ATTENZIONE!!!SI STA NAVIGANDO UNA VECCHIA VERSIONE DEL SITO
CLICCARE QUI PER LA VERSIONE ATTUALE DEL BOLLETTINO D'ATENEO
AD AUGENDUM, FIRMANDUM, ET EXORNANDUM SICULORUM GYMNASIUM, CATINÆ IN URBE CLARISSIMA, VETUSTA BONARUM ARTIUM SEDE
Facoltà

"Un saluto attraverso le stelle"

Intervista a Marisa Bulgheroni

 
 
21 aprile 2008
di Floriana Puglisi
puglisi_n.2.jpg

Un saluto attraverso le stelle riconduce i lettori al momento conclusivo della II Guerra Mondiale, alla lotta partigiana contro i nazi-fascisti e alla capitolazione finale di Mussolini. Questi eventi eccezionali fanno tuttavia da sfondo ai ricordi e alle vicende personali della protagonista, in un continuo intreccio tra storia pubblica e storia privata, personaggi di spicco e personaggi secondari, universo maschile e universo femminile. Quale è dunque la concezione della Storia da cui prende origine il suo romanzo? Quale è il suo ideale di rappresentazione storica?
Credo, come credeva Tolstoj, che la storia rimarrà incompiuta finché non sarà "storia di tutti", come lui stesso provò a narrarla in Guerra e pace, dove il soldato-contadino Platon Karataev è incisivo, nella sua saggezza di perdente, quanto il generale Kutuzov, vincente, alla fine, sul grande Napoleone. Io sono cresciuta in una famiglia dove la storia era ossessivamente presente: nell'impegno civile, nelle narrazioni e nelle leggende - il bisnonno garibaldino alla battaglia di San Fermo, la bisnonna che tenta di raggiungerlo sul campo. Ho affidato la mia personale concezione della storia alle parole di Marianna, la madre della protagonista del mio romanzo: "Ricordati, Isabella, che la storia non è la somma degli eventi soltanto. È un insieme di sogni, di illusioni, di progetti mancati. È una messa in scena in cui tutti a ugual diritto siamo attori. Ma è anche un teatro dell'anima di cui niente rimane se qualcuno non ha la forza e la pazienza di raccontare." La storia - non maiuscola né minuscola - si arricchisce ogni giorno di innumerevoli controstorie e microstorie delle quali l'ufficialità prima o poi è costretta a tenere conto. Il romanziere può essere lo storico di quanto è stato - o è - occultato o rimosso. Penso a Fenoglio e al suo Partigiano Johnny, che oggi è storia.

Da romanzo storico a bildungsroman, ad autobiografia, come descriverebbe la sua opera? Quali, eventualmente, le differenze con la tradizione - o le tradizioni - a cui rimanda?
Ho voluto narrare la storia vissuta in prima persona: non soltanto dalla protagonista, ma dai vari personaggi chiamati a recitare un ruolo inatteso nel dramma della guerra civile e dagli stessi potenti - Mussolini, Ciano, gli altri partecipanti al Gran Consiglio del 24/25 luglio 1943. L'epica quotidiana dei molti s'incrocia, nelle pagine del romanzo, con l'insensata saga dei pochi - sorpresi, alla vigilia del crollo, in tragica intimità con se stessi. L'immaginazione riempie i vuoti della memoria, rivelando l'anarchica simultaneità dei destini. Per ottenere questo effetto - di storia vissuta da tutti sulla propria pelle - ho usato le diverse strategie romanzesche che lei cita: autobiografia, bildungsroman, romanzo storico e moduli narrativi diversi, dall'epico all'elegiaco. Credo di essermi distaccata dai modelli in una precisa invenzione testuale: alternando il "tondo" della rimemorazione del passato al "corsivo" della visione o azione successiva, ho situato quel passato in un orizzonte di futuro. Ho inteso scrivere un romanzo storico in cui l'ieri vivesse in un serrato confronto con l'oggi e la memoria si rovesciasse in profezia.


