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Università e territorio

Progettare la periferia storica

Il caso del quartiere San Berillo di Catania

 
 
27 maggio 2007
di Luca Barbarossa
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Il tema della salvaguardia del patrimonio storico ha dominato il dibattito urbanistico negli ultimi cinquanta anni, producendo posizioni conservative utili a salvaguardare brani di tessuto storico da stravolgimenti morfologici e da demolizioni indiscriminate, ma anche eccessi di conservazione che, in alcuni ambiti della città storica, non hanno consentito l'adeguamento dei tessuti a livelli qualitativi minimi richiesti dai modi di abitare contemporanei innescando processi di degrado di interi brani di città.

E' il caso del quartiere San Berillo, ubicato in prossimità del centro monumentale della città di Catania, in cui il concetto di periferia si esplicita non tanto per distanza o mancanza di relazioni dal centro, quanto per condizioni d'uso, marginalità e degrado tali da rendere necessario il ricorso al Piano di Recupero finalizzato alla riqualificazione del quartiere.

Lo studio riprende una tradizione di indagini sul centro storico della città di Catania, condotti sin dalla fine degli anni '70 dal Dipartimento di Architettura e Urbanistica dell' Università, i cui risultati, negli anni, sono stati oggetto di numerose pubblicazioni scientifiche. Tale tradizione è oggi ripresa in una prospettiva che si estende al di la dei confini comunali del capoluogo, per ampliare lo sguardo al sistema metropolitano nel cui contesto i tessuti storici assumono nuovi significati e ruoli.

Alcuni dei risultati qui brevementi esposti, sono stati oggetto di lavori presentati a convegni nazionali sul tema delle periferie, (IUAV Venezia, maggio 2006 e INU Napoli, marzo 2007), nel quadro delle attività di ricerca del Dottorato in Analisi Pianificazione e Gestione integrate del Territorio.

Nato ad inizio '700, come piccolo insediamentoa ridosso della cinta muraria cinquecentesca, il quartiere, completo già a fine ottocento, subisce nel corso della prima metà del XX secolo ampliamenti e saturazioni, in un processo di ulteriore impoverimento della qualità insediativa nel suo complesso. Il quartiere si allontana da livelli accettabili di vivibilità e comincia a specializzarsi come luogo del malaffare e della prostituzione in particolare.

In questo contesto matura la scelta del risanamento, sviluppato nel 1950 con la fondazione dell'ISTICA istituto immobiliare il cui piano prevede la demolizione di gran parte del quartiere, eliminando aspetti macroscopici di segregazione fisica e sociale, ma lasciando inalterata una vasta porzione del quartiere e innescando problemi di ricucitura e di innesto di un tessuto nuovo con un tessuto antico.

La parte residuale del vecchio S. Berillo diviene sempre più una enclave di edilizia di base, separata dal resto del centro storico da un sistema di edifici di carattere tipologico profondamente diversi, gravato da vincoli di esproprio imposti dal piano regolatore, redatto nel 1968, luogo inappetibile per la residenza a causa della mancanza di standard abitativi minimi. Condizioni queste che hanno innescato un processo di abbandono del patrimonio edilizio i cui usi prevalenti sono oggi legati ad attività di prostituzione e alla presenza di comunità di immigrati che hanno colonizzato interi isolati del quartiere.


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In questo contesto il piano di recupero propone scenari di intervento che sono la sintesi di un ampio sistema analitico mirato ad individuare tipi e unità edilizie, nonché valenze architettoniche dei singoli fabbricati, al fine di ottenere una precisa mappatura del patrimonio edilizio in termini di caratteri tipo-morfologici e funzionali. Analisi del degrado, consistenza edilizia e mappatura degli ampliamenti, hanno inoltre consentito di avere un quadro aggiornato di capacità insediativa, condizioni strutturali, grado di trasformazione dei corpi di fabbrica.

Le indagini sull'uso del suolo, mostrano inoltre una vocazione del quartiere perlopiù residenziale, con presenza di numerosi esercizi commerciali abbandonati. Parecchie sono le attività improprie e le emergenze sociali riconducibili principalmente alla prostituzione e al più recente insediamento di comunità di immigrati. Un quadro di marginalità e di segregazione, che trascina sempre più il quartiere in una spirale di degrado crescente.

L'apparato analitico consente di fare chiarezza in merito agli obiettivi del piano di recupero e di individuare precise strategie di intervento.

Emerge innanzitutto la necessità di dotare il patrimonio edilizio del quartiere di standard abitativi adeguati ai modi di abitare contemporanei, di inserire nuove funzioni collettive che fungano da elementi portatori di qualità. Funzioni che possono essere introdotte, da un canto con il diradamento del costruito per la creazione di spazi pubblici, dall'altro attraverso l'inserimento di nuovi organismi edilizi nel rispetto della morfologia del tessuto.

Quanto sopra esplicitato ha portato alla individuazione di due distinte categorie di intervento.

La prima, di matrice conservativa, è esplicitata attraverso "ambiti di riqualificazione" caratterizzati da un patrimonio edilizio minore che pur non avendo elevato pregio architettonico, nella sua unità acquista valore storico.

Il progetto individua inoltre due "ambiti della possibile trasformazione", caratterizzati perlopiù da edilizia fortemente degradata, con elevate percentuali di abbandono e con presenza di attività illegali ed usi impropri. In tali ambiti si prevede l'inserimento di attrezzature di interesse collettivo, servizi pubblici e parcheggi interrati. La previsione di quote di edificazione con destinazioni d'uso residenziali e commerciali, consentirà, infine, di rimettere in moto dinamiche produttive e di rivalutare le rendite fondiarie.


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Il progetto di recupero per S Berillo è dunque un progetto di risignificazione mirato a determinare le giuste condizioni amministrative, culturali e socioeconomiche per la rigenerazione del quartiere e alla sua restituzione alla città.

Il ricorso allo strumento della demolizione e della rimodellazione del tessuto, come azione progettuale alternativa al recupero forzato di ambiti urbani definitivamente decaduti, sembra essere una scelta più idonea rispetto a modelli che prescrivono la conservazione ad oltranza senza prevedere progetti urbani in grado di ragionare su modelli di città storica adeguata ai modi di abitare contemporanei.

Partendo da tali considerazioni, si ritiene che il progetto di un ambito storico minore può e deve identificarsi in un processo di risignificazione del tessuto anche attraverso scelte forti di diradamento, finalizzate alla creazione di spazi pubblici e all'innesto di nuove funzioni nell'ottica di rivitalizzare l'intero tessuto edilizio.

Solo attraverso un processo urbanistico in cui tutela e trasformazione siano il più possibile  integrate e bilanciate, si può uscire dalle logiche di disinteresse nei confronti del recupero del patrimonio storico minore e si possono innescare processi di trasformazione alimentati da iniziative private e da interessi fondiari, orientando le trasformazioni verso canoni di equità, di qualità architettonica e urbanistica, di miglioramento dello spazio pubblico, di ricadute positive per tutta la città.