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Dossier/ Il ruolo dell'Università per lo sviluppo di una cultura ambientale

Quale diritto per l'ambiente delle generazioni future?


 
 
28 ottobre 2008
di Ida Nicotra
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In materia di tutela dell'ecosistema, un dato appare finalmente acquisito: la Terra è al centro dell'attenzione. La Comunità internazionale degli Stati, l'Unione europea, l'ordinamento italiano hanno ormai  la piena consapevolezza  dell'importanza della questione ambientale.

D'altra parte, appare indispensabile chiedersi se la collettività si sia resa conto dello stato di salute del pianeta e dell'urgenza con cui si dovrebbe concretamente affrontare il problema. In effetti, la cultura ambientalista sembrerebbe diffondersi sempre di più, grazie anche al valore pedagogico che fin qui è stato svolto dal diritto. L'assunzione di condotte rispettose dei delicatissimi equilibri ambientali si è dovuta e si deve principalmente al timore delle sanzioni che verrebbero comminate nel caso di violazione di norme cogenti. L'obiettivo in parte raggiunto dall'ordinamento è che alcuni comportamenti virtuosi sono stati poco alla volta introiettati dai cittadini, i quali hanno iniziato (soltanto da poco, in verità) ad instaurare un rapporto più maturo con lo spazio circostante.

Le generazioni più giovani, nella costruzione di una proficua relazione con l'ecosistema, appaiono invece fortemente avvantaggiate. A tal proposito, la trasversalità del diritto ambientale, il quale entra a far parte dei percorsi formativi di numerosi corsi di laurea istituiti dall'Università di Catania, presenti nelle facoltà di Agraria, Economia, Ingegneria, Scienze Ecologiche e Scienze Politiche, non può che incentivare gli studenti ad aprire gli occhi, a prendere a cuore il destino del pianeta e ad attivarsi affinché questo possa finalmente guarire.

Sotto il profilo più strettamente normativo, pare opportuno prendere le mosse dalla Costituzione europea (che, com'è noto, ha subito una grave battuta d'arresto a seguito dei referendum  svoltisi prima in Francia e poi in Olanda), la quale dedica alla tematica della protezione del globo terrestre un'indubbia ed oltremodo giustificata attenzione. In essa, l'ambiente viene riconosciuto come valore supremo dinanzi al quale l'intera collettività si appresta a mutare radicalmente atteggiamento, non potendolo più considerare alla stregua di un'inesauribile fonte di risorse, bensì un bene preziosissimo da custodire e trasmettere alla posterità.


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Ebbene, il trattato sottoscritto dai leader europei il 13 dicembre 2007 a Lisbona che, anche dopo il "no" irlandese, non sembra perdere di vista uno degli obiettivi fondamentali dell'Unione, opera nell'ottica di una crescita equilibrata della Comunità, tenendo in debito conto le ragioni del progresso scientifico e tecnologico da una parte ed il rispetto dell'ambiente dall'altra.
Lo sviluppo sostenibile della Terra, infatti, diviene principio cardine nei rapporti con il resto dei Paesi della comunità internazionale, tanto che, al fine di garantirne uniforme applicazione, l'Unione si impegna a contribuire all'elaborazione di misure internazionali volte a preservare e migliorare la qualità dell'ecosistema e la gestione oculata delle risorse naturali mondiali.

L'art. 174 del trattato CE, caposaldo nell'affermazione della politica ambientale europea, non viene ad essere inciso in peius dalla Carta di Lisbona, ma al contrario l'Unione assume un ruolo di primo piano in una delle maggiori sfide ambientali, sociali ed economiche dell'intera umanità. La lotta globale contro i cambiamenti climatici diventa, infatti, un target specifico della Comunità, insieme alla «salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente, [alla] protezione della salute umana, [alla] utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, [alla] promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale».

I principi sui quali l'Unione continuerà a basare la propria strategia in materia ambientale  sono dunque la precauzione e l'azione preventiva, la correzione in via prioritaria alla fonte dei danni causati all'ecosistema ed il principio «chi inquina paga».
Il metodo precauzionale impone  l'adozione dei necessari provvedimenti allo scopo di prevenire i pericoli, anche meramente potenziali, alla salute umana, alla sicurezza ed all'ambiente. Qualora «le informazioni scientifiche siano insufficienti, non conclusive o incerte e vi siano indicazioni che i possibili effetti sull'ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante possano essere potenzialmente pericolosi e incompatibili con il livello di protezione prescelto» (Comunicazione della Commissione sul principio di precauzione, Bruxelles, 2 febbraio 2000), l'ordinamento comunitario predispone una serie di strumenti capaci di scongiurare il verificarsi del paventato evento dannoso.


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La scelta di conferire una spiccata salvaguardia ad alcuni beni di interesse prioritario, si realizza così attraverso la tecnica di anticipazione della soglia di tutela cui finisce, inevitabilmente, per corrispondere una considerazione più sfumata per altri interessi, quali lo sviluppo tecnologico, l'iniziativa economica e l'aumento della produzione.
Il principio «chi inquina paga», invece, si fonda sul presupposto secondo cui i danni causati all'ambiente devono gravare esclusivamente sui responsabili delle situazioni di contaminazione. Inoltre, esso permette di far ricadere i costi destinati alla protezione dell'ambiente su chi provoca il degrado e di incoraggiare gli imprenditori a ridurre le emissioni inquinanti causate dalle proprie attività, ricercando prodotti e tecnologie all'avanguardia, in grado di assicurare una migliore protezione al territorio.

Il Rapporto Brundtland, dal nome del ministro norvegese che presiedette la World Commission on Environment and Development, lo definì già nel 1989 come il principio in base al quale «humanity has the ability to make development sustainable to ensure that it meets the needs of the present without compromising the ability of future generation to meet their needs».
Esso, dunque, implica un'equità che sia intergenerazionale ed anche intragenerazionale, giacché tutti gli abitanti del globo terrestre vengono unitariamente coinvolti nel perseguimento di siffatto obiettivo comune. Esso venne ancor meglio definito nell'ambito del programma delle Nazioni Unite per l'ambiente, in occasione dell'incontro svoltosi nel 1992 a Rio de Janeiro, con la sottoscrizione dei ventisette principi della Declaration on Environment and Development.

In particolare, il terzo fra essi vuole che il diritto al progresso si eserciti compatibilmente con uno sviluppo sostenibile e con le attuali esigenze, senza trascurare quelle venture.
Una responsabilità nei confronti delle future generazioni, dunque, che vede coinvolti non più i singoli Stati separatamente, l'uno indipendentemente dalle azioni dell'altro, ma che pretende l'impegno per la realizzazione di un'azione globale e sinergica. E, sul fronte del diritto italiano, il riconoscimento da parte della Corte Costituzionale e delle istituzioni politiche del valore primario e assoluto del bene ambiente, costituisce un forte richiamo per tutti i consociati al rispetto e alla salvaguardia del patrimonio ambientale.

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