ATTENZIONE!!!SI STA NAVIGANDO UNA VECCHIA VERSIONE DEL SITO
CLICCARE QUI PER LA VERSIONE ATTUALE DEL BOLLETTINO D'ATENEO
Facoltà

L'Università riscopre l'Opera dei pupi


 
 
28 novembre 2008
di Agnese Amaduri
amaduriOrlando (Pupo di Nino Amico 1968).jpg

Un teatro di prestigiosa tradizione fiorisce in Sicilia grazie ad alcune famiglie di pupari, depositarie di una sapienza antica, e vive attualmente una fase felice della propria storia, confermata dall'attenzione dedicata ad esso dagli studiosi.
Il forte interesse del mondo accademico per questo tipo di spettacolo è emerso in occasione della presentazione di due volumi - Pupi e attori. Ovvero l'opera dei pupi a Catania. Storia e documenti, di Bernardette Majorana, e Teatrar narrando: l'opera dei pupi catanese, di Donata Amico - svoltasi il 30 ottobre nel Coro di Notte dell'ex monastero dei Benedettini, nell'ambito del ciclo di incontri Conversazioni in Sicilia, organizzato dalla Facoltà di Lettere e filosofia in collaborazione con il quotidiano "La Sicilia". 

Non vi è siciliano che non conservi almeno in un frammento della propria memoria, tra le istantanee dell'infanzia, uno scontro tra le corazze finemente intarsiate e splendenti dei paladini di Francia sulle assi dei teatri dell'Opera dei pupi. Non vi è catanese che non abbia sgranato occhi di fanciullo di fronte alle marionette che si danno battaglia per desiderio di giustizia, per passione amorosa, per difendere il proprio signore e sovrano, animate dai movimenti sapienti dei "manianti" che ripropongono le gesta epiche dei cavalieri di Carlo Magno. 

Proprio la distinzione tra la figura del "maniante" e quella del "parlatore" è peculiare dell'Opera dei pupi catanese che, portando sulla scena burattini imponenti, non consentiva ad un'unica persona di gestirne ad un tempo i gravosi movimenti e la "parola".  La centralità di quest'ultima consegnava al "parlatore", che era in genere anche il regista dello spettacolo, un ruolo preminente, una particolare responsabilità, richiedendo insieme una notevole cultura, come ha sottolineato il professore Giuseppe Giarrizzo. Cultura erroneamente travisata in passato, quando il teatro dei pupi veniva superficialmente etichettato come "popolare".

Il repertorio orale, intrinsecamente precario e dunque di difficile reperibilità, nonostante la ponderosa opera di recupero e conservazione di canovacci e documenti, già attuata da Antonio Pasqualino e arricchita dai lavori di Donata Amico e Bernadette Majorana, necessiterebbe di una maggiore valorizzazione grazie magari, come ha suggerito ancora Giarrizzo, ad un'auspicabile collaborazione, ad un dialogo fecondo, con gli studiosi di linguistica.


amaduriUzeta, il pupo catanese (pupo di Nino Amico, 2006).jpg

Un prezioso patrimonio da salvare - secondo il professore Antonio Di Grado - attraverso musei ed archivi, e di cui la Facoltà di Lettere e filosofia di Catania da tempo sta facendosi carico, come ha confermato il preside Enrico Iachello nel proprio intervento.

La «flessibilità e disponibilità di una forma d'arte metamorfica, che si presta ad accogliere di tutto, rende l'Opera dei pupi straordinariamente moderna», un prodotto multimediale ante litteram - ha aggiunto Di Grado - e dunque riesce a dare voce ad un'antropologia cittadina che assorbe inevitabilmente gli umori, le tensioni storiche e sociali delle epoche  che attraversa.

Poterono così fare il loro ingresso trionfale sulla scena dell'Opra personaggi e topoi, come Garibaldi, lontani cronologicamente dai tradizionali cicli carolingi; poterono trovare espressione valori morali antichi e moderni. Anzi, la modernità stessa fece irruzione sulla scena, anche in virtù delle relazioni di alcuni pupari con uomini di spicco del panorama catanese, tra fine Ottocento e primo Novecento. Delle nuove idee e delle nuove istanze sociali pupari come Raffaele Trombetta si fecero interpreti di fronte al loro pubblico, come testimoniato dalle ricerche di Donata Amico.

Anche per questo l'Opra si offre come «tassonomia classificatoria precisa» - a giudizio di Alessandro Napoli - come griglia interpretativa del mondo ed allo stesso tempo si presta a farsi strumento di catarsi e palingenesi sociale, luogo fisico e metaforico di risoluzione delle storture e delle ingiustizie civili, facendo trionfare valori alti, cavallereschi. Non trova spazio nel teatro dei pupi l'ambiguità caotica del mondo reale, non pertiene ad esso l'impossibilità di distinguere tra bene e male; i pupi offrono chiara la dicotomia tra eroi positivi e figure malvagie ed assolvono così anche una chiara funzione didattica e pedagogica che già gli antichi pupari  riconoscevano tra i fini della propria opera.  

Non solo attenti ai contenuti ed alle istanze di una società in continua mutazione, i pupari catanesi seppero anche guardare al melodramma e al teatro di prosa per coglierne le evoluzioni tecniche e attoriali, assorbendo la tendenza ad una recitazione ricca di pathos e di tensioni tragiche, scandite dal ritmo impresso abilmente da parlatori e parlatrici, che potessero dare credibilità e realismo al racconto.

Il rapporto dialogico tra queste diverse forme di teatro ha fornito sollecitazioni originali e proficue al tradizionale dramma in prosa. Proprio a Catania, nel 1978, vide la luce una commedia musicale di grande successo, Pipino il breve, frutto della collaborazione tra Giuseppe Di Martino - regista e cultore di tradizioni popolari - e Tony Cucchiara. La commedia non fu concepita come semplice trasposizione scenica dell'epopea carolingia, materia tradizionale dei canovacci dei pupari, bensì come opera ibrida, che vide gli attori plasmare progressivamente i propri gesti ad imitare la rigidità dei pupi. Fu una scelta tanto fortunata da spingere il Teatro Stabile a riproporla quest'anno al pubblico catanese, nel cinquantenario della nascita del Musco, come ha ricordato il direttore artistico Giuseppe Di Pasquale.

Archiviata ormai la crisi degli anni Sessanta e Settanta, allorché sembrò che il teatro dei pupi avesse perduto il favore e  l'affetto degli spettatori, e molte compagnie furono costrette a chiudere, oggi esso può godere del riconoscimento offerto dall'UNESCO che lo ha dichiarato patrimonio dell'umanità. Soprattutto grazie a dinastie di pupari che hanno continuato a coltivare nelle proprie botteghe  quest'arte come vocazione totalizzante, l'Opera dei pupi potrà ancora ammaliare in futuro un pubblico rinnovato.