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Università e territorio

La chimica nel paesaggio

Problemi e prospettive del sistema territoriale sud-orientale siciliano

 
 
27 maggio 2007
di Francesco Martinico
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I lunghi anni ormai trascorsi dall'avvio della stagione dello sviluppo industriale nel territorio siracusano richiedono una riflessione che vada oltre alle devastanti conseguenze ambientali prodotte. Un passaggio verso forme più articolate di considerazione di questa esperienza è indispensabile, se si vuole immaginare un rilancio complessivo di questo territori. In assenza della necessaria definizione di una visione territoriale consapevole e condivisa si rischia di agire sulla scorta del "canto di nuove sirene" che evocano scenari di sviluppo post-industriale forse altrettanto eterodiretti rispetto quelli fino ad oggi praticati nell'area.

Si tratta di un processo di riflessione collettiva che richiede un impegno da parte delle comunità locali ma che deve coinvolgere anche le istituzioni culturali e di ricerca. In questa direzione stanno operando i dipartimenti Dau e Astra del nostro ateneo con una attività di consulenza e affiancamento di istituzioni pubbliche che svolgono un ruolo nella definizione delle scelte di assetto territoriale. In particolare, i due dipartimenti sono impegnati nelle consulenze per la redazione dei Piano territoriale provinciale e del Piano paesaggistico. In questa prospettiva, anche la dettagliata ricostruzione della storia dell'insediamento industriale già avviato, grazie alle iniziative promosse da Salvatore Adorno e dalla Società di Storia Patria siracusana, diventa un prezioso strumento di progetto consapevole.


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Due elementi appaiono centrali per condurre una adeguata riflessione sullo stato attuale del territorio tra Augusta e Siracusa e sulle sue future prospettive di sviluppo. Il primo è la necessità che le comunità locali e le figure decisionali acquisiscano una nuova consapevolezza non solo dell'irreversibilità delle scelte effettuate e delle trasformazioni territoriali conseguenti, ma anche degli innegabili vantaggi che la lunga stagione dell'investimento pubblico ha portato al territorio (imponente dotazione infrastrutturale). Il secondo attiene alla necessità di rilanciare una visione progettuale che rinnovi ed aggiorni quella temperie culturale che caratterizzò la stagione dei grandi interventi finalizzati allo sviluppo, avviata a partire dagli anni '50 del '900 e che vide il coinvolgimento di esperti di riconosciuta capacità.

Negli ultimi venti anni si è assistito all'emergere di una nuova consapevolezza che ha svolto un ruolo fondamentale di denuncia unilaterale delle devastanti conseguenze dell'industrializzazione. Essa, infatti,non è stata affiancata da un altrettanto necessario riconoscimento dell'importanza economica e sociale della stagione industriale. Il rischio di questo atteggiamento è quello di accentuare una sterile polarizzazione tra una posizione di rifiuto a priori del modello di sviluppo industriale ed una difesa ad oltranza del posto di lavoro, posizione quest'ultima che porta all'inaccettabile e paradossale convinzione che sia meglio essere inquinati che disoccupati.


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Le reali condizioni del contesto esaminato sono, infatti, molto più complesse di quanto emerge da questa contrapposizione. La condizione oggettiva del territorio è caratterizzata principalmente da due elementi. Il primo è la presenza di uno spesso deposito di attrezzature complesse e costose, dalla viabilità alle attrezzature per la produzione e il trasporto di acqua ed energia, dimensionate in vista di una prospettiva di sviluppo che non si è mai attuata nella misura inizialmente immaginata e che rischia inoltre di contrarsi negli anni futuri. Il secondo è il permanere di un insieme di importanti beni ambientali, archeologici e culturali di notevole valore, in un territorio dove le attività agricole sono ancora presenti e non appaiono affatto residuali. A riprova di questa condizione è sufficiente affacciarsi da un qualunque punto del centro storico di Melilli per osservare un paesaggio profondamente modificato dalla presenza dei grandi complessi produttivi; esso tuttavia esprime ancora una straordinaria forza e ricchezza che deriva dalle sue qualità morfologiche e dalla compresenza degli elementi antropici e di quelli ambientali.

In questo territorio, cosi fortemente trasformato dalla presenza umana, la prevalente dimensione industriale ha fatto passare in secondo piano altri elementi di rischio che potrebbero manifestarsi nel prossimo futuro. Tra questi è utile ricordare l'abbandono dell'agricoltura, che potrebbe accentuare i fenomeni di erosione dei suoli, o altre forme di degrado come quelle legate all'accentuarsi dei fenomeni di diffusione urbana incontrollata che potrebbero crescere con la progressiva dismissione di attività industriali.

La nuova visione progettuale deve quindi da una parte accettare la presenza di un paesaggio industriale ormai consolidato, dall'altra interpretare e rilanciare il cospicuo patrimonio ambientale e culturale presente nel territorio. Deve essere un progetto leggero che riconnetta le parti "lacerate" del territorio a partire da una posizione unitaria e condivisa. In questo modo sarà possibile superare le logiche, ancora prevalenti, delle pianificazioni separate, puntando ad una strategia complessa che non può più accettare la logica fordista che considerava il suolo come fattore produttivo e a basso costo.