ATTENZIONE!!!SI STA NAVIGANDO UNA VECCHIA VERSIONE DEL SITO
CLICCARE QUI PER LA VERSIONE ATTUALE DEL BOLLETTINO D'ATENEO
Dossier/ Il ruolo dell'Università per lo sviluppo di una cultura ambientale

Etna, montagna smarrita

Muta il sentimento che per secoli ha legato i siciliani alla loro montagna

 
 
28 ottobre 2008
di Carmelo Ferlito
Ferlito 1.jpg

Primo Carnera, il mitico pugile friulano che agli inizi del '900 fece la fortuna sua e dell'arte del pugilato, sosteneva che avere un soprannome equivale ad avere una doppia vita. Se questo è vero per uomini mitici come "il gigante", è ancora più vero per l'Etna. Vulcano che per i siciliani è soprattutto "a Muntagna": con tutto ciò che di fisico, geografico, economico, spirituale e simbolico è racchiuso in questa parola.

L'Etna, nell'immaginazione dei non etnei, rinfocolata ad arte da certo giornalismo, è luogo di paurosi fenomeni eruttivi. Vapori sulfurei e colate di lava che inesorabilmente puntano verso inermi villaggi, minacciati sempre, raggiunti quasi mai. Contadini piegati da antica rassegnazione che guardano attoniti il fuoco avvolgere i poveri averi. Come si può abitare vicini ad una natura tanto pericolosa? A non provare l'orrore per la vicinanza con il caos primordiale? Condizione da cui i figli della civiltà hanno sempre rifuggito, sottile e ingannevole come la lusinga di un demone che ha eletto a dimora gli antri spigolosi del vulcano.
 
Per noi abitanti della Trinacria d'oriente, a Muntagna è ben altro. È quel pezzo di mondo che si contrappone, con verticale antagonismo, all'orizzonte marino dal quale trae origine. Le sue lave formano le scogliere su cui sorgono i villaggi della costa ionica e, dal mare, le lave si estendono per oltre 1.200 km2 fino agli ambienti alpini in quota. In millenni d'incessante lavoro le pietre del vulcano sono state trasformate dalle popolazioni etnee, le fitte foreste e i deserti lavici sono diventati un paesaggio bello di rigogliosi giardini e ricco di vigneti che hanno, per secoli, sostenuto l'economia dei molti "paesini". La ricchezza viene dal lavoro, ma anche dai boschi: faggi, castagni e pini che danno legno e resina, perfino dalla neve, raccolta in grandi forre ed esportata poi d'estate, materia prima di sorbetti e gelati dell'era pre-industriale. Un gran rigoglio d'attività produttive e commerciali, in passato come oggi, trae origine dalla montagna.
 
Non solo. Da sempre l'Etna, oggetto della curiosità di imperatori, filosofi, poeti e viaggiatori è stata una delle mete dei "voyages en Italie", pellegrinaggi laici alle sorgenti degli enigmi naturali, attività di gran moda in epoca post-illuminista. Il benevolo interesse riservato dal mondo alla propria terra, ha fatto sentire un po' privilegiati anche i più diffidenti tra gli etnei. In anni più vicini ai nostri, quando in pieno Ventennio si esaltavano le bellezze dei luoghi patri ed il virile rapporto con la natura, l'Etna divenne un simbolo. Vi si asfaltò una strada che conduceva a quasi 2.000 m di quota, si costruirono rifugi, promossero gite in sci, gare podistiche, scalate su roccia e manifestazioni d'ogni tipo. La fine della guerra, migliorò il rapporto dei catanesi con la loro montagna. Negli anni '60, momento di gran vivacità sociale, per le "comitive" di amici l'ascensione notturna dell'Etna, per ammirare l'alba dal cratere, era un rito d'iniziazione collettiva. Il boom degli sport invernali, negli anni '70, trova sull'Etna una cornice unica.

Da questo momento però qualcosa cambia. Inizia la tendenza ad associare l'Etna allo svago meccanizzato. La montagna rimpicciolisce. Si moltiplicano le strade in quota, ne vengono asfaltate ben otto che salgono sopra 1.500 m. Si costruiscono due stazioni di sci con impianti di risalita, bar e ristoranti e persino due piste sterrate che raggiungono i crateri sommitali. Non si sale più in montagna d'estate per fare passeggiate o gite, ma d'inverno. Dimentichi della latitudine alla quale si trova l'Etna, si cercano atmosfere ed opportunità simili a quelle di Cervinia o Cortina d'Ampezzo. Così, nelle domeniche innevate di questi inverni sempre più miti, i siciliani migrano a frotte sulle pendici etnee. Infagottati nelle pesanti tute, "moon boots" ai piedi, essi sudano nei molteplici strati di nylon, e dai loro occhi trapela la delusione di trovarsi in mezzo a distese di lava nera, appena imbiancata da neve che si scioglie prima di finire il pupazzo. Al posto delle foreste d'abeti, da cartolina dolomitica, sparute macchie di ginestra ed astragalo.

Qualcosa non ha funzionato. I gitanti delusi delle domeniche etnee, come Totò e Peppino che sbarcano con colbacchi e pellicce alla stazione di Milano, danno la stessa percezione di una lontananza tra la realtà e i desideri creati dall'omologazione culturale. I modelli proposti dalla civiltà dei consumi, largamente seguiti dai civilizzati consumatori, sono uguali a Toronto come a Shangai; prevedono patinate vacanze invernali in montagna e vulcani pericolosi ed inavvicinabili. Ma non sono abbastanza complessi da prevedere la doppia identità dell'Etna.

Per decenni i teatri eruttivi dell'Etna erano visitati regolarmente da curiosi, appassionati, stranieri di passaggio. Si sostava in prossimità dei fronti lavici che torpidi avanzavano inghiottendo alberi e campagne. Spettacolo orrido e sublime insieme. I padri portavano i figli per insegnare loro il senso di una natura sovrana. I tempi cambiano. Da una ventina d'anni ormai, l'esigenza collettiva di prevedibilità e pianificazione ha ispirato lo sviluppo di apparati di controllo del vulcano che impediscono l'accesso sulla montagna in occasione di eventi eruttivi.

Così, con paradosso tutto italiano, gli abitanti della costa orientale della Sicilia, che per millenni hanno convissuto senza apprensioni con le irrequietezze etnee, imparano dalla televisione che devono invece averne paura. Un altro muro s'innalza tra i siciliani e il loro ambiente.
A Muntagna di cui andavamo orgogliosi, luogo di notti stellate, mani gelate, estati infuocate e avventure nel far west della fantasia, sta pian piano naufragando in un mare di indifferenza, sospinta dai venti di opportunismi ed interessi privati oltre il confine dell'estraneità, dove mettiamo gli oggetti che hanno perduto valore. Se cose e luoghi hanno l'anima degli uomini che li posseggono, l'Etna, compagna fedele, non poteva che adeguarsi alle follie del suo popolo smarrendovi la propria, di anima.

Credits