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Cultura e territorio

Gibellina, la mano e la stella

Al via collaborazione tra l'ateneo e la Fondazione Orestiadi

 
 
26 marzo 2007
di Giuseppe Frazzetto
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Gibellina è un esempio singolare d'analisi e proposta d'un nuovo modello di città, e d'un diverso modo di concepire l'abitare (a fianco: "Stella, ingresso al Belice" di Pietro Consagra). Oggi, la produzione culturale gibellinese trova il suo centro nella Fondazione Orestiadi, con cui l'ateneo probabilmente nei prossimi mesi inizierà una fruttuosa collaborazione. Di questi temi si è dibattuto il 15 febbraio, nell'aula magna del Palazzo centrale, nel corso di un affollato incontro a cui hanno preso parte Ludovico Corrao (presidente della Fondazione Orestiadi), Enzo Fiammetta (direttore del Museo delle Trame Mediterranee di Gibellina), il prof. Luciano Granozzi e il prorettore prof. Antonio Pioletti (nella foto sotto: la locandina del convegno).
La vicenda di Gibellina ha molteplici implicazioni, a cui forse si può alludere richiamandosi al rapporto fra la mano, che produce ed indica, e la stella lontanissima che essa indica: in altri termini, alludendo al rapporto fra qualcosa che ci è vicino ed anzi ci appartiene e qualcosa che viceversa è diverso, lontano, "altro" (Gibellina. La mano e la stella è del resto il titolo d'un mio saggio dedicato appunto al percorso culturale della ricostruzione. Un saggio di cui qui propongo un breve estratto).
Le attività di Gibellina possono essere interpretate come un esempio della tensione verso il rinnovamento che ha caratterizzato la Sicilia. Questo elemento va ricordato, dato che tanti pregiudizi indicano invece la Sicilia come il luogo d'un passato mitico che in sostanza impedisce la comprensione del presente. Ma Gibellina pone questioni di rilevanza assoluta: ad esempio tematizza il problema della città, del rapporto fra tradizione e progetto, fra appartenenza e diversità. Nelle esperienze di Gibellina emerge quindi anche una domanda essenziale sul senso stesso del produrre cultura, intendendo la cultura come momento essenziale della vita, e non come qualcosa di sterile e fine a se stesso.


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La vicenda di Gibellina nuova comincia come reazione alla tragedia del terremoto avvenuto il 15 gennaio 1968 (quasi tutti i paesi della Valle del Belice furono distrutti o gravemente danneggiati; morirono 379 persone, di cui 109 nella sola Gibellina). Si aprì subito un dibattito relativo ai modi ed ai tempi della ricostruzione. Ludovico Corrao, guida politica, sociale e culturale della popolazione gibellinese, riuscì da un lato ad evitare la realizzazione di progetti che la popolazione avvertiva come una violenza (in particolare la cosiddetta "conurbazione", unificazione forzata in una nuova città degli abitanti di Gibellina e di tre altri comuni, Santa Ninfa, Salaparuta e Poggioreale), dall'altro si fece promotore d'una riflessione di respiro internazionale presto divenuta la linea guida della ricostruzione della città. Artisti, architetti, uomini di teatro cominciarono a misurarsi con una problematica nella quale si coglieva, in filigrana, il senso del dibattito complessivo sulla cultura nel corso degli anni Settanta ed Ottanta.
Una peculiarità di quanto è stato realizzato a Gibellina si può indicare nell'attenzione per il significato artistico ed antropologico del produrre. Lo si percepisce nella presenza caratterizzante di sculture collocate nelle strade e nelle piazze. Sculture che non sono e non vogliono essere monumenti: non sono proposte come forme da contemplare, piuttosto appaiono tappe d'una meditazione che allo stesso tempo vuole essere produzione dello spazio civico. Per cui queste sculture (eseguite da grandi artisti fra cui Pietro Consagra, Arnaldo Pomodoro, Fausto Melotti) vogliono farsi spazio, avere luogo, a partire da un luogo e da uno spazio la cui storicizzazione è in atto. Queste sculture del resto si confrontano col grande Cretto di Alberto Burri (nella foto sotto). Realizzato sui ruderi della Gibellina distrutta dal terremoto e dalle ruspe, il Cretto ne replica parzialmente l'assetto viario: colate di cemento hanno inglobato le macerie, organizzandosi in blocchi di misura e forma diseguale, ad altezza d'uomo. Un'opera che si pone con sublime evidenza come sepolcro eternatore di memorie e civiltà, e come testamento individuale di un artista.
Nel corso degli anni Ottanta l'esperienza di Gibellina s'è poi aperta all'architettura di qualità, con un'evidente presa di posizione a favore d'un modello aperto di progettazione della città, nelle sue articolazioni "modulari" su macroscala e scala media, e nelle sintesi dei microinterventi. Vi si materializza il dibattito italiano sull'architettura nel corso degli anni Ottanta, gli anni del cosiddetto postmoderno. E però è un'architettura che tende a smaterializzarsi, a destrutturarsi, a farsi velo, finestra sullo sfondo, monumento e decorazione, urbanistica e spettacolo e slancio poetico e spunto di riflessione. Protagonisti principali degli interventi architettonici ed urbanistici sono Franco Purini, Ludovico Quaroni, Oswald Mathias Ungers, Nanda Vigo, Francesco Venezia, Laura Thermes.

