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Cnvsu

Conoscere per governare

La valutazione nell'università italiana e le sue prospettive

 
 
16 aprile 2007
di Alessandro Corbino
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Questo articolo intende richiamare l'attenzione dei colleghi Docenti sulla situazione della valutazione e sulle sue prospettive, ricordando qual'è, allo stato, la posizione del nostro ateneo rispetto ad alcuni degli indicatori più rilevanti.

Secondo le indicazioni più volte manifestate di recente dal ministro dell'Università e della Ricerca, onorevole Fabio Mussi si prepara una importante svolta. La costituzione dell'Agenzia di valutazione (Anvur) - che assorbirà le competenze che sono state del Cnvsu e del Civr - comporterà il passaggio verso una politica di distribuzione delle risorse legate ai risultati assai più di quanto non sia finora stato.

Sembrerebbe alle porte, insomma, la fine della fase di transizione avviatasi con la preparazione prima, e l'attuazione poi, della riforma degli ordinamenti didattici e nella quale la politica della valutazione è stata segnata dall'atteggiamento di accompagnamento svolto dal Cnvsu e prima ancora dall'Osservatorio sulla valutazione.

In questi anni, l'attività del Comitato nazionale sulla valutazione è stata in effetti rivolta, più che a giudicare le politiche degli atenei, a porre le premesse per un esercizio corretto della valutazione.

È stato perciò innanzitutto costruito e sempre più implementato un sistema informativo (che è oggi forse il più avanzato in Europa) in grado di sostenere le decisioni politiche ad ogni livello centrale e periferico ed è stata perseguita un'azione di promozione della cultura della valutazione, anche incoraggiando la costituzione e poi anche il rafforzamento dei nuclei locali, con il loro coinvolgimento nella raccolta delle informazioni e, più in generale, nelle politiche del comitato.

Sono stati inoltre elaborati una serie di modelli attraverso i quali orientare l'azione degli atenei, da molteplici punti di vista (riequilibrio, requisiti minimi per l'attivazione dei corsi, valutazioni istituzionali, ripartizione del Ffo, rilevazione delle opinioni degli studenti) ed è stata favorita una politica di coinvolgimento delle istituzioni nel processo di trasformazione dell'università.

Se si considerano il relativamente breve lasso di tempo intercorso da quando la valutazione ha mosso in Italia i primi passi (1996) e la complessità del processo di cambiamento che ha investito l'università italiana dal 1999, deve osservarsi che molto è stato sicuramente fatto. Vi è oggi nei nostri atenei una consapevolezza della dimensione dei problemi da affrontare e una coscienza della importanza della valutazione come strumento per la gestione di processi complessi decisamente incoraggianti, se si confronta la situazione con quanto poteva osservarsi solo cinque o sei anni fa. Senza questa crescita "culturale", la svolta che oggi si prepara non sarebbe stata nemmeno pensabile.

Personalmente mi auguro che essa possa essere realizzata con la prudente moderazione necessaria, se non si vuole che le ancora gravi disomogeneità dei contesti avviino non già - com'è certamente nelle intenzioni - un processo "virtuoso", ma solo la costruzione di un inesorabile sistema gerarchico tra le università, nel quale le eccellenze divengano possibili solo dove non le risorse intellettuali ed umane, ma i contesti, lo consentano, con conseguente marginalizzazione delle università in vario senso "periferico".

Il rischio che intravedo - se il processo non è governato da gradualità e da tempi medio-lunghi (quali una materia come la formazione avanzata imporrebbe di accettare) - è una significativa regressione delle funzione di promozione ed emancipazione dei territori che l'università ha sempre avuto, e in nome della quale sono stati oltretutto, nell'ultimo trentennio del secolo scorso, sconvolti l'assetto preesistente e incoraggiata una diffusione territoriale dell'università che ha portato, in breve volgere di anni, a contare ormai quasi 300 insediamenti universitari nel nostro Paese.

Non vorrei si dimenticasse che la distribuzione delle risorse in funzione delle necessità legate ad una politica di qualità (possibile in quadro che vedeva presenti nel Paese un numero ristretto di sedi), consentiva una volta (fino agli anni '60) anche alle università "periferiche" sia di competere con quelle insediate in territori più forti (alimentando una circolazione del sapere su base nazionale estremamente fruttuosa), sia di svolgere una fortissima funzione di promozione sociale e culturale nei contesti che le vedevano presenti.  

Comprendo, naturalmente, che ciò era reso possibile dal fatto che la selezione si compiva prima e in funzione dell'università e dunque a costi sociali di non secondario rilievo. Ma il rovesciamento dell'ottica politica e l'affermarsi di una università aperta a tutti (e dunque: esplosa nei numeri degli iscritti e delle sedi; e nella quale dunque la selezione comincia e non più si conclude) non può essere in sé un valore. Deve essere anch'essa uno strumento: deve dunque rispondere ad obbiettivi di governo. Che in quanto molto più complessi di una volta esigono risposte all'altezza di questa complessità e non improvvisate o impazienti.

La scelta comunque è stata fatta. Con l'Anvur conteranno di più i risultati. Ed ecco perché, in questo numero del Bollettino d'Ateneo telematico, ho pensato di mettere a disposizione di tutta la comunità universitaria catanese alcuni dati relativi al posizionamento della nostra università e delle nostra facoltà in relazione ai principali indicatori ai quali è presumibile che si ispireranno le valutazioni future.

Conoscere la realtà è, per altro, l'indispensabile premessa ad ogni governo della stessa.