca e a quella nazionalsocialista tra le due guerre: «l'una e l'altra consapevoli d'aver subordinato il conoscere all'agire, di aver perduto il senso dei valori universali per una immoderata esaltazione di Stato e Potenza». Ed egli credeva di riuscire a mantenere l'equilibrio grazie alla forza laica di quei principi liberali, cui informava la sua attività storiografica e politica.

A noi rimangono di lui intramontabili pagine sulla nostra comune storia, che agiscono come potente balsamo contro i dubbi del presente italiano.