ATTENZIONE!!!SI STA NAVIGANDO UNA VECCHIA VERSIONE DEL SITO
CLICCARE QUI PER LA VERSIONE ATTUALE DEL BOLLETTINO D'ATENEO
Dossier/ Il ruolo dell'Università per lo sviluppo di una cultura ambientale

Cassandra ed il cavallo di Troia


 
 
28 ottobre 2008
di Giovanni Costa
Costa foto2.jpg
Quando alcuni coraggiosi scienziati, come Rachel Carson (Silent spring, 1962), Barry Commoner (The closing circle, 1971), Donella e Dennis Meadows, Jorgen Randers e William Behrens (The Limits to Growth, 1972) denunciarono per la prima volta i problemi connessi con uno sviluppo economico irrispettoso delle esigenze ambientali, furono sprezzantemente definiti "cassandre dell'ecologia", in quanto menagrami pessimisti che profetizzavano terribili sventure con l'obiettivo malcelato di frenare lo sviluppo ed il progresso umano. Erano tempi in cui "ecologia" si interpretava come termine contrapposto ad "economia".

Ma, dopo quasi mezzo secolo, che l'ambiente necessiti di protezione è ormai opinione universalmente diffusa e condivisa, ed espressioni quali "sviluppo sostenibile", "politica ambientale" o "dissesto ecologico" sono all'ordine del giorno. D'altra parte appare abbastanza evidente che il nostro pianeta presenti da qualche tempo un crescente "global warming", e cioè uno dei sintomi più comuni e manifesti di una situazione di malessere, la "febbre".

Desertificazione, effetto serra, eutrofizzazione, piogge acide, riduzione dell'ozono nell'atmosfera sono fenomeni di dominio pubblico, visto che non se ne discute solo nei convegni scientifici ma sono entrati anche nel gergo comune. Tutti oggi sanno che il continuo ridimensionamento delle foreste, la progressiva riduzione della biodiversità, la crescente difficoltà nello smaltimento e nel recupero dei rifiuti, l'inquinamento del suolo, dell'acqua e dell'atmosfera sono il risultato di un'attività antropica incontrollata che è riuscita nell'arco di un paio di secoli a mettere in discussione tutti gli equilibri della biosfera.

Come si è potuta generare una così grave situazione? È certo che vi sono responsabilità collettive e responsabilità individuali, aventi tutte come denominatore comune lo sproporzionato sfruttamento delle risorse naturali, derivante dalla vertiginosa crescita della popolazione umana, che ha ormai raggiunto la dimensione di sei miliardi e mezzo di abitanti. A questo si aggiunga che né la distribuzione mondiale della popolazione né la disponibilità delle risorse seguono un criterio di uniformità, e che densità e tasso di sfruttamento sono variabili indipendenti.

Da qualche tempo, si è sempre più evidenziata la necessità di sviluppare nell'uomo una "consapevolezza ambientale" nei riguardi della tutela dell'ambiente in cui viviamo, utilizzando in modo più equilibrato e "sostenibile" le risorse a disposizione. Anche in considerazione del fatto che recare danno all'ambiente significa recare danno alla stessa economia, e che l'uomo è parte integrante di un più vasto mondo biologico da cui dipende per la sua sopravvivenza.
Questo tipo di valutazioni, già a partire dagli anni '60-'70, ha indotto le maggiori potenze economiche mondiali a discutere sui vari modelli da utilizzare per cercare di ovviare alla questione ambientale. Si è sostanzialmente capito che lo stesso uomo sarà sempre più "vittima" del suo comportamento sconsiderato.

Costa foto 3.jpg

Nel 1972 fu indetta dalla Nazione Unite la Conferenza di Stoccolma, nella quale si raggiunse un accordo di programma con ben 109 raccomandazioni e 26 principi sui diritti e la responsabilità dell'uomo verso l'ambiente. Nel 1987, fu istituita dall'ONU la prima Commissione mondiale per l'Ambiente e lo sviluppo, che ebbe il coraggio di intraprendere la strategia dello "sviluppo sostenibile". Nel 1992, nella "Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo" di Rio de Janeiro, venne assunto un programma di sviluppo sostenibile per il 21° secolo ("Agenda21"), in cui l'aspetto ecologico include anche le necessità economiche e sociali, e vennero prospettate ben tre Convenzioni (sui cambiamenti climatici, sulla diversità biologica e contro la desertificazione).

Nel 1997 si giunse finalmente a firmare a Kyoto una Convenzione sui cambiamenti climatici adottando un Protocollo contenente misure atte a ridurre le emissioni nei paesi industrializzati. Nel 2002 si tenne a Johannesburg un altro summit mondiale sullo sviluppo sostenibile: questa volta l'accento fu posto sulla necessità di fronteggiare le profonde ferite inferte all'ambiente, ma anche la povertà e le disuguaglianze che affliggono enormi strati di popolazione in un mondo sempre più "globalizzato".

Ora appare facile constatare che, mentre negli incontri ufficiali sono stipulati accordi e convenzioni e programmati interventi sull'ambiente e la sua utilizzazione, scelte efficaci ma impopolari vengono difficilmente assunte a livello governativo in qualsiasi Paese. Risulta quindi chiaro che uno sviluppo realmente sostenibile non può essere demandato a chi è costretto a decidere sulla base di un consenso generalizzato, ma va perseguito da ogni individuo, in quanto direttamente coinvolto nelle conseguenze di un ulteriore dissesto ecologico. Ciò si può fare solo con un diverso approccio alle problematiche ambientali, ovvero con una "cultura dell'ambiente" che poggi sulla stretta correlazione fra ambiente, economia e società e porti ad una fruizione più "ragionata" (e protratta nel futuro) delle risorse naturali.

Quali sono gli aspetti che caratterizzano una cultura dell'ambiente? Se ne possono elencare alcuni: la comprensione della indispensabilità della sostenibilità dell'azione antropica, un concetto di cultura basato sul riconoscimento dell'appartenenza dell'uomo alla natura, la necessità di partecipare dal basso alle decisioni politiche riguardanti la gestione ambientale e la trasformazione della società, il riconoscimento dell'importanza della comunicazione interculturale.
Acquisire questo nuovo tipo di cultura significa compiere un nuovo passo nell'evoluzione culturale che caratterizza la nostra specie. La scuola, prima, e l'università, subito dopo, costituiscono gli strumenti "naturali" per la formazione di questa, che potremmo definire, a sua volta, una "cultura sostenibile"; una cultura che poggi sì su processi di apprendimento, sensibilizzazione ed educazione ambientale, ma pure sull'acquisizione di solide basi scientifiche che consentano ai "non addetti ai lavori" di mantenersi al passo con il veloce progredire delle conoscenze. L'alternativa è rimanere nella attuale "crisi culturale" proseguendo nell'aggravamento dei problemi ambientali, finendo per dare ragione alle "cassandre dell'ecologia", ovvero a quei primi studiosi che avevano previsto un tetro futuro per la Terra e l'umanità.

Infatti, Cassandra, la più bella delle figlie di Priamo e di Ecuba, non era un "uccello del malaugurio", come ritengono erroneamente alcuni, che usano a sproposito i fatti e i personaggi della mitologia, bensì una profetessa inascoltata, cioè persona capace di prevedere chiaramente ed inesorabilmente la verità, quale che essa fosse, ma condannata a non essere creduta: se Priamo le avesse creduto, quando sosteneva che il cavallo di legno lasciato dagli Achei sulla spiaggia era pieno di soldati nemici, sarebbe stata raccontata un'altra storia!

Credits