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Facoltà

Filosofia, scienza, letteratura

Un dialogo possibile?

 
 
13 settembre 2007
di Maria Grazia Nicolosi

Nell'ambito delle iniziative di "Alta Formazione" promosse dal Dottorato in Studi inglesi ed anglo-americani, il 30 maggio scorso si è svolto presso l'ex Monastero dei Benedettini un seminario sul tema "Complessità: filosofia, scienza, letteratura". Ne sono stati animatori i professori Giuseppe Giordano e Giuseppe Gembillo, del Centro Studi di Filosofia della Complessità "Edgar Morin" dell'Università di Messina.

L'intervento del prof. Giordano, dal titolo "Filosofia e scienza tra due paradigmi", si è incentrato su due snodi epistemologici cruciali nella costituzione dello storico contrasto tra i termini del binomio tematico preso in esame. Il primo snodo - l'avvento dello scientismo classico - ha richiesto il sacrificio della complessità a beneficio dell'efficacia comunicativa, e quello di una "ecologia della scienza" a vantaggio del dominio sulla natura. Postulando l'estraneità dell'osservatore nei confronti dell'oggetto osservato, si coglie un'analoga semplificazione epistemologica alla base della scoperta da parte di Newton delle leggi fisiche della realtà (fenomeni che si ripetono, spazio isotopico in ogni direzione, tempo reversibile).

L'angustia di questo paradigma, che pretende di restituirci la rappresentazione del mondo in cui viviamo vantando una "conoscenza certa di ciò di cui ci importa poco", è responsabile della posizione ancillare in cui è stata relegata la filosofia rispetto al sapere scientifico. In tal senso è emblematico che la scienza classica abbia celebrato i suoi fasti nella fisica e che la biologia come disciplina sia nata solo nel 1802. La fisica classica ha disincantato il mondo, e proprio un fisico, Marcel Gauchet, invita a reincantarlo.

La crisi, forse irreversibile, del modello scientifico 'oggettivo' è il secondo snodo concettuale in merito al quale il prof. Giordano ha offerto interessanti spunti di riflessione. Tale crisi, il cui avvento è rappresentato in chiave allegorica dalla scoperta della seconda legge della termodinamica, che sconvolge profondamente la relazione 'canonica' di causa ed effetto, assume proporzioni ancora più radicali con l'affermarsi della geometria non-euclidea, in particolare, con la fisica dei quanti.

Non potendo vantare un punto di vista esterno rispetto ai fenomeni - sarebbe la posizione di Dio - l'osservatore non è più ritenuto estraneo ai risultati dell'esperimento e dunque viene scardinato il principio dell'oggettività 'scientifica'. Poiché i fenomeni appaiono tutti in continuità, il paradigma analitico-scompositivo cartesiano non gode più dell'antico valore euristico.


Ad esempio, in biologia ha iniziato ad affermarsi un approccio olistico-sistemico modellato sull'analisi del vivente: la visione reticolare emersane è stata esportata agli altri campi della conoscenza, producendo un'ovvia ricaduta sul versante etico: poiché a tutti i livelli incontriamo sistemi correlati ad altri sistemi, nessun atto è innocuo. Questo modello, che valorizza una visione complementare di tutte le conoscenze, è quello proposto dalla Filosofia della Complessità.

La rivoluzione della fisica post-newtoniana si è tradotta paradossalmente in un recupero del soggetto che la scienza classica aveva dovuto escludere dal suo orizzonte, in controtendenza - occorre aggiungere - con il concomitante smantellamento della nozione di "soggetto forte" a cui si è assistito nell'ambito delle scienze umane, dalla filosofia alla letteratura.

Ragionando sulle implicazioni ideologiche della sconfitta della cultura umanistica, il relatore ha citato Croce quale antesignano insospettato del filosofo della complessità Edgar Morin, per il quale il modello educativo tradizionale universitario, specializzandosi unilateralmente attraverso l'estrapolazione e la costruzione del suo oggetto, si configura come singolare addestramento alla rinuncia alla conoscenza.

Pur essendo incontrovertibile il fatto che la rottura degli steccati disciplinari abbia storicamente determinato l'avanzamento della scienza, tuttavia una misura significativa della resistenza al cambiamento ed al dialogo tra scienze 'esatte' e scienze 'umane' è motivata proprio dalla complessità dei saperi contemporanei e dalla necessità operativa di ritagliare dai fenomeni segmenti più 'maneggevoli', attraverso la parcellizzazione specialistica. Le obiezioni di Morin riportate dal prof. Giordano sembrano eludere la questione di fondo su cosa sia 'vera' conoscenza e come si realizzi il conoscere.

