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Facoltà

Cavalleria, corte e Accademia nella Catania barocca

Riscoperta di un trattato secentesco a Scienze politiche

 
 
30 settembre 2008
di Luigi Sanfilippo
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Pubblicato per la prima volta a Catania nel 1649 presso la Stamperia dell'Università, Il cavalier della lancia, trattato scritto dal nobile Francesco Tedeschi, è ora leggibile in una riproduzione anastatica curata da Maria Concetta Calabrese.

Alla presentazione del volume, che ha avuto luogo il 26 maggio scorso, sono intervenuti il rettore dell'Università degli Studi di Catania, prof. Antonio Recca, il preside della Facoltà di Scienze politiche, prof. Giuseppe Vecchio, la prof.ssa Francesca Biondi, presidente del Corso di laurea in Scienza dell'amministrazione, componente del Senato accademico, la prof.ssa Gisella Padovani, delegata del rettore al "Bollettino d'Ateneo", il prof. Domenico Ligresti, ordinario di Storia moderna presso la Facoltà di Scienze politiche, e naturalmente, la curatrice dell'opera.

Dopo i saluti di rito, ha preso la parola la prof.ssa Padovani dicendo che Maria Concetta Calabrese ha condotto questa meritoria opera di repêchage riportando alla luce un testo raro e ignoto ai lettori moderni. Il cavalier della lancia è un trattato precettistico che documenta il ruolo funzionale attribuito nel Seicento all'espressione ludica e ritualizzata dell'arte militare.

Il tragitto concettuale di Francesco Tedeschi - ha osservato la prof.ssa Gisella Padovani nel corso della presentazione del volume, che si è svolta a Palazzo Biscari poiché l'opera è dedicata ad Agatino, primo principe di Biscari, abile spadaccino ed accorto politico - muove da uno dei principi fondativi delle poetiche secentesche: la convinzione che la vita umana si identifichi con un grandioso, variegato spettacolo drammatico. L'autore scrive espressamente: " in questo spazioso teatro dell'universo, cosa alcuna non si ritrova, che non abbia riguardo al suo fine". L'esigenza di autorappresentarsi è dominante: "il cavaliere [.] renderà di se stesso più bella apparenza" ed il luogo ideale della dissimulazione e lo spazio reale della finzione è la corte.

Proprio la corte, divenuta pour cause una delle rappresentazioni del teatro del potere, della finzione della guerra,  nel Seicento si spettacolarizza sempre più in sintonia con il gusto della mise en scène trionfante in età barocca. E non rinunzia a proporsi come luogo dove si coltivano l'esercizio militare, l'addestramento, il cimento agonistico. Proprio tale ambivalenza è stata efficacemente messa in luce da Maria Concetta Calabrese nel suo corposo saggio introduttivo al volume.

La studiosa scrive infatti che negli anni Quaranta del Seicento, anni di rivolte in tutta l'Europa, a Napoli, e nella stessa Sicilia, investita da una ventata rivoluzionaria che scosse anche Catania, "il Tedeschi, come pure la classe dirigente catanese si rendevano conto che [.] saper usare le armi e conoscere le regole dell'equitazione e della disciplina militare diventava necessità e non gioco". Appena un anno prima della pubblicazione del trattato, Catania aveva vissuto una rivolta che era stata sedata in un bagno di sangue.


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Il prof. Domenico Ligresti ha illustrato il contributo dato dall'autrice alla storia della nobiltà siciliana nei suoi numerosi scritti, inquadrando questa nuova fatica in un contesto attuale di grande interesse storiografico per i temi collegati alla cerimonialità, alle feste, ai tornei, alla comunicazione simbolica.

Edito nel 1649, certamente il trattato di cui si parla era stato pensato già da prima. Se fu il principe di Biscari  a sollecitarne la stesura dopo la rivolta, non dimentichiamo che i contenuti dell'opera erano sentiti vivamente dall'autore che, oltre ad essere un uomo d'armi ed un allevatore di cavalli, amava le lettere e il teatro e faceva parte all'illustre Accademia catanese dei Chiari. I suoi discorsi si sviluppano con un tecnicismo infiorato e barocco e raccontano anche della magnificenza delle vesti, dell'elegante portamento, dell'agire galante e cavalleresco, del gesto misurato, del motto ingegnoso e arguto.

Il trattato, come la curatrice annota, e la cultura di cui esso è espressione, richiama il passato dell'egemonia e della grande ricchezza nobiliare, della concordia civium e del mondo ben ordinato nelle sue naturali e divine gerarchie. Fa riferimento a un universo cortese, gentile, cavalleresco, dove l'arte militare è anche una gara di abilità, un ludus, una rappresentazione fastosa e festosa cui accorrono come spettatori autorità cittadine, dame eleganti, popolo entusiasta.

Il Tedeschi era cresciuto in quel clima cortigiano che aveva pervaso anche i luoghi dell'aristocrazia siciliana, dalla Militello dei Branciforte e di Giovanna d'Austria alla Caltanissetta dei Moncada, dalla Castelbuono dei Ventimiglia alla Francavilla dei Ruffo, quando giostre e tornei venivano con frequenza realizzati in  ogni parte della Sicilia in occasione di festività religiose come quelle della Madonna della Lettera a Messina, di Sant'Agata a Catania, o di altre solennità civili e militari come matrimoni, entrate solenni di governanti e vicerè.


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A quei teatri, a quegli scenari, il principe di Biscari, a cui il trattato è dedicato, ed il barone di Bucialca suo cliente e amico, guardavano con la memoria ed il rimpianto. Ricordavano i festini, i tornei in cui i cavalieri si affrontavano con eleganti armature e fastosi cimieri, seguiti dai servitori abbigliati con gli stessi colori dei loro signori. Ma i tempi erano cambiati, imponevano la conoscenza dell'uso delle armi e delle regole dell'equitazione e della disciplina militare. Per i giovani nobili si trattava ormai di una necessità, non più di un gioco.

Il prof. Ligresti ha infine osservato che bisogna chiedersi se il legame tra giochi di guerra, ideali religioso-cavallereschi e nobiltà combattente, anziché scindersi in differenti entità già ad inizio Cinquecento, come molti vogliono, o nella prima parte del Seicento, non abbia continuato a fondarsi su alcuni ideali che, se non erano certamente quelli del cavaliere medioevale, continuavano ugualmente ad avere come riferimento valori forti e ben radicati.
In questa prospettiva si deve leggere il testo, che sicuramente risulta significativo perché rispecchia un momento molto complesso della storia siciliana, oltre ad offrire a chi è interessato notizie sulle arti equestri del passato.

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