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Gli "Annali della Fondazione Verga"

Alla riscoperta di Verga e Capuana lungo percorsi inediti

 
 
26 marzo 2007
di Giuseppe Sorbello
giuseppesorbello@gmail.com
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La Fondazione Verga, istituita all'inizio degli anni Ottanta tramite l'interesse congiunto di Università, Comune e Provincia di Catania, e della Società di Storia Patria per la Sicilia orientale, si costituisce come centro di studi letterari sull'opera di Giovanni Verga e sul verismo. Tra tutte le attività che l'istituzione persegue da più di un ventennio, la pubblicazione degli «Annali della Fondazione Verga» è la prova più immediata di un costante impegno rivolto allo studio di questo importante tratto di storia letteraria siciliana e italiana. La rivista si pone come punto di confluenza per l'attività di ricerca di numerosi docenti del nostro ateneo che, con i loro contributi, riscoprono di volta in volta la complessità della stagione verista.

Gli «Annali della Fondazione Verga» sono tuttavia solo il dato più evidente e visibile, nella loro cadenza di pubblicazione, di una fitta serie di iniziative culturali e scientifiche con cui la Fondazione tiene fede ai propri obiettivi, come l'Edizione Nazionale delle Opere di Giovanni Verga, o l'organizzazione di convegni e l'allestimento di volumi di atti, la pubblicazione di studi ed epistolari che ruotano intorno al verismo e ai suoi maggiori protagonisti. Una tale preziosa fonte di ricerche e studi, si è potuta alimentare grazie anche alla dedizione di chi, come il professore Francesco Branciforti, presidente del Consiglio Scientifico della Fondazione, ha elargito in questo impegno la propria passione culturale e la personale esperienza di ricerca.

Che gli «Annali» si pongano in continuità con gli obiettivi della Fondazione, si vede già dal primo articolo, firmato da Matteo Durante, dell'ultimo fascicolo dato alle stampe (numero 18): Ancora su 'Vagabondaggio'. I testimoni superstiti della tradizione. La raccolta di novelle, pubblicata da Verga nel 1887 e riedita da Treves nel 1901, pone infatti, nel suo percorso redazionale, «una storia particolarmente complessa» da attraversare e ricostruire. Durante effettua in questa sede una ricognizione del materiale autografo e a stampa di ogni singola novella della silloge, effettuando una sorta di mappatura che prelude all'edizione critica che Durante stesso sta realizzando per l'Edizione Nazionale della Fondazione.

Gli anni di Vagabondaggio sono anche gli anni della relazione di Verga con Paolina Greppi Lester. E a questa vicenda ci riconduce il secondo articolo degli «Annali», Uno scarabeo per donna Paolina, di Francesco Branciforti. Si tratta di un episodio di biografia verghiana, raccontato con il tono arguto della dissertazione erudita e ironica al tempo stesso. Ci accostiamo al libro dei conti redatto da Verga, con le note delle sue spese affrontate nei periodi di permanenza a Firenze e Milano: appunti che Branciforti, da molti anni a contatto con questo materiale, definisce «le aride pagine dei suoi contes mélanconiques». Si parla del Verga salottiero e galante che, non compromettendo il pragmatismo del galantuomo del Sud, è pur attento e sensibile alla moda e ai monili femminili. Si ricostruiscono così due anonime voci delle agende di Verga, il ragno d'occhio di gatto e un quarzo d'odore, circonfuse di anonimato, «maliziose e sornione» come ci racconta l'autore dell'articolo, che si impegna poi in una decodificazione di questi due oggetti (uno scarabeo e una boccetta di sali), non dimenticando di farli interagire con momenti della carriera letteraria dello scrittore.


L'articolo successivo di Riccardo Cimaglia, La "forma artistica" delle fiabe di Luigi Capuana. Analisi linguistica di 'C'era una volta...', effettua uno studio di tipo linguistico, in cui si cerca di risalire alle costanti di ordine retorico e stilistico che governano una raccolta per così dire "estrinseca", a prima vista, dalle teorie e dalle prove narrative del Capuana verista. C'era una volta..., del 1882, è infatti una raccolta di fiabe, realizzate, sin dall'impianto della cornice narrativa, per un uditorio di fanciulli. In apparenza sembrerebbe un allontanamento dalle istanze veriste formulate proprio in quegli anni, in realtà risente di alcuni echi se pensiamo alle suggestioni favolistiche che circolavano nelle novelle verghiane di Vita dei Campi (come per Rosso Malpelo, o l'infanzia di Jeli). Cimaglia approfondisce, prendendo spunto dalla prefazione della raccolta, una sensibilità dello scrittore al problema del linguaggio da adottare per il genere della fiaba; una ricerca in linea con le direttive del verismo, attento a focalizzare quell'inerenza della lingua alla forma con cui si tentava di ammodernare la prosa narrativa dopo il magistero di Manzoni. Cimaglia individua nei termini «semplice», «efficace», «drammatico» della prefazione, la direzione stilistica della raccolta.

L'ultimo articolo, di Rosalba Galvagno, riguarda invece l'opera più nota di Capuana: La funzione lirica del "delirio" nel 'Marchese di Roccaverdina'; prodotto tardo e maturo della poetica verista, contaminato tuttavia da una serie di elementi culturali eversivi rispetto alle teorie dello stesso Capuana. Il marchese Antonio uccide per gelosia nelle pagine iniziali del romanzo, e la trama narrativa si concentrerà, fino alla fine del libro, sull'evoluzione interiore del protagonista, roso dal rimorso e tuttavia incapace di confessare il delitto, fino a quando questa tensione sfocerà nella pazzia. Nella lettura della Galvagno, la psicologia del protagonista è costruita attraverso una ostinata repressione della soggettività destinata a sfociare nel delirio. Quello che qui Capuana è riuscito a elaborare è la cronaca di una psicopatologia che invade lentamente il protagonista, fino a travolgere i suoi rapporti personali, anche i più intimi; una deriva della coscienza raccontata con i silenzi, le «intermittenze del pensiero», lo sguardo perturbante e insostenibile del Crocifisso; fino alle degenerazioni dell'afasia, della bestemmia e della follia, in un delicato e difficile accordo con la teoria veristica dell'impersonalità.