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Memoria

Ricordando Sara Longo


 
 
29 maggio 2008
di Francesco Coniglione
Coniglione - Sara Longo.jpg

Ricordare chi non c'è più fa bene solo a chi gli sopravvive, a coloro che altrimenti perderebbero la memoria del passato e di chi ha fatto sì che esso - con il suo piccolo o grande contributo, non importa - divenisse presente e che fosse questo presente. Tanto più ciò è vero in un'istituzione e comunità come quella universitaria, dove la presenza dei suoi ricercatori e docenti ha un seguito in allievi e colleghi che ne raccolgono l'eredità e l'esperienza, continuandone e portandone avanti il lavoro iniziato.

E così, a un anno dalla scomparsa, l'aver ricordato Rosaria Longo in un incontro tenutosi il 21 aprile scorso al Dipartimento di Processi formativi, non è stato solo un obbligo dettato dal calendario e dal dovere della memoria, ma un momento di riflessione sul significato di una persona e di un' attività che è stata troncata troppo presto, proprio mentre stava prendendo l'abbrivio per nuove avventure di ricerca e soddisfazioni professionali.

Sara Longo - professore associato di Storia della filosofia presso la Facoltà di Scienze della Formazione - non ha avuto una carriera facile e ha dovuto lottare per ritagliarsi uno spazio, sia in ambito locale che nazionale. Ma la sua vitalità, la sua voglia di "esserci", il suo sincero "innamoramento" per le questioni e i problemi che si trovava ad affrontare - a volte anche in maniera non certo congruente con le prospettive di carriera - l'avevano portata, con caparbia costanza e diuturna fatica, ad ottenere  riconoscimenti e soddisfazioni che solo in parte attenuavano la delusione per il troppo tempo trascorso nella penombra.

"Maledetti articoli!": questa era l'espressione che le figlie - come ricorda Patrizia - indirizzavano alla madre, troppe volte assente all'affetto e al desiderio di vicinanza dei suoi cari per dedicarsi al lavoro e alla ricerca. E chi sia madre (ma anche padre) sa bene quanto pesi sulla famiglia questa passione di vita per il sapere, per i libri, per la ricerca: la mente spesso lontana e assente, perduta a seguire qualche filo di ragionamento, qualche ghirigoro di pensiero, con l'aria distratta di chi sente ma non ascolta, di chi sta nell'altra camera della stessa casa ma è come se non ci fosse.

Così Sara viene ricordata dalla famiglia, che tuttavia non le ha fatto mancare il suo appoggio e la sua condivisione e che ora capisce appieno il significato del suo lavoro, quanto di lei v'era in quei maledetti articoli.
Sara è stata sì ricercatrice e studiosa, ma anche persona profondamente umana, in cui filosofia e vita si intrecciavano indissolubilmente. Come ha ricordato Alessandra Tigano, una delle sue allieve, «l'intelligenza interpretativa di Sara non è stata mai avulsa dalla ricerca, nella vita vissuta, dell'autenticità delle relazioni umane. Sara ha avuto il coraggio e il merito di coltivare la purezza del logos filosofico che si ricerca nelle aule universitarie restituendolo ai suoi studenti come azione relazionale che ha lasciato, in chi ha avuto il dono di conoscerla, numerosi segni e tracce di sé. Il suo sapere non è rimasto chiuso dentro l'istituzione universitaria poiché Sara, più che privilegiare il monologo solipsistico del professore che trasmette aride conoscenze e che usa un linguaggio difficile che "parla di", ha preferito il linguaggio della pratica filosofica che coltiva l'umanità del dialogo che "parla con" gli altri».

La sua ricerca, dopo i primi lavori, si era negli ultimi quindici anni focalizzata sul pensiero ermeneutico con due volumi dedicati ad uno dei suoi principali interpreti italiani, Luigi Pareyson (Esistere e interpretare, Cuecm, Catania 1993 e L'abisso della libertà, Franco Angeli, Milano 2000) e con altri numerosi articoli. E appunto nel nesso tra esistere ed interpretare va rinvenuto l'interesse di Sara per il pensatore valdostano, in quella pratica quotidiana che si traduceva in dialogo, in quel "confilosofare" che lei tanto amava.

Come ricorda la collega Marianna Gensabella, «è il dialogo a segnare tutta la sua avventura di studiosa e di docente: le piaceva  "confilosofare" senza timidezza con i  grandi, con i filosofi del passato, amati e studiati, con quelli del presente, con cui intesseva lunghi dialoghi fatti di pressanti domande, con i compagni di viaggio, i tanti colleghi che coinvolgeva nelle sue attività, ma le piaceva soprattutto dialogare senza distanza con i più giovani, i tanti allievi a cui trasmetteva l'entusiasmo per la ricerca».

