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Facoltà

Gli spazi e le memorie della Catania di Sebastiano Addamo


 
 
28 novembre 2008
di Dora Marchese
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Ogni nascita, si sa, è una festa. Ed una festa è stata, lo scorso 11 novembre, la presentazione del romanzo di Sebastiano Addamo Il giudizio della sera, apparso nel 1974 per i tipi di Garzanti e ora riedito a cura di Sarah Zappulla Muscarà per i tascabili Bompiani.

Relatori dell'incontro - promosso dalla Facoltà di Lettere e filosofia nell'ambito della rassegna "Conversazioni in Sicilia", e tenutosi nell'Auditorium "De Carlo" impreziosito per l'occasione dalla mostra documentaria "Sebastiano Addamo e la Catania del suo tempo" -, sono stati Enrico Iachello, preside della Facoltà, e Salvatore Silvano Nigro, ordinario di Letteratura italiana alla Scuola Normale di Pisa, coordinati da Enzo Zappulla, presidente dell'Istituto di Storia dello spettacolo siciliano. Con la consueta maestria, Pippo Pattavina ha dato voce alla parola di Addamo leggendo ampi stralci del romanzo.

Narratore, poeta, saggista, giornalista (ricordiamo, tra l'altro, la collaborazione con «La Sicilia» e «L'Ora», e anche con diverse riviste nazionali), Sebastiano Addamo, ha ricordato Enzo Zappulla, è autore significativo nel panorama del Novecento letterario.

Intellettuale schivo, dal temperamento solitario, avverso ai facili protagonismi, già in vita Addamo ha ricevuto valutazioni positive e attestazioni di stima da parte di critici e scrittori. Tra i suoi sodali, Calvino, Consolo, Vittorini, Siciliano (che ne lodò lo stile di «scabra nudità»), Pasolini (lo definì «il nuovo Goncarov»), Sciascia che lo considerò un «fratello diverso» per la peculiarità della sua prosa e per i temi 'difficili' da lui affrontati (la solitudine, la malattia, la vecchiaia, la diversità).

Come è stato evidenziato nel corso dell'incontro, Il giudizio della sera, a metà tra romanzo di formazione e autobiografia, si offre come cronaca disincantata e scabra del difficile processo di crescita del giovane lentinese Gino (alter ego dello scrittore), approdato in una Catania  indolente, in cui presto esploderanno le tensioni belliche del secondo conflitto mondiale. La città è descritta con minuzia nel suo centro storico, nelle vie Etnea, Di Sangiuliano, Coppola, Di Prima, Umberto, nelle piazze del Duomo e Stesicoro, nelle ville Bellini e Pacini, nelle chiese della Collegiata e dei Minoriti, nei bar Savia e Spinella, nei quartieri di San Cristoforo, del Fortino e, soprattutto, di San Berillo (con le sue viuzze intricate e i cortili su cui si affacciano balconcini angusti), dove cercare pervicacemente esperienze sessuali, nel circondario dell'Ognina, della Plaja e della Trezza, come tenendo in mano una guida.


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La Catania rappresentata da Addamo non è quella «molle e pastosa» in cui sembra di «camminare in mezzo al miele» di Brancati, né quella «luccicante sotto il sole a picco» di Patti, autori in cui ugualmente centrale è la tematica erotica. Violentata dal conflitto, sconciata dalla fame, dalla miseria e dalla sporcizia, Catania, «mite e dolce», fatta di «case chiare e vetri scintillanti», perde la sua luminosità divenendo atona e opaca, plumbea, avvolta dal fumo delle bombe e delle macerie.

Ma accanto all'elemento erotico, il tema-chiave del romanzo è la guerra. Lentamente ma inesorabilmente si consuma la progressiva discesa agli inferi di Gino e dei suoi compagni venuti in città per frequentare il liceo, della collettività tutta, logorata dall'abbrutimento fisico ed etico.

Dopo avere ricordato il vincolo anche affettivo che lo legava all'amico e maestro Addamo, S: Silvano Nigro ha rapidamente tracciato il percorso artistico dello scrittore, soffermandosi sulla vicenda editoriale di quello che egli considera un racconto-saggio, Il giudizio della sera, "pensato nel 1968 e riscritto nel 1972-'73". Grazie agli spazi parentetici, ampi e frequenti, Addamo commenta l'esperienza giovanile alla luce della sua raggiunta maturità, rivalutando la funzione della parola. Tramite una lettera inviata a Nigro, lo scrittore catanese afferma che la parola "vana" nei tempi inutili diviene "necessaria nei tempi duri", quando si ha di fronte una situazione catastrofica.

Ribadendo l'importanza del rapporto tra storia e letteratura, discipline complementari e imprescindibili l'una per l'altra, Enrico Iachello ha messo a fuoco diversi temi e strategie narrative che rendono straordinario il romanzo. In primo luogo la capacità di registrare, in modo sintetico ma efficace, il processo di formazione del consenso al regime fascista; la stigmatizzazione di figure quali gli ebrei e i comunisti. Iachello ha poi osservato che il concetto di stretta relazione tra uomo e spazio urbano, da Addamo teorizzato con chiarezza, è acquisizione recente, della fine degli anni Novanta, precocemente intuita dallo scrittore il quale descrive la città con tecnica cinematografica. Infine ha sottolineato come il vero leit-motiv del racconto è costituito dagli odori. È attraverso il naso che avviene l'esperienza del mondo, un mondo corrotto e allo sfacelo che non può che emanare miasmi. Il mondo "si è suicidato".

La guerra appare sovvertimento di ogni ordine e di ogni morale, disfacimento «ideologico e religioso dell'Occidente, metafora della negazione della cultura dei padri, dell'alienazione e della reificazione», quello di Addamo essendo - ha sottolineato Sarah Zappulla Muscarà, a cui si deve la riproposta di numerosi nostri autori, da Ercole Patti a Giuseppe Bonaviri  - atto di accusa contro ogni totalitarismo «familiare, politico, etico».

Un incontro importante, per non dimenticare lo scrittore e la storia, per sconfiggere l'oblio per mezzo del libro che, per dirla con Orazio, è l'unico a vivere aere perennius.