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Memoria d'Ateneo

La scienza «sistematica» di Salvatore Scuderi


 
 
30 marzo 2009
di Pina Travagliante
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Nell'anno accademico 1808-09, con la designazione di Salvatore Scuderi a professore cattedratico presso l'Ateneo catanese, inizia la vera e propria storia della cattedra di Economia politica.
Istituita nel 1779 - quinta in Europa -, la cattedra di Economia, Commercio, Agricoltura  era stata affidata in un primo momento, con la denominazione di Politica, a Vincenzo Malerba, ma solamente nel 1809, attraverso l'insegnamento di Scuderi, aveva assunto una precisa connotazione.

Sotto la direzione di Scuderi, l'economia politica era andata rafforzandosi non solo nel senso di una scienza del commercio e dell'agri­coltura, ma, soprattutto, nel senso di una economia «civile», di una scienza «sistematica» di «utili verità», sussidio scientifico della politica economica. Seguendo il percorso delle sue lezioni, l'economista siciliano aveva pubblicato nel 1811 le Dissertazioni economiche, nel 1812 le Dissertazioni agrarie per approdare nel 1827 ai Principj di civile economia, diventando, in opposizione al liberismo di Balsamo, «il caposcuola dei protezionisti siciliani».

La trasformazione dell'insegnamento era avvenuta sul piano istituzionale e sul piano dei contenuti utilizzando le strutture accademiche sia per il progresso della cultura economica siciliana e per l'affermazione dell'economia politica come scienza, sia per dar credito a certe scelte di politica economica. La riflessione sulle cause del ristagno isolano alla fine del periodo napoleonico, sui rapporti economici internazionali, si era sostanziata nell'adesione alla linea adottata da Medici e nell'indicazione di un sistema di «pubblica economia», di misure e di provvedimenti adatti a stimolare lo sviluppo interno.

La considerazione dei «fatti» e la riflessione sui punti nodali della storia siciliana tra '700 e '800 - dal tramonto del genovesismo di Sergio alla diffusione della teoria smithiana, dal decennio francese ai moti del '20-21, dall'avvento di Ferdinando II alla fondazione delle Società economiche - avevano portato Scuderi a formulare i suoi princìpi d'economia civile sia riprendendo alcune delle indicazioni di Genovesi - lo sperimentalismo, il concretismo operativo - sia mettendo in circolazione tematiche e problemi d'importazione straniera.

L'avvicinamento di Scuderi alle tematiche economiche, la familiarità con gli scritti di Destutt De Tracy, di Dugald Stewart, risalivano agli anni della giovinezza e, in particolare, al periodo in cui a Palermo egli frequentava «il fiore della siciliana sapienza» da Guglielmo Tedeschi a Michelangelo Monti, da Agostino De Cosmi a Domenico Scinà. Nella capitale dell'isola aveva avuto, anche, la possibilità di ascoltare le lezioni di Sergio e di Balsamo, «de' quali il primo ex-professo ed il secondo per allora accessoriamente alle sue lezioni di agricoltura politica dettavano economia civile». E se i primi lo avevano introdotto alla lettura di Locke, di Condillac, di Cabanis, di Destutt De Tracy e lo avevano avvicinato alle tematiche della scuola francese, Sergio e Balsamo lo avevano spronato alla lettura di Genovesi e di Smith e lo avevano sollecitato a riflettere sull'evolversi dei termini del dibattito tra protezionisti e liberisti.

Alla logica delle posizioni, semplicisticamente alternative, in termini di scelte di politica economica, tra agrarismo e colbertismo, si erano aggiunti altri elementi mutuati dalla teoria smithiana - utilizzata da Scuderi in chiave industrialista - e dalla diffusione delle teorie della scuola francese, da Destutt de Tracy a Ganilh. Confrontando i suoi primi scritti con I principj di civile economia del 1827 era facile rendersi conto «che l'impatto con le nuove fonti c'era stato», ed aveva «condotto Scuderi a ritentare la generosa operazione di Cagnazzi di innestare lo smithianesimo sul tronco della tradizione genovesiana».

Le categorie economiche adottate nel suo manuale, se in parte erano riconducibili alla teoria genovesiana, in parte erano nuove. Il cambiamento di prospettiva intervenuto in seguito alle guerre e al blocco napoleonico aveva di fatto smentito certi esiti ottimistici del genovesismo e le previsioni di espansione degli scambi tra le nazioni. I tempi erano mutati ed era stato Scuderi ad assumersi il difficile compito di ammodernare la tradizione genovesiana e di confrontarsi con le nuove teorie economiche, aprendo la strada alla scuola sociale.

Tipico economista di transizione, Scuderi aveva tentato di far convivere nella sua opera schemi della cultura genovesiana e nuove elaborazioni, alla luce dei cambiamenti della situazione internazionale e della diffusione delle «nuove teoriche».


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Sul corpo delle prime analisi si erano innestati altri elementi - la dottrina del valore-lavoro, desunta da Smith, le considerazioni sul «male oscuro» della rendita rurale e sulle difficoltà incontrate dagli strati borghesi, travolti dal crollo dei prezzi - e una più matura valutazione dei problemi dello sviluppo e dei rapporti economici internazionali che si erano tradotti in una più puntuale obiezione politica al liberismo, in nome non più del vecchio mercantilismo, ma di un nuovo ordinamento civile dalle forti implicazioni democratiche.

Il problema del futuro dell'isola - fallito il disegno di sviluppo agrarista gestito da baroni e proprietari terrieri, cambiata la congiuntura economica - veniva affrontato, da Scuderi, scegliendo come elementi strategici l'industria e il commercio, alla luce della considerazione dei nuovi rapporti internazionali e delle nuove indicazioni di politica economica.

Per Scuderi l'essenza di un buon metodo consisteva nel riunire la teoria con la pratica, l'istruzione con l'esempio: la scienza economica doveva essere considerata «non pure nel complesso dei princìpi generali, ma sì bene nella lor particolare applicazione alla Sicilia». I princìpi economici andavano applicati in relazione alle particolari condizioni del paese che si aveva «in mira».
Le arti e le manifatture non dovevano introdursi in Sicilia «nel solo caso e per la sola ragione», come sosteneva Arthur Young, di un esubero dei capitali dell'agricoltura. Ragionando in tal modo, si scambiava l'effetto per la causa; non erano i progressi dell'agricoltura a dare origine ed incremento alle arti e alle manifatture, ma il bisogno, la richiesta e il cambio dei loro prodotti. Le arti e le manifatture, «eccitando la produzione della massa di tutti i generi grezzi», promuovevano, rimborsavano e accrescevano i capitali impiegati.

Un progetto politico-economico, quello di Scuderi, alternativo ad ipotesi di ispirazione agrarista fondate sul riconoscimento del ruolo fondamentale dell'agricoltura, fonte della ricchezza della nazione, e sulla necessità di abolire gli intralci alla libera iniziativa.
Ad un modello di sviluppo filo-agrarista, formulato da Pietro Lanza, da Domenico Maria Giarrizzo, da Scrofani e da Palmeri che aveva riconosciuto in Balsamo il suo maestro, Scuderi aveva contrapposto un disegno industrialista-interventista - di cui era facile cogliere, come farà De Luca, le implicazioni democratiche - ponendo in primo piano il ruolo dello Stato e interpretando un atteggiamento diffuso in vari strati del ceto civile catanese che vedevano nel liberismo e nell'agrarismo la rinuncia ad ogni prospettiva di sviluppo, la subordinazione a modelli di matrice aristocratica.