Tale nesso tra vita e filosofia non poteva però per Sara essere solo cogitato, ma doveva tradursi in pratica, in una prassi in cui la filosofia avesse qualcosa ancora da dire e quindi fuoriuscisse dalle aule accademiche per immettersi tra la gente, per "andare incontro". È così che nell'ultima fase della sua vita di studiosa nasce l'interesse per la "filosofia pratica" e il "counselling filosofico", tra lo scetticismo e la diffidenza di molti colleghi, più fedeli ad un modo tradizionale di praticare la filosofia.
Eppure Sara non si arrese e con il suo entusiasmo, la sua insistenza, il suo travolgente attivismo seppe coinvolgere gli altri (anche chi scrive, debbo ammetterlo), interessarli e spingerli ad aiutarla su questa nuova strada. Frutto di questa sua attività è l'edizione italiana, da lei curata ed introdotta, di un classico della consulenza filosofica (Eckart Ruschmann, Consulenza filosofica, Armando Siciliano, Messina 2004), ma anche l'organizzazione di due convegni dedicati a questo tema, il primo il 14 aprile 2003 e il secondo il 22 aprile del 2005, da lei fortemente voluti; ed è degno di nota il fatto che quello del 2003 costituisce il primo incontro di studi sulla consulenza filosofica organizzato da un'università italiana.

Il lavoro così svolto ha poi trovato la sua manifestazione tangibile nella pubblicazione degli atti nel volume Vivere con filosofia. La consulenza come pratica (da lei curato in collaborazione con Davide Miccione, Bonanno Editore, Acireale-Roma 2006).
Per caratterizzare lo stile di pensiero di Sara, il suo collaboratore e allievo Davide Miccione ha usato un'immagine di Archiloco, in cui si parla delle contrapposte virtù del riccio e della volpe, di due modi di concepire ed organizzare la conoscenza: «la volpe vuole sapere tante cose, esplora, cerca, si apre al nuovo. Il riccio, invece, subordina le sue acquisizioni ad una già previa conoscenza che lui, tra tutte, ritiene fondamentale e in qualche modo riepilogante il senso di tutto».

Ebbene, Sara è stata questa inesausta volpe, sempre «alla continua ricerca di campi di indagine e di azione per la filosofia, in esplorazione curiosa di autori che potessero aiutarla ad inseguire quel nesso tra filosofia e vita, che prima aveva più ortodossamente cercato nel decennale corpo a corpo con Pareyson e con i temi dell'ermeneutica». Un nesso tra filosofia e vita che si esplica anche nell'interesse per la bioetica, come ricorda Carmelo Vigna, filosofo morale dell'università Ca' Foscari di Venezia, con il quale appunto in questa luce Sara aveva cercato un rapporto, trovando un interlocutore attento e sensibile.
Di Sara non dobbiamo ricordare solo la studiosa, ma anche la persona che si manifestava con inediti e inaspettati elementi di sorpresa e originalità quando si fuoriusciva dall'ambiente accademico, che tutti condiziona e che ingessa i rapporti umani in predefiniti ruoli istituzionali. E così i ricordi più belli che personalmente ho di lei sono quelli legati alle situazioni di vita quotidiana, quando ad esempio ci recavamo insieme a qualche congresso e ci trovavamo a convivere le lunghe ore dei viaggi, degli spostamenti, delle attese.

In questi momenti Sara rivelava la sua vitalità, ma anche la sua saggezza di donna concreta, pratica, priva di inutili sofisticherie; una donna che rivelava un animo ancora di fanciulla nell'entusiasmo con cui si cimentava nel ballo, di fronte agli occhi attoniti di più compassati colleghi, troppo presi dal proprio ruolo di custodi della "sapienza". Un piacere di vivere, un desiderio di intensamente tutto provare e gustare, un entusiasmo nell'intessere discussioni e dibattiti, incurante delle circostanze accademiche e della "autorevolezza" dell'interlocutore, che potevano essere scambiate per un fatuo "presenzialismo" ad ogni costo. Ma solo chi l'abbia autenticamente conosciuta poteva capire che così non era, perché questa era la sua personalità, il suo essere autenticamente se stessa, e non un voler vivere sopra le righe. Purtroppo molti l'hanno capito troppo tardi.
 
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