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Didattica

Ariosto nelle spire della Comunicazione

Orlando-Angelica story in un'aula universitaria

 
 
16 aprile 2007
di Felice Rappazzo
ariosto.jpg

Come raccende il gusto il mutar esca,
così mi par che la mia istoria, quanto
or qua or là più variata sia,
meno a chi l'udirà noiosa fia.

Di molte fila esser bisogno parme
a condur la gran tela ch'io lavoro.
[.]

Ecco, mi dico, cominciamo proprio da qui, da questi versi di Ariosto che leggiamo alle ottave 80-81 del Canto XIII dell'Orlando furioso. Non ha bisogno di molte parole, lo scrittore, per giustificare il suo singolare metodo di lavoro.

Visto che gli studenti che ho di fronte hanno scelto Comunicazione Internazionale, diffidano, per lo più, della letteratura, ma sono costretti a studiarla, perché non utilizzare parte del tempo e dei crediti per una lettura, al tempo stesso, classica e moderna, piacevole e istruttiva proprio sul piano della comunicazione? Certo la letteratura non è mera comunicazione: ma tale funzione è comunque interna alla sua natura. Dunque Ariosto come stratega della narrazione, come imitatore dell'oralità. Leggiamo, tenendo sulla destra il testo dell'Orlando furioso e sulla sinistra il vecchio saggio di Jakobson sulle funzioni della comunicazione, saggio che gli studenti spesso conoscono. Ed ecco che, nel finale del primo canto, c'imbattiamo già nella prima allocuzione all'ascoltatore che comporta un rinvio nella narrazione:

Quel che seguì fra questi duo superbi
Vo' che per l'altro canto si riserbi.

Sono giunto al mio primo tema, e mi accingo al commento: ma vedo i primi sbadigli da fame e capisco che bisogna metter fine al supplizio studentesco: sono quasi trascorse le due ore prescritte. Le funzioni comunicative, il loro valore allusivo e connotativo sono rinviati alla prossima lezione. Angelica è fuggita, i cavalieri cristiani e pagani sono in cerca affannosa e si danno battaglia, ma i cellulari squittiscono e questi amorazzi rinascimentali  avranno compimento solo fra due o tre giorni. La telenovela finto-carolingia può dunque attendere.


mappa di ferrara.jpg

Questa volta ci fronteggiamo di prima mattina: ci guardiamo, studenti e professore, in cagnesco per la levataccia. Dicevamo dunque che qui Ariosto sospende volutamente la narrazione, lancia un segnale al lettore, gli fa capire che allude ai vecchi Cantàri (con l'accento sulla seconda "a", mi raccomando; e con tanto di "n" al centro), ma  che questa allusione è elegantemente ironica: la strategia comunicativa di Ariosto, infatti (rassegnatevi a crederci) mette in discussione il genere "poema" proprio nel momento in cui sembra che questo si realizzi al suo massimo livello e con assoluta pienezza: è dunque un segnale letterario plurimo (una "marca", la diciamo. Potete trovarne conferma - sfogliate il libro a piacere - a ogni finale di canto, vedete?) che è necessario tenere nel debito conto anche quando si affondano i denti nella polpa della narrazione; che rimanda così, quasi sempre, ad una sorta di secondo grado, come ben comprendevano già i lettori suoi contemporanei.
L'avventura amorosa e cavalleresca viene così destituita, in quanto tale, di ogni finalità edificante, e Ariosto allude piuttosto all'errare, all'erranza, all'indeterminazione del senso, al fatto che ogni verità è improponibile. E tutto ciò grazie a un segnale che - voi studenti di comunicazione - saprete ben mettere a frutto, imparando dal testo letterario anche il valore dell'indeterminatezza e dell'obliquità linguistica. Anche uno scrittore moderno come Italo Calvino, del resto, riproponeva Ariosto proprio come emblema della infinita indeterminazione del senso e .

