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Recensioni

Poesia del dialetto

Un volume di Salvatore Trovato

 
 
13 settembre 2007
di Nicolò Mineo
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Un libro questo di Salvatore Trovato - La fiera del Nigrò, Palermo, Sellerio 2007 (di cui pubblichiamo un estratto per gentile concessione della casa editrice "Sellerio" di Palermo) - che si impone all'attenzione anzitutto per la capacità di unire insieme rigore scientifico e impegno comunicativo. Secondo il suo stesso progetto, l'autore, probabilmente sollecitato dalla occasione editoriale, un periodico di larga diffusione come "Prospettive", su cui ha pubblicato dalla fine degli anni Ottanta, ha giocato sul doppio registro dell'riutilizzo di saggi già editi di impianto solo scientifico e dello sviluppo di articoli pubblicati sul periodico per una destinazione accademica. Legittime tutte le forme di scrittura, ma vorrei affermare che tutti noi dovremmo imparare da Trovato ad essere leggibili. Cosa possibile. Non so se altrettanto possibile è essere godibili, che è dote molto personale del nostro autore. Questa raccolta mi ha fatto scoprire in lui una vena affabulativa che proprio non gli conoscevo. Ma, si sa, si vive una vita negli stessi spazi di lavoro e con gli stessi interessi, e non si ci conosce a fondo.

Si possono leggere tutti gli interventi del libro e scoprire sempre come Trovato ci racconti le vicende o di una singola parola o di un proverbio o di un modo di dire o di una costumanza, ma vista sempre attraverso la testimonianza linguistica, o di rapporti interlinguistici col tono e l'andatura di una fiaba e di un bozzetto. In certi incipit ad esempio mi pare di risentire il timbro narrativo di un Lanza dei Mimisiciliani. Nei racconti dedicati a luoghi o figure del mito siciliano con caratteristiche del tipo «orrido» possiamo cogliere l'eco di certe fiabe di Capuana. E ciò è forse anche frutto della posizione assunta dall'autore rispetto alla sua materia. Non si hanno mai aride elencazioni di problemi o di realtà linguistiche, perché la lingua è sempre sentita e capita in rapporto alla società e alla storia, alle tradizioni e alla cultura.
D'altra parte l'impegno di giungere a risultati che portino avanti la ricerca sulla realtà linguistica siciliana non viene mai meno. Con elegante discrezione vengono confutate posizioni acquisite e vengono proposte nuove interpretazioni. In verità Trovato ha di mira un possibile risultato ultimo. In premessa scrive: «[.] storia linguistica della Sicilia, sulla quale non esiste nulla che sia scientificamente valido e insieme destinato a larga diffusione». Questo libro disegna una buona quantità di tasselli, che già danno un quadro linguistico della Sicilia. Che possa seguire la ricostruzione sistematica? Me lo auguro per noi e per lui. Se fossi stato presente su questo avrei voluto sentire l'autore.
In effetti però, e va detto a chiare lettere, tutti i saggi qui presenti testimoniano al fondo un dato fondamentale, che investe tutta una vita e un programma di lavoro. Trovato dedica il libro alla memoria dei suoi genitori, senza il cui aiuto, egli dice, tanti dei contributi non avrebbero potuto essere scritti. E da loro, suppongo, ha tratto assai di più: l'amore per questa nostra terra, sentito in modo profondo ed espresso sempre come base implicita. E senza proclami retorici e lamentazioni sicilianistiche. A questo va ricondotto tutto il lavoro scientifico del nostro autore. E perciò egli realizza quella che, riprendendo una notissima formula di Croce riferita a Monti («poesia della letteratura») ed estendondene l'ambito, vorrei chiamare poesia della lingua.