ATTENZIONE!!!SI STA NAVIGANDO UNA VECCHIA VERSIONE DEL SITO
CLICCARE QUI PER LA VERSIONE ATTUALE DEL BOLLETTINO D'ATENEO
AD AUGENDUM, FIRMANDUM, ET EXORNANDUM SICULORUM GYMNASIUM, CATINÆ IN URBE CLARISSIMA, VETUSTA BONARUM ARTIUM SEDE
Studenti

Il vantaggio di laurearsi

Indagine tra formazione universitaria e mercato del lavoro

 
 
16 aprile 2007
di Simona Rizzari
alma laurea.jpg

La recente indagine sulla condizione occupazionale dei laureati italiani, promossa dal consorzio interuniversitario AlmaLaurea, getta numerose ombre sul rapporto tra formazione universitaria e mercato del lavoro nel nostro Paese. A dispetto dei segnali di ripresa economica degli ultimi mesi, infatti, le caratteristiche e le modalità di ingresso nel mondo dell'occupazione da parte dei giovani laureati delineano un quadro di preoccupazione crescente e inducono le università ad interrogarsi sulla qualità della formazione impartita e sulle eventuali modifiche da apportare alla stessa, anche alla luce degli obiettivi di Lisbona e del concomitante Processo di Bologna, nell'ottica di una dimensione europea della formazione universitaria.

L'Italia è il paese europeo con i tassi più bassi di laureati rispetto alla popolazione (solo la Turchia sta peggio) e il maggior numero di laureati disoccupati (insieme a lei soltanto l'Austria e la Spagna). A tutto questo occorre aggiungere l'elevato numero di abbandoni universitari nel primo anno di frequenza e la persistente defezione dalle facoltà scientifiche, fattori che evidenziano sempre più la necessità di un maggiore investimento nella formazione e nella ricerca e di una diversa manutenzione della riforma universitaria in corso, che, contrariamente alle previsioni iniziali, si è tradotta finora in un ritardato ingresso dei laureati nel mercato del lavoro.

I dati che emergono dalla presentazione del IX Rapporto AlmaLaurea 2006 al Convegno Dall'università al lavoro in Italia e in Europa, tenutosi a Bologna il 3 e il 4 aprile 2007 sono fin troppo chiari in tal senso: scende il tasso di occupazione - anche a 3 o 5 anni dalla laurea - e aumenta parallelamente il numero di coloro che cercano occupazione; si allargano le differenze di genere a favore degli uomini in tutti i corsi di laurea; non accenna a diminuire il divario tra il nord e il sud del paese; si riduce il reddito e, soprattutto, il potere d'acquisto dei laureati. Dati, questi ultimi, ancor più significativi se riferiti agli atenei del sud.

Nello specifico dell'ateneo catanese, ad un anno dal conseguimento del titolo, lavora il 43,1% circa dei laureati pre-riforma, contro il 53,1% di media a livello nazionale ma con quasi 3 punti in più in percentuale rispetto alla precedente rilevazione. Per i laureati del nuovo ordinamento, sempre ad un anno dalla laurea, il tasso di occupazione scende al 13% (la media nazionale è del 27%), come era facile attendersi in virtù del fatto che una buona percentuale dei laureati continua la propria formazione con l'iscrizione alla laurea specialistica. I laureati che trovano più facilmente occupazione, in linea con le rilevazioni nazionali, sono quelli del gruppo ingegneristico e farmaceutico; quelli che impiegano più tempo, in relazione ai lunghi anni di tirocinio e praticantato, quelli del gruppo medico e giuridico. A cinque anni dalla laurea è occupato più del 75% dei laureati, di contro all'87% della media nazionale.

Sono dati su cui riflettere, che testimoniano, se ancora ce ne fosse bisogno, della sperequazione economica esistente all'interno del Paese; una sperequazione resa ancor più drammatica dalla stanzialità e dalla mancata mobilità dei laureati nel territorio nazionale.


laureati preriforma.jpg

Il dato che più di tutti colpisce, però, della rilevazione di AlmaLaurea è quello relativo alla tipologia dell'attività lavorativa prevalente tra i laureati: diminuisce in modo consistente il lavoro stabile e aumenta il lavoro atipico (contratti a tempo determinato, a progetto, ecc.), in particolar modo nel settore pubblico. Una discontinuità/precarietà lavorativa che ha portato il Ministro del Lavoro, Cesare Damiano - presente al convegno di Bologna - ad asserire la necessità di attuare nel più breve tempo possibile delle politiche di "stabilizzazione del lavoro", affinché la "flessibilità costituisca una condizione di passaggio e non di stabilità del ciclo di vita".

A monte del problema rimane la necessità di un punto di incontro tra la domanda e l'offerta nel mercato del lavoro e questo può esservi solo laddove si ponga fine all'autoreferenzialità che sovente ha caratterizzato in passato e ancora oggi caratterizza le università e le imprese. La formazione universitaria deve puntare alla qualità e allo sviluppo del capitale umano, evitando però di incorrere nell'eccessiva frammentazione dei corsi di studio e facendo leva sull'acquisizione di quelle competenze - alfabetizzazione linguistica e informatica ma ancor più flessibilità e adattamento al cambiamento - che il mondo del lavoro primariamente richiede.

In quest'ottica andrebbe rivista anche l'organizzazione dei master universitari e dei periodi di studio all'estero i quali, pur costituendo in teoria un valore aggiunto alla formazione dei laureati, nella pratica ben poco valore assumono nel mercato del lavoro in termini di maggiore occupazione e di migliori condizioni occupazionali.


laureati_Pagina_1.jpg

Tutto ciò costituisce una conferma del fatto che vi è una carenza di richiesta di lavoro qualificato nel nostro Paese, spesso a causa di una scarsa conoscenza da parte delle imprese stesse delle reali competenze possedute dai laureati, il più delle volte sottoutilizzate. Occorre, dunque, muoversi verso una maggiore conoscenza delle risorse umane prodotte dall'università e, al tempo stesso, verso una "europeizzazione" della formazione universitaria. Obiettivi, questi, condivisi, in larga misura, dal consorzio Almalaurea che - attraverso il progetto EuroAlmalaurea (Eal-Net) di costituzione di un data-base dei laureati "integrato, transnazionale e multilingue" - intende promuovere una più facile transizione al lavoro, una maggiore estensione delle relazioni tra le università e le imprese e una valorizzazione dell'intero sistema universitario, favorendo l'occupabilità dei giovani cittadini europei e la competitività internazionale del sistema europeo di istruzione superiore.

Come ha giustamente sostenuto il direttore di AlmaLaurea, Andrea Cammelli, d'altronde, i giovani, rappresentano in Italia il 30% della popolazione complessiva e su di essi è necessario investire per poter sperare in una reale crescita economica del Paese, non dimenticando che, come l'evidenza empirica e gli studi economici dimostrano, proprio la laurea costituisce un indicatore significativo del livello di sviluppo di una nazione. Ed è un dato di fatto anche che i giovani laureati, rispetto ai propri coetanei non laureati, siano in una condizione di vantaggio in termini occupazionali: si impiegano prima e meglio. Laurearsi conviene ancora, nonostante tutto.