D'altronde, la categoria della complessità è presentata dal relatore come "parola-problema", piuttosto che "parola-soluzione". È questo il caso della letteratura, a proposito del quale egli ha rilevato come i monismi riguardino non tanto la creatività letteraria quanto certi modelli e teorie della critica, e ha definito "barbarie" il mito della canonicità; paradossalmente la verità non è che l'invenzione di un bugiardo, ma finisce con l'invocare il criterio della classicità (una sorta di "canone universale") per  recuperare il 'valore' letterario.

Soffermandosi sulle "Logiche della complessità", il prof. Gembillo ha assunto una prospettiva molto ampia per affrontare la questione relativa alla misura non umana/umanistica della natura e all'aporia che ne è derivata: come possiamo noi umani conoscere qualcosa di così alieno dall'umano? Questa domanda cruciale ha conosciuto di recente una radicale riformulazione dovuta alla svolta ontologica nella percezione del tempo e dello spazio, concepiti come entità in relazione intrinseca con gli oggetti che vi si inscrivono.

Posto l'accento sulla pervasività di tale "svolta ontologica", lo studioso ha citato una serie di fenomeni leggibili in prospettiva 'storica'; ad esempio, l'evoluzionismo darwiniano, le emanazioni elettromagnetiche, per cui i corpi cambiano lo spazio ad essi circostante, i continenti, attraversati dalla storia del loro cambiamento geologico, e persino l'universo, anch'esso pertinente alla categoria della storicità in quanto si espande nel tempo. Se traslata sul piano degli sviluppi della conoscenza scientifica, tale concezione 'storicistica' ne appare un fattore integrale.


In questo radicale rimodellamento dei concetti di essere e realtà, l'essere a tutti i livelli è risolto nel divenire. Secondo un'idea dell'esistenza "a gradazione circolare", ogni organismo vivente è il risultato simbiotico della cooperazione di altre forme microscopiche di vita. Laddove ogni elemento risulta funzionale all'intero sistema, nessun livello può ritenersi materia bruta, tutti sono livelli viventi. La cosiddetta "ipotesi di Gaia", secondo cui il pianeta terra nella sua interezza va considerato come un organismo vivente autoregolantesi, ha gettato le basi di un'ecoetica fondata su una nuova alleanza uomo-natura. Se tradotto nell'ambito sociale, il risultato è la valorizzazione dell'interazione a cui l'approccio riduzionista tradizionale non badava.

In tutti i casi menzionati, è la reciprocità dei fenomeni a far emergere una novità che non troveremmo nei singoli elementi considerati analiticamente. Questa logica dell'azione reciproca, della circolarità, è corroborata dalla cibernetica: il matematico Wiener ha parlato di un "feedback loop" condiviso da cervello umano e computer. Una logica circolare che si rinnova continuamente presiede all'alternanza tra ordine e disordine in quella che si potrebbe definire "teoria autopoietica", cioè un processo di autoformazione in cui ogni essere vivente si sviluppa attraverso l'accoppiamento strutturale con l'esterno.

Ampliando il discorso oltre l'organismo vivente, si può affermare che tutto in natura si struttura e si dissipa in un arco cronologico che noi umani non siamo in grado di osservare. Se la realtà è tutta storica, per conoscerla nel suo divenire occorre assumere una logica storica. Poiché il conoscere è l'esito di un processo nel corso del quale la mente si modifica - intuizione già di Hegel - la conoscenza non si configura come atto rappresentativo ma come atto cognitivo condizionato da specifici tipi di interazione con la realtà esterna che contribuiscono alla creazione di mondi mentali particolari.

Forti di questa consapevolezza, le nuove scienze prendono in prestito il metodo della fisica e della matematica ma poi se ne liberano. Analogamente, la logica aristotelica può essere recuperata come mero strumento di comunicazione senza valore ontologico, e ciò per difendersi dalle distorsioni che essa ha conosciuto nel '900; si pensi, per esempio, alla teoria della comunicazione che ha auspicato l'eliminazione del 'rumore', con conseguenze disastrose in letteratura.

Paradossalmente, l'elogio della complessità ha richiesto tutta una serie di inevitabili semplificazioni per poter contribuire al dialogo interdisciplinare. Nonostante ciò, l'"ibridazione" tra discipline, il "nomadismo concettuale" e la visione "reticolare" in cui tutti i nostri saperi possano inserirsi, fenomenii delineati dal prof. Giordano, e la "teoria autopoietica" illustrata dal prof. Gembillo, sembrano individuare nel paradigma della complessità un orizzonte epistemologico molto promettente riguardo all'instaurazione dell'auspicato dialogo tra "filosofia" e "scienza".