ATTENZIONE!!!SI STA NAVIGANDO UNA VECCHIA VERSIONE DEL SITO
CLICCARE QUI PER LA VERSIONE ATTUALE DEL BOLLETTINO D'ATENEO
Pari opportunità

Donne, politica e istituzioni

Alla terza edizione il corso della Facoltà di Scienze politiche

 
 
26 marzo 2007
di Rita Palidda
donne e politica 1.jpg

Quando, oltre quattro anni fa, il Dipartimento delle Pari Opportunità decise di utilizzare un fondo CIPE per cofinanziare di corsi di formazione dal titolo Donne, Politica e Istituzioni nelle università delle regioni dell'Obiettivo 1, l'iniziativa sembrò solo un po' diversa dai molti corsi di formazione che nel Mezzogiorno rispondono all'accanimento formativo con cui le giovani donne perseguono da anni traguardi insieme autorealizzativi e di acquisizione di credenziali in più. Rivolti per un terzo a studentesse universitarie e per due terzi a diplomate esterne, i corsi, finalizzati a fornire "le conoscenze necessarie per entrare nelle istituzioni e per partecipare attivamente alla vita politica del Paese", hanno riscosso subito uno straordinario successo, con un numero di domande fino a sei volte superiore, rispetto alle cento allieve previste per ciascuna sede.

Ai 17 corsi attivati nelle università del Sud se ne sono aggiunti nel tempo oltre 30 delle università del Centro-nord, mettendo in moto un'attività di coordinamento nazionale tra le corsiste e tra le coordinatrici (o i coordinatori) che ha avviato collegamenti con le istituzioni e le organizzazioni politiche. Un esercito di oltre cinquemila giovani donne (ma anche meno giovani) per ciascun anno di corso che ha scoperto il piacere di accostarsi alla politica, sia pure da un punto di ingresso teorico, sobbarcandosi la fatica di un corso impegnativo: circa 30 incontri per novanta ore di lezioni, organizzate in sei moduli che analizzano da un'ottica di genere le dimensioni teoriche e storiche della cittadinanza, le istituzioni politich, economiche e sociali, italiane ed europee, il funzionamento delle istituzioni dello Stato, il sistema dei partiti, le dinamiche e tecniche della comunicazione in pubblico. Un impegno e un piacere che è andato oltre l'obiettivo di acquisire i crediti formativi e l'attestato previsto.


donne e politica 2[1].jpg

In realtà, il corso è entrato nel cuore di quello che è oggi il nodo più difficile della parità tra i sessi, vale a dire l'effettivo godimento dei diritti politici, sostanzialmente limitato dalla bassa partecipazione delle donne agli organismi istituzionali. Un deficit che appare contraddittorio rispetto alle conquiste raggiunte dalle donne nel campo dei diritti civili (basti pensare al diritto di famiglia, al principio dell'autodeterminazione femminile in tema di aborto, divorzio, ecc. alla parità formale introdotta in campo lavorativo) o alle conquiste raggiunte nel campo dei diritti sociali, che hanno segnato una massiccia partecipazione femminile al sistema di istruzione e un'avanzata lenta e difficile, ma senza interruzioni, sia nell'accesso al lavoro sia nelle possibilità di carriera.

Questa grande anomalia, che in Italia assume dimensioni particolarmente vistose e poco sensibili al mutamento, ha in realtà radici intricate e lontane:

- da una parte, nella separazione tra sfera pubblica e sfera privata, nella subordinazione gerarchica della seconda alla prima e nell'attribuzione alle donne di una specializzazione nella sfera privata, che le ha escluse dalla sfera pubblica e le ha dotate di diritti deboli;

- dall'altra, nella definizione della cittadinanza come un diritto universale neutro ed astratto che hanegato le differenze di genere e ha attribuito di fatto solo al maschile la titolarità dei diritti/doveri su cui si è basata storicamente la cittadinanza. Fin dalla rivoluzione francese, le donne sono state cittadine senza diritto di parola, cittadine senza cittadinanza. Per loro, la sequenza individuata da Marshall, che distingue cittadinanza civile (che fa riferimento alle libertà personali, di pensiero, parola e fede), cittadinanza politica (elettorato attivo e passivo) e cittadinanza sociale (l'accesso all'istruzione, al lavoro e alle risorse socialmente significative), non solo ha una cadenza diversa, ma vede ancora oggi non poche discontinuità.

Tutto un filone di studi e di riflessioni ha collegato questa difficoltà alla necessità per le donne di conciliare ruoli familiari e ruoli extrafamiliari, che nel caso dell'attività politica sono molto coinvolgenti e scarsamente pianificabili.


donne e politica 3.jpg

In realtà, a queste ragioni, per così dire da offerta, che hanno influito sulla particolare lontananza delle donne italiane dalla politica, se ne possono affiancare altre, imputabili alle culture e alle pratiche discriminatorie messe in atto all'interno delle organizzazioni e delle istituzioni politiche. Là dove i vertici delle organizzazioni sono esclusivamente maschili, l'organizzazione del lavoro e i meccanismi cooptativi tendono costantemente a penalizzare le donne, ad affidare loro solo mansioni che implicano grandi carichi di lavoro e responsabilità, ma poca visibilità e poco potere. E in ogni caso l'effort particolare che è richiesto alle donne sia nella competizione sia nella conciliazione tra ruoli lavorativi e ruoli familiari è esso stesso un indice di discriminazione. Arrivare ai vertici professionali e decisionali per le donne ha un costo fisico, psichico e sociale più elevato che per gli uomini.

 La voglia di ritorno alla politica da parte delle donne sembra essere lo scenario del nuovo millennio: lo dimostra il dibattito politico sulle quote, lo dimostra il grande interesse per l'iniziativa dei Corsi "Donne, Politica e Istituzioni", che probabilmente imboccheranno nei prossimi anni la via di una maggiore istituzionalizzazione e intersecazione con la formazione curricolare.  

I corsi hanno rappresentato per le istituzioni universitarie uno stimolo perché la riflessione e la formazione nell'ambito di saperi disciplinari che riguardano la politica assumano una prospettiva di genere, che in aule universitarie in cui si parla di politica e di politiche, di governo e di leggi, si impari a nominare il sesso di chi fa le leggi, di chi discute di politica, di chi chiede il consenso ai cittadini per rappresentarli tutti, ma senza tenere conto della loro diversità quotidiana di corpi, di problemi, di bisogni e di aspirazioni. Adesso tocca ai partiti e alle istituzioni fare il processo opposto: come inglobare questo patrimonio, come rispondere ad un bisogno di partecipazione che non sottrae risorse, ma ne aggiunge, che permette ai cittadini di differenziarsi sulla base delle idee, dei programmi, dell'intelligenza, dell'onestà, ma non certo su basi ascrittive, quali il sesso o la razza, differenze che la società moderna ha rifiutato come illegittime, facendo dell'uguaglianza dei diritti individuali uno degli elementi fondativi della cittadinanza. La questione della rappresentanza paritaria non è un affare di donne, ma è una questione di donne e uomini, poiché riguarda la natura stessa della democrazia, implica la valorizzazione delle potenzialità e delle differenze sociali, accresce la libertà e la ricchezza disponibile per tutti, donne e uomini.

La grande mobilitazione, largamente spontanea, che coinvolge oggi le donne su obiettivi di partecipazione, sociale, politica e culturale, è il segno che sono maturi i tempi per una concezione più inclusiva e plurale della cittadinanza che si apra anche ad istanze provenienti da altri soggetti che ne sono ancora esclusi.