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Università e territorio

Ad marginem. Periferie indefinite


 
 
29 maggio 2008
di Maria Albèrgamo
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All'osservazione partecipante di uno sguardo rivolto al paesaggio sottostante, durante la fase di un atterraggio aereo, si offre la morfologia di uno spazio composto dalle proprie articolazioni e geometrie insediative, ormai consolidatesi nella forma di campagna urbanizzata, contorno territoriale della contigua città, in cui concrete dinamiche di costruzione sul territorio hanno trasformato e rivoluzionato i vecchi contorni dei centri abitati.
Se poi si compara questo sguardo fenomenologico a quello che interroga la carta topografica, mappa di una città rappresentata e quindi "testo" o "ritratto" (L. Marin, Della Rappresentazione), si acquista la consapevolezza della ridefinizione dei flussi di vita che ridisegnano continuamente spazialità urbane e peri-urbane, dando luogo all'insieme di  definizioni con cui interpretiamo lo spazio concreto in un sistema più generale di rappresentazioni di conoscenza.
Tali insediamenti diffusi, che nel loro stanziamento reale sul territorio, ne determinano anche la dimensione di senso, riflettono un più complesso processo di urbanizzazione contemporaneo, che il termine "periferia", evocatore dell'endiadi dicotomica con un "centro", non sembra più adatto a denotare. Gli attuali fenomeni di ricodificazione dello spazio territoriale, rispetto al modello di città industriale che non esiste più, sono piuttosto delle "conurbazioni", "agglomerazioni" o "inurbazioni": autostrade, centri commerciali, capannoni, multisale, aree industriali, lottizzazioni residenziali e infrastrutture, in cui quelle categorie di centro e periferia, o, più in generale, di città e campagna si dissolvono assumendo nuovi significati, più complessi e articolati, e dando origine anche a nuovi modi di vita e modi di relazione sociale.
E significativamente "Il vivere periferico" è il titolo che gli organizzatori dell'omonimo convegno hanno voluto dare al ciclo di incontri, articolato nelle giornate del 13,14 e 15 marzo scorsi e promosso dalla Facoltà di Architettura, con sede a Siracusa.

È la natura dell'intervento di chi lo abita e lo vive, che configura lo spazio come spazio testualizzato, in grado cioè di auto-produrre un sistema implicito di regole secondo modalità iscritte nella sua stessa struttura, di diventare "discorso", in senso calviniano, sull'umanità e sulle sue categorie spazio-temporali. (I. Calvino, Le città invisibili).
E se nelle città della modernità era l'agire politico a creare i luoghi della civitas, spazi pubblici per antonomasia quali piazze, sezioni di partiti o viali alberati, caratterizzati dalla convergenza delle forze cittadine che discutevano del governo della città e che possedevano una loro specifica identità, la territorialità fisica contemporanea, invece, originatasi dalla prima rivoluzione spaziale degli anni '70, e oggi in mano alla logica globalizzante del sistema di mercato, produce uno spazio neutro, orfano di qualsiasi racconto storico o memoria, in cui quel centro e quella periferia non esistono più. Eppure, "se l'urbs diventa orbs e se la periferia diviene tutta la città, allora la megalopoli non ha più un fuori. E di conseguenza è priva di un dentro" (J.F. Lyotard, Periferie).


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Nel suo intervento il sociologo Massimo Ilardi (Università di Camerino) descrive questa  nuova  koinè culturale, che pur nelle sostanziali differenze socio-geografiche, appartiene tanto a chi abita le periferie di una città del Nord, quanto a chi vive ai margini di un agglomerato urbano del Sud, ponendo l'accento sull'importanza, per molti versi inaspettata, che ha assunto la dimensione del territorio.
In virtù di un'ipermobilità e ipercomunicabilità e di una logica di mercato che auto-stabilisce le condizioni per un rovesciamento di egemonia all'interno della medesima ideologia del consumo, il vecchio centro cittadino si trasforma in ambulacro del consumo, sua vera funzione residuale, e scenario fisico di incursioni di giovani del sabato sera provenienti dalla periferia, o di riti consumistici.

Parallelamente, il territorio peri-urbano, a-topico nelle sue strutture commerciali, nelle reti di comunicazione globale o nei costoni autostradali, annulla i contorni definitori della città fino ad estendere lo spazio metropolitano oltre ogni limite, in cui non è più percepibile il limen in corrispondenza del quale finisce o inizia la città. Il moltiplicarsi dei centri commerciali, da questo punto di vista, rappresenta la declinazione più eclatante e paradigmatica di una metropoli che, nei propri territori urbanizzati, sembra esercitare su stessa il proprio potere coloniale, un "endocolonialismo" che, con il suo bisogno sempre costante di nuovo spazio, trasferisce all'interno i confini esterni autostradali, segni urbani squisitamente peculiari della contemporaneità.Altro elemento significativo, condiviso anche dal contributo della studiosa francese Michele Jolè, è il ripensamento della categoria dei "non-luoghi", con cui l'antropologo Marc Augé declinava i nuovi spazi sociali della surmodernità, come spazi di una "mobilità senza aggettivi" e come luoghi non di stanzialità, ma di attraversamento.

Tale paradigma non sembra più essere tanto serenamente praticabile,  proprio in virtù del concetto fisico di territorio e di una seconda rivoluzione spaziale attualmente in atto, in cui il controllo è divenuto la connotazione principale di questi nuovi spazi urbani, aeroporti o centri commerciali, protetti da mille telecamere e in cui "recinti e percorsi si oppongono: cioè convivono in una tensione che produce senso di percorribilità o di controllo". (U. Volli, Per una semiotica della città).
Queste brevi e frammentarie considerazioni, emerse dagli spunti congressuali, lungi dall'esaurire la varietà dei temi affrontati, provenienti anche da altri versanti disciplinari come l'urbanistica, danno tuttavia il senso della problematicità epistemologica insita nella definizione della città e delle sue periferie. Le posizioni prospettiche da cui analizzare il problema sono tante e tutte necessarie ad affrontare gli aspetti, talora contraddittori, di un fenomeno epocale e comune a tutte le civiltà. E tuttavia la condizione altamente complessa degli spazi periferici richiama la necessità di ricostruire il senso delle identità urbane.
Lo stesso senso probabilmente che l'arte di "Claire Fontaine"( collettivo di artisti operanti a Parigi) e di Clement Page - presenti con due videoinstallazioni nella mostra contestuale al convegno e curata dall'arch. Silvana Segapeli - esprime con disarmante chiarezza tramite la rappresentazione delle banlieues parigine o nella trasposizione sul piano onirico della dimensione periferica da parte di un corpo urbano che vive in una territorialità  cui sente di non appartenere.

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