puglisi_n.3.jpg

Dal punto di vista narrativo, la sua opera risulta estremamente interessante. La scelta felice di una doppia narrazione - sia prima persona (la voce della protagonista Isabella) sia in terza persona - permette il continuo intreccio tra passato e presente, guerre relativamente lontane (il conflitto mondiale, la "guerra civile" italiana) e guerre attuali (l'attacco alle Torri Gemelle, le ostilità in Medio Oriente), con lo straordinario effetto di indurre le coscienze dei lettori a riflettere sulla persistenza dell'odio nella storia. Questa sua sperimentazione con le forme narrative è subordinata al tema della memoria, o, è solo il frutto di un'accurata ricerca espressiva là dove "intorno mutavano i linguaggi, mutavano le narrazioni; i vecchi congegni si inceppavano"?
Sì, la sperimentazione è legata al tema della memoria, che oggi è minacciata costantemente dall'oblio, sopraffatta dall'ultimo evento mediatico che cancella i precedenti, e scheggiata, intermittente, come le nostre vite. Soltanto dalla distanza, dalla prospettiva vertiginosa del futuro, la memoria riesce a ricuperare un passato rimosso di violenze, odi, torture fisiche e mentali, ma anche di emozioni vitali, scelte decisive, crescita nella bufera. In un mondo di linguaggi e di narrazioni in continuo mutamento ho cercato modalità espressive diverse per far vivere simultaneamente frammenti di passato e di futuro nell'urto di imprevedibili connessioni. Se sono riuscita a toccare la coscienza anche di un solo "figlio" o di una sola "figlia futura", l'esperimento è riuscito.

Spostando i riflettori dalle cronache ufficiali a quelle private, dagli avvenimenti eccezionali alla quotidianità, lei non ha solo regalato ritratti inediti di personaggi illustri come Galeazzo Ciano, Clara e Mussolini; ha soprattutto portato alla ribalta voci femminili, nella fitta rete di rapporti intessuta tra madre e figlie, tra sorelle, tra vecchie e nuove generazioni. In che modo la loro visione si oppone alla storia dei padri?
La contrapposizione tra storia dei padri e visione delle madri è sottesa a quasi ogni pagina del romanzo. Si fa azione concreta quando la protagonista (Isabella), anni dopo, percorre, per un caso che sembra provocato dal desiderio, i campi di battaglia dove padri, fratelli, innamorati, avevano compiuto le loro imprese di eroi omerici. Trova, nel deserto africano, mine affioranti dalla sabbia, relitti di guerra, ossa ancora insepolte. Scopre, nella pianura russa, un paesaggio immutato, restituito alla pace. È come se nel suo sguardo scattasse la decisione delle donne di non essere mai più confinate al ruolo di spettatrici, di opporre alla violenza del potere l'energia della parola trasformatrice: quella tolstojana sapienza del perdente che può, mutandosi in giusta rabbia, modificare la storia.

Dalla maglia al ricamo, dai racconti delle madri alla tela di Penelope, i riferimenti alla creatività femminile sono costanti e numerosi. Si avvertono, tuttavia, una certa irrequietezza, ossessione, talvolta violenza, che alludono al complesso rapporto tra donne e scrittura. Cosa vuole suggerire, nel romanzo, con l'accanimento e le difficoltà di Isabella nel suo approccio alla scrittura? È, la parola femminile, quella carica esplosiva suggerita dalla Dickinson con la metafora del fucile carico? Cito dal suo testo, dove il simbolo dickinsoniano sembrerebbe sostituito dalla più attuale immagine degli aerei che si sono abbattuti sulle Torri Gemelle: "il primo, e poi il secondo, jet suicida mi è apparso come una penna infuocata che penetri una pagina a quadretti fittissimi di vetro e acciaio, e la squarci e la bruci, consegnando al vento dell'oceano le ceneri di parole vive".
La parola femminile, più a lungo e sotterraneamente elaborata, nutrita di silenzi, ha avuto nel caso esemplare di Emily Dickinson la violenza di un'esplosione annunciata, anche se percepita a distanza di quasi un secolo. Nel mio testo, l'immagine dell'"ago rovente" che si trasforma in "penna infuocata" definisce la partecipazione di chi - donna - vorrebbe, con la forza della parola, dominare lo schianto che ha contrassegnato il Duemila.

 "La storia" - come lei scrive - "era una mappa di appuntamenti mancati". Quale sarà, invece, il suo prossimo appuntamento con la storia da non mancare?
Non vorrei mancare, come narratrice, all'appuntamento con le metamorfosi che la storia, giorno per giorno, ci prepara.

Credits