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Facoltà

La modernità letteraria al congresso ADI

Roma, 17-20 settembre 2008

 
 
28 ottobre 2008
di Giuseppe Sorbello
giuseppesorbello@gmail.com
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Si è tenuto a Roma, dal 17 al 20 settembre, presso la Facoltà di Lettere e filosofia dell'Università La Sapienza, l'annuale congresso dell'ADI (Associazione degli Italianisti italiani), giunto al suo dodicesimo appuntamento.

L'associazione, costituitasi nel 1996, riunisce i docenti universitari studiosi di Italianistica, proponendosi, a livello nazionale, come punto nevralgico di scambio tra esperienze di ricerca e di insegnamento: il confronto tra istanze dell'indagine scientifica, esigenze didattiche e riforme del sistema scolastico e universitario, proietta problemi di fondamentale importanza in un dibattito sensibile a recepire le cruciali modificazioni, sia valoriali sia culturali, che investono il sistema formativo italiano.

Il sito dell'ADI (www.italianisti.it), oltre a presentare lo statuto dell'associazione, rende conto delle numerose iniziative (convegni, seminari, ecc.) promosse durante gli anni: un insieme di attività che mira a qualificare la letteratura italiana come disciplina maggiormente ricettiva di fronte alle sfide e alle esigenze culturali della società odierna. L'impegno con la Rizzoli per la realizzazione di una collana di "classici italiani", scientificamente aggiornata ma di impianto ampiamente comunicativo, va in questa direzione; così come una modifica, approvata durante l'appuntamento romano, dell'art. 2 dello statuto dell'ADI, che prevede un rapporto di tipo «organico» tra ricerca e didattica.

Nella sua struttura organizzativa, ben visibile anche nella formula congressuale ormai collaudata, l'ADI si caratterizza infatti per una «doppia apertura strategica» che le consente di comunicare con due ambiti strettamente correlati alla ricerca e all'insegnamento.

Da una parte, un interesse rivolto ai giovani impegnati nella ricerca universitaria, con il monitoraggio degli sbocchi professionali degli studenti di dottorato, e con la compilazione di un archivio-tesi consultabile on-line; dall'altra, un dialogo ormai stabile con gli insegnanti della scuola superiore secondaria, inquadrati in una specifica "sezione didattica" interna (ADI-sd), predisposta a elaborare un intervento critico nei processi di riforma scolastica, sorretto da un «progetto culturale» che pone «in primissimo piano il futuro dell'"italiano" nel sistema formativo del nostro paese» (aspetti tutti emersi durante l'assemblea del 19 settembre, di cui è possibile consultare il verbale in www.italianisti.it/Contents/EventiScheda.aspx_idEvento=26, e da dove sono state tratte le nostre citazioni).


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L'esigenza di interrogarsi sul 'senso' dell'Italianistica e sulla sua funzione culturale, si riflette anche sulla scelta del titolo del congresso di quest'anno, "Moderno e modernità: la letteratura italiana"; un tema e, allo stesso tempo, un "problema culturale" di fondo, che non esclude una parziale ridefinizione istituzionale della disciplina. Nelle linee generali, ciò che è emerso durante il dibattito critico è stato un concetto di modernità frastagliato e consolidato da un serrato confronto con la nostra tradizione letteraria.

Una prospettiva postmoderna, come la nostra, ci consente certamente di osservare meglio, con più distacco, l'articolazione di questo movimento, pur nel segno di quella «doppia malinconia» di cui ha parlato, nella sua relazione iniziale, Amedeo Quondam, presidente dell'associazione. Un intervento che ha cercato di mostrare come il termine "moderno" sia già presente nei primi secoli della nostra storia letteraria, quale elemento atto a configurare, insieme con l'"antico", una salda «rete culturale» in grado di garantire l'unità di fondo della nostra tradizione letteraria.

"Antico" e "moderno" non devono essere infatti pensati come termini contrastivi e dialettici, ma come elementi complementari di un unico processo che si svolge secondo una «economia della semplicità» che ha contribuito a stabilizzare le forme letterarie. "Moderno", dunque, non come rifiuto indiscriminato del passato, ma come costante riattualizzazione della tradizione: un processo di fronte a cui il post-moderno si caratterizzerebbe per la consapevolezza di una perdita irrimediabile del senso della tradizione, per una cultura "pellicolare", priva cioè di quello spessore memoriale che consentiva di leggere la moderna malinconia di Tasso in continuità con la cristiana "accidia" di Petrarca.


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Antichità e modernità, tradizione e progresso, postmoderno e fine della modernità sono stati infatti le problematiche cruciali, interdipendenti, che hanno costituito il paradigma di fondo degli altri interventi svolti nelle sessioni plenarie da parte di studiosi specialisti delle varie epoche storiche della nostra letteratura.

Le relazioni (presentate nel corso delle quattro giornate da Franco Tomasi, Loredana Chines, Simona Morando, Rinaldo Rinaldi, William Spaggiari, Gianfranca Lavezzi, Laura Nay, Andrea Cortellessa, Andrea Manganaro, Carla Sclarandis) hanno mostrato come la nozione di modernità abbia avuto in Italia, nel corso del tempo, una specificità di sviluppo molto diversa rispetto ad altre esperienze europee. La modernità diventa allora uno sguardo, un filtro con cui leggere la storia della letteratura italiana nei quasi duecento interventi tenuti nelle sessioni parallele.

Spazi aperti, come ogni anno, anche ai giovani studiosi, i quali hanno la possibilità di presentare in questa sede i risultati delle loro ricerche, e ai docenti delle scuole medie superiori, impegnati a mostrare le applicazioni didattiche del tema con metodologie di insegnamento innovative.

Concetto di "lunga durata" nella nostra tradizione culturale, legato a una questione "ontologica" di una letteratura che reclama il suo diritto di esistenza, la modernità ha anche una sua storia di "paradossi" che ci conferma la sua natura di dato culturale problematico. Una dinamica, questa, limpidamente esposta da Andrea Manganaro (docente di Letteratura italiana presso la Facoltà di Lettere e filosofia dell'Università di Catania), in un punto decisivo della nostra storia culturale tra Francesco De Sanctis e Benedetto Croce: è in effetti l'impostazione «antimoderna» della storia letteraria crociana a consentire di estendere gli studi critici a zone fin lì inesplorate, come la letteratura dialettale, o il "decadente" secolo Barocco; ad allargare la prospettiva verso un insieme di fenomeni culturali rimasti esclusi da quel processo di «legittimazione storica della modernità» che animava il forte progetto culturale desanctisiano.

«Cercare la modernità nell'arte, significa cercare la modernità, non l'arte»: è infatti la nuova metodologia monografica di Croce ad aprire la cultura italiana ad una prospettiva allargata, modernamente europea. Una storia per paradossi, ma di segno contrario, che giunge fino al caso della scuola italiana, impegnata in laborioso processo di adeguamento alle istanze culturali della società moderna, da cui, come denuncia l'ultima relazione del congresso, tenuta da Carla Sclarandis, continua a rimanere escluso proprio l'insegnamento del Novecento letterario.

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