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Trasporti, ambiente e cambiamenti climatici


 
 
30 marzo 2009
di Angelo Messina
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ll clima terrestre, nel corso degli ultimi 500 mila anni, è stato caratterizzato da cicli nei quali si sono alternati periodi relativamente freddi (glaciali), ciascuno della durata di circa 100.000 anni, a brevi periodi più caldi (interglaciali) di durata minore, più o meno 10 mila anni ciascuno.

Gli scienziati coinvolti nel progetto EPICA (European Project for Ice Coring in Antartica), attraverso lo studio delle stratificazioni delle nevicate degli ultimi 740-800 mila anni riscontrate nella carota di ghiaccio estratta in Antartide alla profondità di oltre 3200 metri sotto il livello del mare, confermano lo stretto legame tra clima e variazioni delle concentrazioni dei gas-serra;  inoltre, rilevano che il nostro periodo interglaciale è potenzialmente analogo, per gli sviluppi naturali futuri, a quello di 400.000 anni fa, durato circa 28.000 anni. Da questo punto di vista appare molto probabile che per alcune migliaia di anni il clima sulla Terra non dovrebbe cambiare.

A queste considerazioni hanno fatto principalmente riferimento quanti hanno sinora rifiutato un pesante concorso delle attività antropiche al riscaldamento globale.
Tuttavia, nell'aprile del 2007 il quarto rapporto dell'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), il pannello di scienziati creato dalla comunità degli Stati per monitorare il fenomeno dei cambiamenti climatici, sembra porre fine ad anni di contrapposizioni, incertezze ed anche pressioni politiche ed economiche; non sembrano esserci più dubbi: il riscaldamento globale è in atto ed è imputabile (90% di probabilità) all'influsso decisivo delle attività umane, in particolare a quello derivante dalla crescita delle emissioni di gas-serra.

Il quarto rapporto dell'IPCC, che non dimentichiamo, assieme ad Al Gore,  è Premio Nobel 2007 per la pace per l'impegno profuso nella costruzione e nella divulgazione di una maggiore conoscenza sui cambiamenti climatici antropogenici, e nel porre le basi per le misure che sono necessarie per contrastarli, conferma sostanzialmente le stime del terzo rapporto (2001), prefigurando con maggiore certezza scientifica gli impatti dei futuri cambiamenti climatici in relazione alle proiezioni di aumento di temperatura media globale che si alzerà tra 1,8 e 4 gradi entro la fine del secolo.


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E' importante ricordare che i rapporti dei gruppi di lavoro dell'IPCC (WGI e WGII) indicano esplicitamente una elevata vulnerabilità dell'area mediterranea rispetto ai cambiamenti climatici nelle proiezioni future di temperatura media atmosferica superficiale, precipitazione media e run-off annuale. In particolare, le principali vulnerabilità dell'area mediterranea prefigurano chiaramente i seguenti scenari:

- ridotta disponibilità di acqua (aumento di water stress);
- aumento dei fenomeni di siccità, con conseguente allargamento delle aree interessate dai processi di desertificazione;
- gravi perdite di biodiversità, specialmente nelle zone umide costiere e nelle Alpi;
- aumento del processo di salinizzazione e di eutrofizzazione delle acque costiere;
- ridotta disponibilità di aree per la coltivazione, aumento della domanda di energia in estate, ridotta energia idroelettrica.

Le proiezioni climatiche relative agli impatti sulla salute lasciano prevedere uno scenario drammatico; in particolare si prospettano una maggiore diffusione di malattie come la malaria (nel 2080 dai 260 ai 320 milioni di persone che oggi vivono in aree non a rischio saranno esposte a questa malattia), un aumento di mortalità a causa di eventi più estremi come onde di calore, alluvioni, tempeste e siccità e della frequenza delle malattie cardio-respiratorie a causa dell'aumento delle concentrazioni di ozono troposferico a livello superficiale.


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Alla luce di questi preoccupanti scenari, è indubbio che occorre urgentemente intervenire per ridurre drasticamente le emissioni dei gas-serra derivanti dalle attività umane, tra cui svolgono un ruolo significativo quelle legate alla mobilità di persone e di merci.

Infatti, in tutta l'area euromediterranea, particolarmente significativa è l'emissione di gas-serra derivante dai trasporti; un quarto delle emissioni comunitarie proviene proprio dai mezzi di trasporto e la cifra potrebbe raggiungere il 30% entro il 2030. Va notato che, nonostante tra il 1990 e il 2004 le emissioni totali sìano state ridotte di circa il 5%, le emissioni di anidride carbonica (CO2) imputabili ai trasporti (esclusi il trasporto navale e aereo) nei 32 paesi SEE (Spazio Economico Europeo) sono aumentate del 27%.

Nello specifico:
- le automobili e i camion generano il 19% circa delle emissioni annuali di CO2 dell'Europa;
- nell'Unione Europea l'uso dell'automobile è aumentato del 18% tra il 1995 e il 2004 e rappresenta il 74% del trasporto passeggeri.

Da parte sua, l'Italia contribuisce per circa il 2% alle emissioni mondiali di anidride carbonica; i settori che incidono maggiormente sulle emissioni nazionali di gas-serra sono quello per la produzione di energia elettrica (24% circa) e quello dei trasporti, con poco più del 20%.

Questi dati richiedono con tempestività da una parte la necessità dello sviluppo di programmi di mobilità sostenibile e dall'altra la crescita tra i cittadini della consapevolezza degli effetti delle loro scelte di trasporto sulla qualità dell'ambiente.

Occorre tenere presente che, anche se la crescita delle concentrazioni dei gas-serra nell'atmosfera sarà bloccata durante questo secolo, i cambiamenti climatici e l'innalzamento del livello del mare determinati dalle passate, attuali e future attività umane continueranno per secoli. Tuttavia, pronte misure di mitigazione dei cambiamenti climatici ridurrebbero o ritarderebbero molti impatti, in particolare quelli che potrebbero avvenire dopo il 2020.