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Facoltà

L'umanesimo latino nella tradizione del comico

"Giornate siracusane sul teatro antico" della Fondazione Inda

 
 
30 settembre 2008
di Fabio Nolfo
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Immaginare la scena di una commedia romana, in cui gli attori, mascherati con gesti e movimenti accuratamente programmati, confortano l'abilità del drammaturgo, vuol dire non escludere le convenzioni del teatro antico, con il presupposto che un principio basilare del palcoscenico era che un personaggio vedeva e udiva soltanto quello che il poeta comico voleva che egli vedesse ed udisse.

Di ciò si deve tener conto, per poterne apprezzare ancor di più gli effetti su chi oggi assiste allo spettacolo assicurato da una rappresentazione classica, senza però tralasciarne le qualità universali, che resistono ai luoghi e al tempo, alle circostanze contingenti e ai protagonisti del momento. Il comico, quindi, attiene ad un fatto fisiologico della comune esperienza, cioè l'insorgere del riso, le cui manifestazioni sono eterogenee e diversamente condivise nelle dinamiche in cui si propone.

Ridere comporta una scarica di energia, che riconduce in equilibrio il rapporto tra l'uomo e la natura, quando la pressione del controllo della realtà soffoca l'individuo e la società. In questa chiave, torna utile la distinzione di Charles Baudelaire tra "comico significativo" e "comico assoluto", la beffa e la derisione che smascherano la sfasatura di un comportamento rispetto ad un criterio di simmetria esistenziale da un parte, l'autonoma vitalità inventiva, convertita in  energia sarcastica ed intervento critico sulle cose, dall'altra.

I principi essenziali della comicità rimangono immutati: la deformazione, il paradosso, il  ricorso all'improvviso e all'imprevedibile. Cogliere infatti il segmento di continuità che lega la civiltà antica a quella contemporanea, approfondirne le differenze nel patrimonio di idee ancestrali e intramontabili in cui essa si realizza, è nello spirito delle "Giornate siracusane sul teatro antico" promosse dalla Fondazione Inda e dedicate, quest'anno, alla commedia romana.

Di impostazione rigorosamente filologica, e volto a fornire un importante orientamento di metodo, al confine tra i migliori risultati della critica testuale e gli esiti accreditati della riflessione metalinguistica, nella ricostruzione di versi citati indirettamente e di incerta scansione, è stato in questa occasione il contributo di Giovanni Salanitro, Cecilio Stazio, Teodoro Gaza e l'ordo simplex.
Partendo da un verso del poeta comico di età arcaica Cecilio Stazio, Salanitro ha dimostrato come sia possibile modificarne l'assetto, così come esso è stato stabilito dall'illustre filologo Otto Ribbeck nelle prime due edizioni dei suoi Comicorum Romanorum Fragmenta, a partire dalla traduzione greca del De senectute ciceroniano operata dall'umanista bizantino Teodoro Gaza, di cui Salanitro ha anche curato l'edizione critica per la casa editrice Teubner (Lipsia 1987).


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Il verso di Cecilio, nelle suddette edizioni di Ribbeck, di contro alle scelte adottate in merito nella terza edizione dell'opera, si presenta in questo modo: serit arbores, quae alteri saeclo prosint.
Tommaso Guardì, a cui dobbiamo un'autorevole edizione dei frammenti ceciliani (Palermo 1974), occupatosi peraltro, nel corso del presente convegno di studi , de La fabula togata: forme e limiti di un genere teatrale, lo traduce così: "pianta alberi che servono ad un'altra generazione".

È singolare come l'intervento di Salanitro concili due situazioni speculari negli studi umanistici, ossia la fortuna di un verso il cui significato Alfonso Traina intendeva orientato ben oltre la vita del singolo, ispirato dalla fiducia in un lavoro dei cui frutti avrebbero beneficiato le generazioni successive, e l'ardore di uno studioso del calibro di Teodoro, docente di letteratura greca a Ferrara negli anni 1446-1449, che presso la corte del pontefice Niccolò V avrebbe avviato una fortunata attività di traduttore.

Insomma, l'apporto di Teodoro Gaza alla diffusione in Italia della conoscenza della cultura greca fu senz'altro considerevole, come non indifferente è l'interesse da lui prestato al De senectute, dialogo composto dall'Arpinate nei primi mesi del 44 a. C., poco prima dell'uccisione di Cesare.
Ivi il personaggio di Catone il Censore, che l'autore sceglie come proprio portavoce, simboleggia un passato ideale, in cui si armonizzavano il gusto per l'otium letterario e la tenacia dell'impegno politico, due opposte esigenze che Cicerone ha tentato invano di sintetizzare lungo tutto l'arco della propria vita.

A Roma la commedia fu talora di ammaestramento per gli spettatori non meno che la performance tragica nell'Atene del V sec. a. C. e Luigi Castagna in Il Trinummus di Plauto tra bontà umana e moralismo analizza un'opera in tal senso tra le più pensose di Plauto, ricca di bontà umana e di riflessioni morali. Il Trinummus è commedia della philanthropia e della philia, doti qui elaborate quali principi rafforzativi dei legami pubblici nella società, e non intese senecanamente come premio a se stesse o come virtù interiori dell'individuo.

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Nel Trinummus prevalgono valori come l'amicizia, l'amore, il beneficio, i doveri, la magnanimità e la capacità di ascoltare le critiche degli amici, rimettendosi in discussione.
Gian Franco Gianotti, del resto, in Spettacoli comici, attori e spettatori in Petronio, attraverso una brillante rilettura del Satyricon di Petronio e, nello specifico, del grande intermezzo noto come Cena Trimalchionis, chiarisce quanto gli aspetti comici ed umorosi della prosa petroniana siano in buona misura tributari e concorrenti degli spettacoli di età imperiale.

L'elemento ridicolo è in questo caso affidato non solo a strategie comunicative di carattere linguistico (giochi di parole ed ambiguità di senso, battute sagaci e cambio improvviso dei toni, lessico osceno ed irregolarità sintattiche, linguaggio quotidiano e preziosismi letterari), ma anche all'andamento caratteristico della narrazione, tra colpi di scena e dialoghi concitati, nel profilo farsesco dei personaggi, con effetti di comicità inattesa.

Le riflessioni di Mario Lentano in Terenzio paracomoedus, insieme a quelle di Gianfranco Nuzzo in Un esempio di commedia latino-umanistica: la Chrysis di Enea Silvio Piccolomini, arricchiscono il quadro delle sollecitazioni offerte, confermando il caleidoscopio di potenzialità in cui si raccoglie la fortuna di un genere letterario non univoco e sfaccettato, come quello della commedia a Roma.

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