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Facoltà

Il camouflage e l'ineffabile


 
 
30 settembre 2008
di Maria Albèrgamo
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Anche Venezia, con l'immediato richiamo alle sue maschere e alla sua topologia di città "fatta per perdersi", avrebbe potuto essere oggetto di un intervento nel convegno Estetiche del camouflage. Disrupting images nelle arti e nel design, tenutosi nella città lagunare nello scorso giugno e promosso dal L.I.S.A.V, Centro Internazionale di Semiotica, afferente all'IUAV ("Istituto Universitario di Architettura di Venezia").

"Camouflage", termine che, nell'immediatezza della "logica" di ricerca dell'imprescindibile Google, rimanda alle pratiche del trucco teatrale e del maquillage.

È il particolare, ma significativo, destino di certe parole che le pratiche sociali ri-semantizzano: camouflage è termine bellico, nato dalla pratica dei pittori cubisti che, durante la prima guerra mondiale, su ordine del Ministero francese per la guerra occultavano con i loro "kandinskys" le trincee o i villaggi, per difendersi e per confondere gli sguardi degli aerei nemici, pronti al bombardamento.

Ma il termine investe qualcosa di più grande: il comportamento stesso della natura, non soltanto umana; un grande gioco camaleontico per confondere e ingannare gli occhi tramite forme e colori: il nascondere è, in realtà, un far vedere, un disvelamento di altre forme, un camuffamento che la difesa creativa della natura utilizza da sempre nella mimetizzazione di alcuni animali, e che la pittura e la riflessione filosofica hanno denominato "mimesi" o rappresentazione (E.H. Gombrich, Scoperte visive attraverso l'arte).

Camouflage, un incantamento dello sguardo, direbbe il semiologo Paolo Fabbri, o una risposta ad Andy Warhol, che, accingendosi alla produzione dei suoi "Camouflages", domandava "What can I do that is abstract, but not really abstract?"
Il convegno, dal taglio fortemente interdisciplinare, proponendosi "di affrontare questo problema secondo una semiotica del visibile, pensando al camouflage come a un complesso dispositivo comunicativo" (Patrizia Magli, Estetiche del camouflage) ha registrato interventi di diversa natura, inerenti alle arti visive, alla musica, all'architettura, al design e al paesaggio.


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Da qui alcune personali considerazioni sul funzionamento e sulle condizioni che determinano la ricezione di alcuni linguaggi musicali, sia nella forma audiovisiva e tecnologica del videoclip, sia nel suo paradossale opposto: il silenzio.

Maria Pia Pozzato (Università di Bologna), ha proposto una riflessione sul camouflage a partire dall'analisi del video pop Rock dj  (2000), in cui il protagonista Robbie Williams decide di esibirsi in uno striptease allo scopo di suscitare l'interesse femminile. Arriva così ad effettuare una vera e propria spoliazione della propria pelle, del tessuto muscolare e addirittura dei propri organi, che dà in pasto alle ballerine affamate, quasi novelle baccanti pronte alla consumazione sacrificale del rito. Ciò che ne rimane, uno scheletrico umanoide tecnologico, continua a danzare, finalmente appagato.

Quasi un omaggio deleuziano al divenire animale, all'indiscernibilità fra l'umano e il non umano; omaggio a Deleuze non a caso, poiché lo stesso Williams in Radio (2004) evocherà, attraverso la tecnica del morphing, i dipinti di Francis Bacon, paradigma pittorico del corporeo in divenire.

La tecnica di manipolazione connessa alla musica, attraverso la tecnologia utilizzata in Rock dj, realizza un'impressionante metamorfosi corporea che, a partire dal momento in cui la pelle viene ostentatamente eliminata, conferisce al racconto audiovisivo un effetto di realtà immateriale, il cui desiderio carnale è sottomesso e sacrificato alla voluttà visuale, arrivando all'alienazione e al feticismo di parti del corpo, ormai grotteschi simulacri, privi persino di quella connotazione sessuale che ha innescato inizialmente il racconto musicale.

Un'operazione di camouflage giocata interamente sull'oggetto pelle, intendibile nel duplice senso ricordato da Jean Baudrillard (Lo scambio simbolico e la morte) di pelle e pellicola cinematografica, termini in cui è contenuto il latino pellis, cioè pelle, ma anche sembianza, apparenza. Il funzionamento di camuffamento si risolve nell'incarnazione del tecnologico, possibile solo in un cyberspace in cui avviene l'incontro tra tecnica e comportamento umano.

All'interno del videoclip tali manipolazioni tecnologiche, connesse alla musica e senz'altro riconducibili ad una forma di camouflage, in virtù del meccanismo musicale dell'allusione ad un "non-so-che" indefinibile (Vladimir Jankélévitch, La musica e l'ineffabile) configurano la corporeità e la percezione sensoriale secondo nuove modalità, proprio perché la nuova possibilità concessa dalla tecnologia determina una differente forma di comunicazione audiovisiva.

La tecnica del morphing, ad esempio, ormai comune nel web e nelle arti visive, genera nuove instabilità percettive e trasforma in floating ogni identità, come avviene nelle creazioni artistiche di Philip Scott Johnson, in cui, non a caso, l'elemento musicale riveste un ruolo fondamentale. (YouTube - Van Gogh)
Nelle pratiche delle arti visive delle performances, la musica convive in una dimensione più iconica che prospettica della propria identità. La forma del videoclip determina nuove forme di comunicazione audiovisiva stimolando instabilità percettive. Per contrasto, l'intervento del musicologo Roberto Favaro induce ad operare un parallelo con la dimensione del silenzio. Ma l'esistenza stessa del silenzio è problematica.


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La natura non è affatto silenziosa. Persino nella camera anecoica di John Cage (1912-1992), totalmente insonorizzata, "sentiremo sempre il nostro battito cardiaco", per usare l'espressione del compositore, secondo cui il silenzio assoluto  non esiste, perché il silenzio è una condizione stessa del suono.

La celebre (non) esecuzione di Cage, 4'33,  durante la quale parte del pubblico si alzò indignato per andarsene, nel suo estremismo sperimentativo non cancella l'invito ad "ascoltare il mondo", inteso come "paesaggio sonoro", in cui bisogna togliere la maschera al silenzio, per capire che qualcosa si sentirà comunque.
Per Cage questo "comunque" è, nella sua essenza, musica, poiché "è l'intenzione di ascolto che può conferire a qualsiasi cosa il valore di opera."

Il videoclip è un prodotto che nasce da istanze pratiche, commerciali, teoriche e temporali totalmente differenti dall'humus culturale, teorico ed estetico di un John Cage.
Ma, pur nell'accostamento stridente di due mondi musicali così diversi, emerge l'intrinseca problematicità di definire l'esperienza musicale o di equiparare la musica ad altre forme espressive, nel tentativo di spiegarla.
Non a caso, l'unico punto di contatto formale tra linguaggio musicale e linguaggio parlato è il silenzio.

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