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Facoltà

Donne, politica e istituzioni


 
 
29 maggio 2008
di Graziella Priulla
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Con la giornata del 17 aprile, dedicata a presentare e commentare i risultati delle elezioni appena svolte, si è conclusa la quarta edizione del corso "Donne, politica e istituzioni", organizzato a Scienze politiche (entro una rete di Facoltà italiane) grazie alla direzione e al coordinamento di Rita Palidda, con il patrocinio del Ministero delle pari opportunità.

Il corso - che con la presenza di molti docenti e un ricco corredo di supporti ha raggiunto un grado notevole di affinamento didattico, e ha formato nel tempo molte centinaia di studentesse, sempre partecipi, spesso entusiaste - mira a migliorare la conoscenza delle istituzioni politiche a livello europeo, nazionale e locale; a illustrare i meccanismi che ostacolano l'accesso delle donne alle sedi decisionali pubbliche; a proporre strategie per il riequilibrio della rappresentanza.

Ci siamo fatte carico di evidenziare che la scarsa partecipazione delle donne alla vita pubblica è riconducibile ad almeno tre fattori, fortemente radicati nella nostra cultura:

-  la percezione e autopercezione come soggetto debole, immagine che spesso crea nelle donne stesse disaffezione per gli ambienti in cui si esercita il potere;

- i caratteri di una classe politica abituata a riprodursi e rappresentarsi in modo autoreferenziale;

- la difficoltà di conciliare impegni familiari e lavoro politico (che resta uno dei più impegnativi, a dispetto degli stereotipi correnti).


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Abbiamo insistito sul fatto che ottenere una maggior presenza di donne nelle istituzioni pubbliche non significa soltanto rispondere ad un desiderio di giustizia, né soltanto introdurre un nuovo punto di vista nei luoghi della decisione, ma anche garantire che presenze femminili autorevoli in politica riverberino questa autorevolezza sulla presenza femminile nella società (e viceversa), in un processo "virtuoso" che può dare valore a tutte.

Con il voto di aprile non speravamo in una rivoluzione, e rivoluzione non c'è stata (d'altronde il sistema elettorale a liste bloccate consentiva facili previsioni). Sorpresa dunque non tanto, amarezza sì: dopo anni di dibattiti, di argomentazioni, di prese di posizioni, di sollecitazioni alle forze politiche nazionali e locali, quel misero 3% in più di rappresentanti elette nel 2008 rispetto alle Camere del 2006 pare proprio una presa in giro. 17,1% del totale sono oggi le deputate, 14% le senatrici. A questi ritmi, attueremo il riequilibrio dei sessi tra circa 150 anni.

I partiti avevano promesso di eleggere più del 30% di donne: a rispettare gli impegni è stato solo il Pd, che ha raggiunto il 29,7% (59 deputate su 211 eletti, 38 senatrici su 116). Il Pdl ha eletto il 20% di donne (nella legislatura precedente erano il 17%). Ancora più indietro le altre liste, con l'Italia dei valori sotto il 10%, la Lega poco sopra, l'Udc con una sola deputata su 35. Né la Destra (che aveva una candidata premier) né la Sinistra arcobaleno, che sulla carta aveva il maggior numero di candidate "in buona posizione", siederanno in Parlamento.

E' noto che in Sicilia la candidata del Pd alla Presidenza della Regione è stata sonoramente battuta; nell'Assemblea regionale sono state elette tre sole donne su 90 deputati (eppure le candidate erano il 35% del totale).

Nel resto delle Regioni, siamo al 12,2% di presenza femminile; nelle Province al 10,8%, nei Comuni al 15,9% (e i dati siciliani sono tutti più bassi delle medie nazionali).

Oggi l'Italia è al 50° posto nella classifica mondiale redatta dall'Inter-Parlamentary Union rispetto al numero di donne parlamentari. Nel confronto con il resto della UE - in cui la media è del 30,3% - siamo ampiamente al di sotto delle percentuali della maggior parte dei Paesi. Rispetto alla Spagna, o ai Paesi Bassi, perdiamo il confronto per oltre 18 punti percentuali.

Nonostante l'aumento della presenza femminile nei diversi ambiti della società, quando si parla di potere, insomma, in Italia la parità è ancora lontana. Nonostante un quadro normativo che sancisce l'uguaglianza giuridica, permangono asimmetrie che denotano gravi patologie del sistema democratico.


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Si tratta di patologie culturali. Chi digita su Google "giornalisti", trova innanzitutto il sito dell'Ordine; digitando "giornaliste" ecco invece i primi risultati: "foto, video, biografie, notizie e curiosità sulle giornaliste più belle e sexy della tv"; "giornaliste nude ai provini. Ecco le bellissime ragazze che hanno partecipato ai provini per diventare giornaliste di un tg spogliarello."

La Tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010 della Commissione Europea mette in risalto l'importanza dei mezzi di comunicazione di massa nella lotta contro gli stereotipi di genere. Vediamo allora come vanno le cose da noi .Sono confortanti i dati del lavoro, non quelli del potere.

 

2005

Direttrici di quotidiani

 2 %

Direttrici di agenzie stampa

5,9 %

Direttrici di testate radiofoniche

4,8 %

Direttrici di testate tv (locali)

8,5 %

Conduttrici nei tg

59 %

Giornaliste nei tg

53 %

Servizi firmati da donne nei tg

23 %

Giornaliste nei quotidiani

20 %

Giornaliste in radio e tv private

36 %

 

E l'autorevolezza? Guardando i settori d'attività delle donne che vengono presentate come "esperte" nei programmi televisivi non c'è da stare allegre:

- politica ed economia 3 % degli "esperti"

- scienza 3,4 %

- astrologia 21 %

- artigianato locale 14 %

 

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