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Università e territorio

Beni culturali e pianificazione urbanistica in Sicilia

Vincenzo Cabianca dona al dipartimento ASTRA l'archivio del Piano di Siracusa

 
 
27 maggio 2007
di Fausto Carmelo Nigrelli
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Il recente incontro-dibattito organizzato nell'auditorium Giancarlo De Carlo da Italia Nostra, con il patrocinio dell'Università di Catania, sul tema "Beni culturali e pianificazioni urbane in Sicilia" ha posto, una volta di più, una questione che, in Sicilia più che altrove, è tanto centrale quanto rimossa.

Il campionario dei piani regolatori che riguardano le città siciliane mostra, in genere, strumenti urbanistici che hanno a lungo avuto il solo scopo di definire la griglia delle possibilità edificatorie private e, per questo, non hanno contemplato analisi, interpretazioni e previsioni di progetto che fossero finalizzate all'individuazione di un sistema di invarianti, di elementi primari a partire dai quali costruire un percorso di sviluppo durevole.

Nonostante la nostra Costituzione sia tra le poche al mondo a prevedere (art. 9) - tra i "principi fondamentali" e tra i doveri della Repubblica - la tutela del "patrimonio storico e artistico della Nazione", il patrimonio come tema della pianificazione comunale è un'eccezione oggi come lo era quarant'anni fa, con la differenza che le relazioni dei piani, i documenti accompagnatori, quelli di indirizzo politico e tutto ciò che fa da contorno agli elaborati di piano, sono oggi infarciti di termini quali "beni culturali", "sviluppo sostenibile", "valorizzazione delle risorse ambientali" e "tutela del paesaggio".

Eppure proprio in Sicilia si era sviluppata una delle esperienze più interessanti e innovative tra quelle che hanno posto al centro della pianificazione comunale l'armatura culturale del territorio: il piano di Vincenzo Cabianca per Siracusa, il quale risale addirittura alla metà degli anni Cinquanta nella sua prima versione e agli anni Settanta in quella finale.

Quando nel 1956 l'équipe guidata da Cabianca vinse il concorso per il Piano, Siracusa stava iniziando il boom industriale con la nascita dei primi insediamenti a nord della città, a Priolo. In quel contesto i temi che apparivano prevalenti erano quelli della crescita urbana, necessaria sia per la forte immigrazione dai centri dell'entroterra, sia per la domanda di migrazione interna dalle residenze dei quartieri storici verso residenze con caratteri di modernità, di dotazione di nuove attrezzature, di localizzazione delle aree per insediamenti produttivi. Ebbene, in questo contesto Cabianca riuscì a collocare il tema della tutela di Ortigia e dei valori paesaggistici e archeologici della Pentapoli in una posizione di pari dignità.

Il piano applicava vincoli di immodificabilità e inedificabilità e istituiva un sistema di parchi archeologici, dalla Neapolis ai Cappuccini, con caratteri di parchi suburbani, che riprendeva un'idea dell'archeologo Luigi Bernabò Brea.

Tale piano ebbe vita difficilissima e fu soffocato nella culla, per così dire: adottato nel 1956, riadottato nel 1961, venne definitivamente messo da parte con l'approvazione di un Programma di Fabbricazione nel 1967. Nel 1970, però, Cabianca venne richiamato ed elaborò un nuovo piano che confermò la logica di quello precedente, ma in una situazione in cui buona parte dei territori per i quali era stata prevista la tutela era ormai massacrata o assediata dalle costruzioni: la tutela di Ortigia e i parchi, da quello di Acradina, al Plemmirio al Ciane, vennero confermati, ma i guasti di un quindicennio di "sacco urbanistico" erano ormai irrimediabili.

Il piano di Cabianca rappresentò e rappresenta ancora un esempio di grandissima qualità di cosa voglia dire - anche in periodi in cui le priorità della società, dell'economia, della politica, sembrano altre - porre il tema del patrimonio quale elemento fondante di un'azione di pianificazione urbanistica a livello comunale. Ma è anche una testimonianza di come non è il quadro normativo, e non è la cultura del progettista e dei suoi sodali a poter garantire l'efficacia di tale scelta progettuale.

Non è un casuale che nell'adottare il piano regolatore nel 1972 il consiglio comunale di Siracusa vi inserisse alcune modifiche che di fatto ne snaturavano l'impostazione iniziale, spostando, ad esempio, la previsione di nuovi quartieri dal sud all'Epipoli, all'interno di un'area che fin dal 1956 era stata ritenuta da Cabianca inedificabile per motivi archeologici, paesaggistici e, per così dire, simbolici.

Ma, per fortuna di Siracusa, gli esiti delle scelte contenute nel controverso piano di Cabiancapermangono ancora: le aree del sistema dei parchi costituiscono in larga parte ancora delle "riserve di identità" (così mi piace chiamare le aree-patrimonio) a disposizione della città, le quali, con un altro piano, sarebbero di certo state cancellate.

Adesso tutta la documentazione relativa ai due piani redatti per Siracusa è stata donata dal prof. Cabianca al Dipartimento ASTRA (Architettura, Storia, Strutture, Territorio, Rappresentazione, Restauro e Ambiente)che ha sede nella città aretusea e costituisce - insieme con l'archivio dei disegni dell'arch. Enzo Fortuna, già acquisito, e agli archivi di altri protagonisti delle vicende architettoniche e urbanistiche della Sicilia orientale nel XX secolo, in fase di acquisizione - il primo nucleo dell'Archivio dei Piani e dei progetti recentemente istituto dal Dipartimento.