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Facoltà

Tempo e immagine in Andrej Tarkovskij

Analisi del rapporto tra architettura e arti visive

 
 
30 dicembre 2007
di Rita Valenti
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Il rapporto tra architettura e cinema, architettura e scultura, architettura e pittura e,  in uno, il rapporto tra l'architettura e le arti visive  è uno dei temi indagati nelle scuole di architettura  e in particolare presso il Dipartimento di Analisi, Rappresentazione e Progetto dell'Università di Catania, che ha realizzato una serie di iniziative coinvolgendo registi e scultori la cui presenza invita ad un'attenta riflessione sulla cultura percettiva. L'attivazione di corsi, come quelli di Cinema, fotografia e televisione, di Letteratura artistica e di Storia dell'arte moderna e contemporanea, rientra in questo percorso di ricerca che tende a stimolare gli studenti anche attraverso attività seminariali.

"La visione sacrale in Tarkovskij", convegno organizzato alla fine di giugno dal Dipartimento A.R.P. in collaborazione con l'Istituto Internazionale Tarkovskij, ha promosso l'incontro di relatori provenienti da esperienze di ricerca differenti, che si sono confrontati in un dibattito aperto sul tema della visione e del trattamento delle immagini, prendendo spunto dal pensiero del regista russo.

«L'immagine non è questo o quel significato espresso dal regista, bensì un mondo intero che si riflette in una goccia d'acqua, in una goccia d'acqua solamente» (Andrej Tarkovskij, Luce istantanea, Firenze, 2002): la trasparenza e  lo scorrere di un corso d'acqua, il lento rincorrersi delle gocce, il suono della pioggia sono le immagini che veicolano valori e sensazioni umane superando ogni confine temporale, spaziale e culturale.

Per Tarkovskij, l'autentica immagine artistica deve riflettere non solo la ricerca personale condotta dall'autore, ma, e soprattutto, il mondo; non il suo mondo, bensì quello dell'uomo nel cammino inesorabile di ricerca della verità.

Il suo è un cinema di poesia,  nel significato  greco di póiesis (come atto del creare, del fare, del comporre): inteso quindi come creazione e produzione di immagini. Il suo stile, come lui stesso afferma, è basato sulle impressioni e sulle immagini.

Un percorso fondato su espressioni visive intense - e quindi cariche di emozioni - dello spazio catturato dalla macchina da presa che orienta il proprio obiettivo verso spazi diradati, prati, opifici abbandonati, rottami e, ancora, su fenomeni naturali quali la pioggia e il vento. Essi, proprio per il modo in cui vengono trattati, assumono una forte carica emotiva che amplifica lo stato d'animo dei personaggi.  

E, ancora, la visione di Tarkovskij è definibile sacrale perché attraverso i suoi occhi riesce a far percepire la profondità del tempo, lo stesso tempo rincorso nella percezione  e nella sperimentazione dinamica dell'architettura.


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«Il cinema è l'unica forma d'arte che - proprio perché operante all'interno del concetto e dimensione di tempo - è in grado di riprodurre l'effettiva consistenza del tempo - l'essenza della realtà - fissandolo e conservandolo per sempre», ha scritto Andrej Tarkovskij: nei suoi film il tempo viene proiettato nella  dimensione tipica delle tragedie greche, in cui ogni istante assume un ruolo determinante, possedendo una sua necessità e un suo significato intrinseco. E' un tempo fisico e metafisico, che serve a mostrare la realtà intera, visibile e non visibile, che conduce attraverso le immagini ad una visione legata contemporaneamente  alla contemplazione e alla osservazione.

«La componente estetica del cinema si fonda su immagini dinamiche, lo spazio dinamico è a tre dimensioni sia dal punto di vista visivo che sonoro. La sacralità del tempo non può essere interrotta dal montaggio, pertanto nel cinema di Tarkovskij ci confrontiamo con la realizzazione di lunghe sequenze in tempi reali»: con queste parole Alessandra Guarino, del centro sperimentale di cinematografia, spiega il ruolo di  completa partecipazione assunto dallo spettatore  nella visione dei film del regista russo. La  percezione consapevole del movimento della macchina da presa fa sì che si instauri  una reciprocità interattiva tra regia e spettatore.

La prospettiva cinematografica realizzata da Tarkovskij è di una bellezza davvero rara, proprio perché costringe lo spettatore a ricollocarsi su  un'altra dimensione, paragonabile a quella della contemplazione artistica della pittura.

E i riferimenti alla pittura italiana del '400 e del'500, evidenti nel film Nostalghia, diventano il tramite per mettere in rapporto esplicito l'architettura e il cinema.

Infatti, la ricerca, dinamicamente continua, dei punti di vista in relazione alla centralità della percezione visiva sembra ricordare la faticosa conquista della prospettiva artificialis, il cui salto qualitativo, proprio del Rinascimento, avvicina l'ambito dell'indagine scientifica al versante della creatività artistica.


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«Occuparci del rapporto tra pittura e cinema, che cogliamo nei film di Tarkovskij,  significa attivare una sensibilità per un mondo altro che sembra estraneo all'architettura, ma non lo è; Aldo Rossi ammette che è stato più influenzato dal cinema che dall'architettura»: così Carlo Truppi ribadisce la sua convinzione che la "prefigurazione dell'architettura  muova da altre discipline" ed "il cinema con le sue capacità espressive, con la sua struttura narrativa sviluppata per immagini acquisisce il ruolo che ha sempre avuto la pittura" (Carlo Truppi, neI Luoghi dell'anima con Wim Wenders, Firenze,2007).

E le digressioni iconografiche riscontrabili nei film di Tarkovskij sono numerose: dai rapporti con i paesaggi fiamminghi di Bosch, e di Bruegel, nel film Andrej Rublëv, ai ritratti degli stessi nel film Stalker in cui, come fa notare Giacinto Taibi, «le riprese filmiche o cinematografiche mettono in risalto, in un contesto privo di colore, densamente e volutamente, volti fortemente espressivi, ricchi di carica emotiva, evidenziati dal sapiente uso del risalto dei toni» il cui riferimento culturale potrebbe essere Antonello da Messina.

Le inquadrature tarkovskijane sono sempre sconvolgenti per la loro complessità contenutistica. Secondo Andrea Ulivi, dell'Istituto Internazionale Tarkovskij, «è proprio il meccanismo percettivo che il regista usa per contaminare  lo spettatore» al punto di farlo diventare punto di fuga di una prospettiva inversa, che, nel film L'infanzia di Ivan, viene usato per accentuare la dimensione del protagonista, in maniera da trasmettere il disagio ed il dramma interiore del personaggio. Lo stesso espediente era impiegato nelle icone; in esse la prospettiva inversa conferiva ieraticità alle immagini, accentuando la sensazione dell'avanzare di "qualcuno" verso l'osservatore, che venga verso di noi, attuando una percezione simbolica di coinvolgimento altrettanto emotivo.  Il riferimento alle icone riporta al concetto di immagine espresso nella prima citazione. Infatti,  l'immagine per Tarkovskij è un mondo racchiuso in una goccia d'acqua, un mondo con tutti i suoi enigmi e il suo vissuto; l'icona (nell'accezione greca di immagine)  rappresenta una finestra aperta sull'invisibile, in cui l'oro zecchino della luce e la prospettiva inversa sono strumenti per rappresentare un altro mondo, quello dell'invisibile e del  mistero divino. 

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