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Università e territorio

Intervista allo storico Denis Bocquet (Institut français - Dresda)


 
 
21 aprile 2008
di Maria Albèrgamo
Denis Bocquet.gif

Il problema del limite emerge come nodo problematico nella definizione di piccola città. Cosa rappresenta questo per uno storico?
La ricerca, non solo francese, si è fermata a lungo sulla questione del limite, della soglia. A mio avviso, la ricerca sulla soglia è stata importante, ma allo stesso tempo ha rappresentato un limite alla ricerca stessa. Non si deve per forza raggiungere un accordo internazionale sulla soglia di 2000 abitanti, ad esempio, per parlare di piccole città. Anche perché si dimentica che c'è il problema della soglia superiore: ovvero fino a quanti abitanti una città rimane piccola?
Quali altri elementi si possono allora prendere in considerazione?
Per esempio, la diffusione nelle piccole città di fenomeni che interpretavamo solo a partire dall'esempio delle grandi città. Secondo me studiare le piccole città è interessante non solo in riferimento ad esse, ma anche perché, in una seconda fase della ricerca, sono utili per reinterpretare alcuni fenomeni storici, fondamentali per la storia dell' '800 e del '900, quali l'industrializzazione, l'urbanizzazione, la diffusione di nuovi modi di vita. Noi abbiamo una percezione di questi fenomeni storici fondata essenzialmente sulla logica delle grandi città. Invece, studiando i piccoli centri, ci siamo resi conto che non è esattamente successo così e che, per esempio, l'industria ha una sua storia specifica nella piccola città. Accordare un'attenzione a questa specificità ci permette di riconsiderare l'intero fenomeno con uno sguardo diverso. Lo stesso vale per i modi di vita borghese, per i cambiamenti dell'abitare o per i codici sociali.
Anche la concezione dello spazio cambia se studiata nell'ottica della piccola città?
Sì, lo spazio delle case o quello pubblico. Ad esempio, in Francia si è studiato molto l''Ottocento a partire dalla trasformazione di Parigi. Ma non basta.
Secondo me, lo studio condotto sulle piccole città non si deve fermare alla constatazione di alcuni fenomeni tipici come il bovarismo, ma deve servire a modificare i nostri tòpoi concettuali relativi alla dimensione globale della società. Ad esempio, sino a qualche tempo fa la prima forma di globalizzazione è stata considerata come esclusivo appannaggio della grande città. Invece, ci si è resi conto che i prodotti tropicali, per esempio, arrivavano nelle piccole città. La globalizzazione non va vista solo in centri come  Parigi o Dubai. Lo studio della piccola città insegna che c'è una diffusione capillare e ci invita a ripensare l'intero fenomeno. Purtroppo è molto radicata l'idea che la globalizzazione sia un pilastro su cui poggia la terra, ma in realtà essa va vista piuttosto come una ragnatela.
Per cui lo studio della piccola città ha senso solo in un'ottica che lo riferisca ad una dimensione più vasta e globale.

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