Tuttavia l'esperienza di Gibellina è tendenzialmente policentrica. Dimostrazione di questa disponibilità multidisciplinare è l'attività teatrale che a partire dal 1982 si snoda con una tendenziale istanza di Gesammtkunstwerk,  con sguardo attento alle più significative esperienze internazionali del nuovo teatro ma anche della nuova musica. E va ricordata la trilogia dell'Orestiade di Isgrò; poi, fra gli altri spettacoli, Il ratto di Proserpina di Rosso di San Secondo nell'adattamento di Guido de Monticelli; La creazione del Mondo o La conquista dell'America  di Raul Ruiz; la trilogia Les Atrides di Ariane Mnouchkine; T.S.E. - Come in under the shadow of this red rock di Robert Wilson con musiche di Philip Glass (e certamente è opportuno menzionare anche L'Oresteia di Iannis Xenakis).
Per dare una risposta alle radicali modificazioni che i tempi portano con sé sia sul piano della situazione sociale sia su quello culturale, all'inizio degli anni Novanta Ludovico Corrao crea la "Fondazione Orestiadi". Già la sede della Fondazione è significativa: è il Baglio Di Stefano, antico simbolo del latifondo. Il Baglio appare ora l'Acropoli della "fabbrica civica" gibellinese: una fortezza rifondata, ha scritto Corrao, "per ricostituire proprio in questo Baglio, che era la fortezza del mondo feudale, la fortezza del pensiero contemporaneo radicato nell'antica civiltà del nostro paese". Contrassegno di questa coraggiosa operazione è l'addossamento sulla facciata interna del Baglio della grande Montagna di sale di Mimmo Paladino.
Il nucleo centrale delle iniziative della Fondazione Orestiadi implica la ricerca di testimonianze che diano conto d'un qualcosa che si presenta come ovvio ma che allo stesso tempo è assai sfuggente: l'elemento "mediterraneo", la cui sostanza risulta appunto innegabile e tuttavia irriducibile ai consueti strumenti della ricerca storica. È quindi la ricerca di un "archetipo dinamico", che in fondo si manifesta nel movimento della mano, che col suo lavoro e con la sua creatività si sporge verso l'esterno, fa segno al mondo.


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La Fondazione Orestiadi va quindi seguendo la tracce del mutevole all'interno della memoria. Propone anzitutto il Museo delle Trame Mediterranee, che raccoglie costumi, tessuti, ceramiche e gioielli di popoli di tutta l'area. E della tematica "mediterranea" la Fondazione (che ha anche una sede nella Medina di Tunisi, palazzo Bach Hamba) opera sondaggi sistematici. In varie occasioni si è trattato di convegni (ad esempio Occidente qual è il tuo Oriente? Oriente qual è il tuo Occidente?, nel 2000, con la partecipazione del poeta Adonis) coordinati da una delle principali studiose di letteratura araba, cioè Francesca Corrao. Per quanto riguarda le esposizioni, vanno ricordate la mostra L'Islam in Sicilia: un giardino tra due civiltà prodotta in collaborazione col Ministero degli Affari Esteri Italiano e la Regione Sicilia (proposta dal 2001 a Tunisi, a Il Cairo, ad Amman, a Damasco, a Riad), e la mostra collegata Corrispondenze. Arte e design dalla Sicilia (a Il Cairo, ad Amman, a Damasco, a Beirut). Risulta evidente che la Fondazione Orestiadi si pone come centro di un rinnovato interesse per temi essenziali quali il rapporto fra tradizione e futuro, e fra realismo operativo e slanci utopici.