Sono appena le otto e trentacinque, ho spinto a pieno regime per ventotto minuti, qua e là interrotti dall'arrivo dei ritardatari; l'aria si fa pesante, in centoventi coppie di occhi femminili comincia a disfarsi il rimmel. È già l'ora di un primo ritocco, e manca addirittura un'ora e venticinque alla fine ufficiale della lezione: ma la soglia di attenzione è stata ampiamente superata. Rallentiamo. Fingo di cercare, dal testo, qualche risolutivo Esempio che, si sa, in questi casi, può rivelarsi un toccasana. Le ragazze, frattanto, prosit a loro, addentano di nascosto qualche sano panino, preparato dalla mamma, o qualche merendina ipercalorica, alla faccia della temuta cellulite. 

Ecco, ho trovato, seguitemi daccapo: vi mostro quel che forse è il più audace di questi espedienti di interruzione della trama, riguardando proprio Orlando. Se prendete l'ottava 33 del canto XIX, vi troverete Angelica che, incontrato lo sconosciuto e dissanguato Medoro, lo cura e lo ama, infischiandosene dei gran cavalieri cristiani e saracini:

Angelica a Medor la prima rosa
coglier lasciò, non ancor tocca inante:
né persona fu mai sì aventurosa,
ch'in quel giardin potesse por le piante.

Anche questo episodio è presto interrotto, Ariosto lascia i due giovani amanti alle cure del pastore presso il quale hanno trovato ricetto e si accinge a seguire altre avventure. Ma come mai non noto alcun sorrisetto a quei versi, per la loro grazia, dico, non per la malizia, fra tanti volti giovanili? Forse che le ragazze credono davvero che Medoro sia proprio un giardiniere, di quelli che, nelle telenovelas, stanno sempre sullo sfondo delle case dei ricchi, mentre questi fanno merenda, a potare siepi e roseti in qualunque stagione? Perplesso, lascio le mie giovani allieve nella loro indifferenza, per seguire il filo del mio discorso.


rinaldo angelica orlando.jpg

. ebbene quest'azione, pensate, così importante e cruciale nella costruzione narrativa dell'Orlando furioso, viene lasciata in sospeso per ben quattro canti, . sì ecco, circa centocinquanta pagine! Eppure qui c'è la ragione che rende Orlando, da rozzo e poco articolato guerriero, qual è finora, per l'appunto furioso. Dobbiamo attendere fino al canto XXIII, e  lo troviamo accaldato sulla riva di un fiumicello, in un bel prato alberato, a godersi il venticello, quando gli vanno gli occhi su certe scritte incise sui tronchi: un po' come si usa ancor oggi: anche se, a dire il vero, data la crisi delle escursioni, di cuori intrecciati e frecce che li trafiggono se ne vedono di più sulle navi traghetto, alternate ad altre più esplicite decorazioni e scritte, tipiche di chi, la decenza, l'ha lasciata alla locanda. Ma non andate mai in treno?

Angelica e Medor con cento nodi
legati insieme e in cento lochi vede.
Quante lettere son, tanti son chiodi
coi quali Amore il cor gli punge e fiede.
Va col pensier cercando in mille modi
non creder quel ch'al suo dispetto crede:
ch'altra Angelica sia, creder si sforza,
ch'abbia scritto il suo nome in quella scorza.

Non sarà certo un caso che, proprio ad Orlando, tocchi il compito di ridar vita a quei quadri idillici: egli  impiega molto tempo a rendersi conto, ad accettare la verità. Poi si scatena in una furia distruttiva in cui perde - se mai lo ha avuto - il senno. Ma qui noterete come Ariosto metta in pratica la sua poetica dei mille fili, rilanciando a distanza un'azione, costruendo quindi un paradigma comunicativo che lascia incerto, quasi frustrato, il lettore, in vista di .

La collega compare nel vano della porta: chissà se potrò lasciare l'aula un po' prima, per la prova in itinere d'inglese scritto. Detto fatto: gli studenti lasciano in sospeso la strategia della comunicazione di Ariosto. Un altro mondo li attende..