Quasi un terzo del totale degli iscritti all'università proviene dagli istituti tecnici (il 30,8% nell'anno accademico 2005/6); le caratteristiche culturali, cognitive e, ancor più, metacognitive degli allievi che hanno frequentato un istituto tecnico industriale o commerciale costituiscono pertanto un fattore significativo tra quelli che influiscono sulla qualità dei percorsi formativi universitari. Quelle caratteristiche sono a loro volta il risultato del percorso formativo seguito, in particolare nel quinquennio della scuola media superiore.
L'attuale sistema scolastico (confermato per questo aspetto dall'attuale governo) attribuisce agli istituti tecnici la doppia valenza della terminalità e della propedeuticità agli studi universitari. Il precedente governo aveva previsto la creazione di due nuovi licei (tecnologico ed economico), assegnando al sistema parallelo della Istruzione e Formazione Professionale (IFP) i percorsi della secondaria di secondo grado con un prevalente orientamento verso il mercato del lavoro.
La decisione sul grado di terminalità è stato, a partire dagli anni '60, alla base di tutti i tentativi di riforma della scuola superiore, anzi può spiegarne i ripetuti fallimenti. Il dilemma terminalità versus licealità si pone anche per i licei e per gli istituti professionali: nel primo caso nel senso della prevalente propedeuticità agli studi superiori, nel secondo caso verso sbocchi nel mercato del lavoro. I licei rappresentano tutti insieme circa il 30% della popolazione scolastica della secondaria superiore; gli studenti liceali hanno la più alta probabilità di conseguire il diploma (85%) e di iscriversi all'università, ove costituiscono quasi la metà degli iscritti (47,6%). Gli allievi degli istituti professionali, che rappresentano il 21% della popolazione scolastica, hanno una probabilità del 44,8% di diplomarsi e costituiscono il 6,5% degli studenti universitari.
La doppia valenza (terminalità / propedeuticità agli studi superiori) si presenta soprattutto negli istituti tecnici, che hanno la specificità di costituire nello steso tempo il segmento formativo più aperto alla realtà extrascolastica e alle sue trasformazioni e di conservare un grado di terminalità accettabile dal mondo del lavoro.
Non c'è dubbio che una formazione di base ampia, finalizzata a strategie di costruzione della conoscenza, favorisca successivi apprendimenti, in contesti formali e non. Sarebbe però un errore considerare le lingue morte e la filosofia terreno esclusivo di costruzione di queste competenze. Anche le altre discipline costituiscono territori ricchi di potenzialità in questa direzione: purché gli insegnanti ne esplorino le valenze ai fini dello sviluppo cognitivo degli allievi con uno sguardo alle operazioni e alle attività della mente che la materia mette in moto, all'interno della situazione formativa attuata, le guardino cioè come insiemi di strumenti culturali da utilizzare perché gli allievi possano dare significati a processi ed esperienze e collegare ad essi saperi disciplinari. E non si tratta solo di attività della sfera cognitiva, ma anche di tonalità emotive sempre tessute insieme alle prime (curiosità, interesse, commozione, attesa, turbamento, tensione a sciogliere un enigma e svelare ciò che è nascosto, .).
L'università è interessata a queste considerazioni anche istituzionalmente perché in grado di intervenire sull'intero arco dei processi in gioco, in quanto l'insegnante di elettronica, di inglese o di latino acquisisce al suo interno la maturità culturale; oggi anche quella professionale, con le scuole di specializzazione per l'insegnamento nella secondaria (SSIS). Certo, c'è da tener conto dell'effetto del 'cane che si morde la coda', perché l'università riceve dalla scuola allievi mediamente meno preparati del passato, più grezzi; o meglio, ricchi di immagini e suggestioni ma spesso poveri delle parole, organizzate e coerenti, che costituiscono strutture parallele a quelle del pensiero. Ma da questo effetto si esce solo spezzando - la scuola per la propria parte, l'università per la sua - il circolo vizioso.
Come si è sviluppato il nostro Paese? Un ruolo non secondario è stato giocato da una molteplicità di persone, non esclusi i periti industriali dei diversi indirizzi e i ragionieri usciti dagli istituti commerciali. Migliaia di micro-innovazioni sono state realizzate nei processi e nei prodotti da oscuri non-liceali che avevano avuto il genio quotidiano di intrecciare le conoscenze apprese a scuola con le pratiche del lavoro. La necessità di prendere atto dei cambiamenti sociali ed in particolare delle modifiche avvenute nel mondo delle tecnologie, dell'economia e dei mezzi di comunicazione sta alla base di una stagione di innovazioni nelle forme dell'insegnare, in parte accolti nei curricoli, che non sono nate negli studi degli esperti ministeriali né, purtroppo, nelle aule universitarie.