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Memoria d'Ateneo

Un maestro e una scuola

Ricordo di Carlo Muscetta (II parte)

 
 
27 maggio 2007
di Nicolò Mineo
Mineo Contarino.jpg

(I parte)
Saro Contarino mi fu segnalato da Muscetta, al mio primo incarico di insegnamento, perché mi aiutasse nella gestione della cattedra. Si era laureato con lui, e poi era passato alla Scuola secondaria, incaricato a Spoleto. Non si era più visto, ma il maestro ne aveva vivo ricordo, e io lo conoscevo dai tempi del mio insegnamento nel Liceo di Giarre. Schivo e riservato studente, e poi, giunto alla titolarità universitaria da associato, altrettanto schivo e riservato studioso. La sua prima ricerca si accentrò sulla cultura e la letteratura del secondo Ottocento. Nella tesi di laurea aveva studiato una figura minore ma interessante dell'Ottocento, Lorenzo Stecchetti. Fu un lavoro impeccabile, con cui intraprendeva il viaggio nella cultura e nella letteratura di un'epoca che avrebbe ininterrottamente attraversato per tutto il tempo della sua vita. Ancora sotto la guida di Muscetta nasce l'esemplare studio su Carducci (importante capitolo della Letteratura italiana. Storia e testi, diretta dallo stesso Muscetta e pubblicata da Laterza, apparso nel 1975). La letteratura era il punto di coagulo di tutta la sua personalità, il luogo attraverso cui esprimeva le più profonde istanze del vivere. L'oggetto che animava le sue lezioni e che nutriva le amate conversazioni con gli amici. Ma anche nutriva una risentita tensione morale e politica, che gli faceva giudicare uomini e azioni col metro di una rigorosa religione del lavoro, del dovere e della «virtù». E che negli ultimi anni lo avvicinò anche all'impegno politico. Tutto equilibrava ed armonizzava il culto mai smentito dell'amicizia. Fu sua la cristallina dignità  del vivere e il rispetto degli altri fatto regola di vita. Mai dimenticò di essere allievo di Carlo Muscetta.

Tano Compagnino era uno dei più anziani. Veniva da Militello, paese di nobile storia e di forti tradizioni, e da una rigorosa militanza nel Partito comunista. Le due cose non erano distinguibili, perché le radici agricole davano profonda integralità e umano radicamento alla sua scelta politica. Non a caso questa militanza continuava a praticare nel paese. Dalla sua figura emanava un senso di indomita energia e nei suoi occhi si specchiava la limpidezza del suo animo. Lo conobbi proprio nel «cenacolo» muscettiano e credo che si stabilisse tra noi un rapporto di fratellanza, da fratello minore a maggiore, per cui più volte mi trovai a scaltrirlo sulle regole dei comportamenti accademici. Compagnino era il filosofo del gruppo. Filosofo prestato alla letteratura, diremmo ora. Una preparazione filosofica, ma anche storica solida e ampia la sua, per cui poteva sostenere con chiunque i più ardui confronti. La preparazione filosofica si traduceva in vocazione alla teorizzazione, consolidata e verificata dalla conoscenza storica. E questa preparazione fu il fondamento delle sue lezioni, apprezzatissime dagli studenti, e dei suoi scritti, ardui spesso ma densi di sapere e di significati. Nei seminari diretti da Muscetta non si nominava un'opera di scienza politica o letteraria o di storiografia che non conoscesse e non avesse letto. Noi stessi chiedevamo e avremmo sempre chiesto a lui di scrivere i documenti a carattere teorico. Suoi il manifesto della rivista "Le forme e la storia" e il dispositivo programmatico del Dipartimento di Filologia moderna. Eppure mai saccente o autoglorificantesi. Di un'altra sua lezione non avremmo voluto mai sapere, quella di fermezza e costanza alla consapevolezza della irreversibilità del suo male. Sino all'ultimo giorno volle ascoltare pagine di romanzi per un interesse di studio che da tempo coltivava.


C_ Muscetta e G_ Compagnino (2002)[1].jpg

Cos'era il cenacolo muscettiano? Anzitutto i luoghi. Uno dei primi segni della presenza di Muscetta nella Facoltà fu la conquista di nuovi e più ampi locali per gli italianisti. Lì era possibile studiare, discutere delle proprie ricerche col maestro, incontrarsi tutti insieme per ascoltare le periodiche relazioni dei laureandi, per parlare di nuovi libri, per organizzare i programmi didattici, per gli esami degli studenti. Furono anni di approfondimenti e apprendimenti di teorie letterarie e di metodologie critiche su scala nazionale ed europea, americana e russa. Conoscemmo tanti nuovi libri in quegli anni, vitalizzati dai suoi commenti e dalle sue indicazioni e spesso animati dalla sua personale conoscenza degli autori. Il rapporto con lui fu anche fatto di sollecitazioni a scrivere e pubblicare e di impegni editoriali. A Catania si completa l'impresa del Parnaso italiano e nasce e si sviluppa quella della Letteratura italiana. Storia e testi, per cui la cooptazione fu quasi generale.

Il Sessantotto fu un decisivo spartiacque. Molti dei capi del movimento guardavano a Muscetta come a una sorta di ispiratore e padre spirituale. Ma è anche vero che il movimento stabilì in modo autonomo capi e guide, spesso mutuati dal quadro nazionale. Appoggiò certo gli sforzi di ammodernamento sul piano della vita universitaria e determinò le condizioni per un ringiovanimento della classe docente. E tuttavia qualcosa era cambiato in profondo nei rapporti tra docenti e studenti. Soprattutto si andava riducendo il peso carismatico di tutta la categoria, e anche dei più prestigiosi. Il patto tra professori d'avanguardia e studenti si era logorato sia sul piano culturale e didattico come in generale sul piano politico. Di tutto questo avrebbero pagato prezzi certi docenti e certi studenti nel momento in cui a Catania avrebbe trionfato la reazione con gli impressionanti successi locali della destra fascista nel 1972. Sino al vergognoso episodio del lancio delle monetine contro Muscetta, alla fine di una lezione, da parte di giovani fascisti venuti da altre Facoltà. I suoi collaboratori lo coprimmo a stento, gli studenti non si mossero. Ma Muscetta cominciò a disaffezionarsi all'Università e alla città. Nel 1974 accettò di andare a insegnare alla Sorbona, nel 1976 passò definitivamente alla Sapienza. Ogni suo ritorno a Catania nei decenni che seguirono, propiziato e animato nella sua dedizione assoluta da Marcella Tedeschi, mi sembrava che fosse sempre a ritrovare gli irripetibili anni Sessanta.

Quando non insegnò più qui, i rapporti personali e culturali rimasero costanti, ma i figli divenimmo fratelli e padri. E niente fu più come prima.