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Occupazione

Qualità dell'istruzione superiore e mercato del lavoro

Analisi dell'efficacia della laurea

 
 
21 aprile 2008
di Simona Rizzari
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La qualità della formazione erogata - intesa come adeguatezza del percorso formativo al profilo culturale e professionale che si prefigge di sviluppare - costituisce, da qualche anno a questa parte, uno degli aspetti maggiormente dibattuti nell'ambito delle istituzioni universitarie. Essa, infatti, non solo rappresenta la condizione sine qua non per la realizzazione dello spazio europeo dell'istruzione superiore ma, cosa ancor più importante, risulta determinante ai fini dell'inserimento dei giovani laureati nel mercato del lavoro. Nell'esaminare i diversi fattori che dovrebbero consentire agli atenei una reale assicurazione della qualità, il focus dell'attenzione è posto, in particolare, sul grado di utilizzazione delle competenze acquisite durante gli studi universitari nel contesto lavorativo.

Nella letteratura economica, il mancato allineamento tra competenze possedute e competenze richieste per lo svolgimento di un determinato lavoro viene indicato con il termine skillmismatch e, insieme all'educational mismatch - presente nel caso in cui sia il titolo di studio a risultare superiore o inferiore rispetto a quello richiesto - è un valido indicatore della congruenza tra sviluppo economico e sviluppo culturale all'interno di un paese. Esiste, anche, una terza tipologia di mismatch, il cosiddetto spatial mismatch: esso è connesso alla convivenza tra aree geografiche, settori industriali o gruppi sociali con ritmi di crescita e di sviluppo differenti ed è ampiamente presente nella realtà italiana.


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Significativi spunti di riflessione in merito alla tematica del mismatch vengono offerti dalla X indagine 2007 di AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati italiani, i cui risultati sono stati presentati nel corso del convegno Formazione universitaria ed esigenze del mercato del lavoro, tenutosi a Catania il 29 febbraio scorso. Dall'analisi dei dati emerge come in Italia vi sia una sovra-qualificazione (overskill) dei laureati rispetto alle richieste del mercato del lavoro. Infatti, alla domanda «Utilizzi le competenze universitarie per il lavoro?», il 52% dei laureati, intervistati a cinque anni dalla laurea, ha dichiarato di utilizzarle in misura elevata, il 39% degli stessi ha risposto che le utilizza in misura ridotta, il 9% che non le utilizza affatto: quasi la metà del campione impiega, cioè, solo in parte le competenze acquisite durante gli anni di studio universitario.
L'applicazione delle competenze risulta maggiore nel settore privato rispetto a quello pubblico, più consistente tra i lavoratori del "mercato protetto" (per i quali cioè la laurea costituisce il requisito di legge per svolgere un determinato lavoro), rispetto a tutti gli altri.
La probabilità di usarle in modo elevato aumenta, altresì, sensibilmente negli ambienti di lavoro con un alto grado di innovazione e un cospicuo investimento in formazione.
A determinare il cambiamento lavorativo, infine, è più frequentemente la presenza di un educational mismatch piuttosto che di uno skill mismatch, a riprova del fatto che, in proporzione al crescere del numero dei laureati, il valore della laurea va diminuendo nel corso degli anni. Si rileva, in definitiva, come l'uso delle competenze universitarie - l'efficacia della laurea - sia in funzione tanto del contesto lavorativo di riferimento quanto delle caratteristiche del lavoro svolto e delle aspettative dei lavoratori stessi. La variabile più importante, in tal senso, è quella ambientale, strettamente connessa alla natura dell'organizzazione in cui il laureato è inserito. Le ricadute di tutto ciò in campo economico e sociale sono ovviamente notevoli, a livello sia di macrosistema - con evidenti effetti negativi sul PIL e sulla competitività internazionale - sia di microsistema, in termini di riduzione dei salari e di insoddisfazione dei lavoratori.

Come ha osservato giustamente Muzio Gola, vice-rettore per la qualità del Politecnico di Torino, siffatte conclusioni risultano poco compatibili con la visione di un'assicurazione della qualità interna delle istituzioni di istruzione superiore e pongono a queste ultime diversi interrogativi. Ci si dovrebbe chiedere, da un lato, quale sia l'effettiva capacità di assorbimento dei laureati da parte del mercato del lavoro e quale tipo di valutazione - positiva o negativa - le imprese attribuiscano alle competenze fornite dalla laurea; dall'altro, quanto le aspettative nutrite prima della laurea e al momento dell'ingresso nel mercato del lavoro influiscano sull'autopercezione delle competenze da parte dei soggetti intervistati.

Le istituzioni universitarie dovrebbero domandarsi, inoltre, quale sia il grado di conformità del curricolo da loro proposto alle richieste del mercato lavorativo e, di conseguenza, predisporre percorsi formativi coerenti con tali richieste. In questa prospettiva, per le università puntare alla definizione chiara del proprio progetto formativo e alla formazione continua dei propri laureati si rivela una necessità, nella misura in cui la laurea, di per sé, non costituisce una garanzia della validità nel tempo delle competenze acquisite. Resta inteso come ogni sforzo in tale direzione risulterà, comunque, vano se il mercato del lavoro non si mostrerà anch'esso in grado di valorizzare il contributo offerto dai "lavoratori della conoscenza" ai fini dell'innovazione e della competitività delle imprese. Un aspetto, quest'ultimo, di cui tener conto soprattutto nelle aree del centro e del sud del nostro paese, di gran lunga penalizzate in termini occupazionali rispetto alle aree del nord-est, anche a causa della ridotta concentrazione industriale.

Valgano come testimonianza, in proposito, le parole del Rettore dell'Università di Catania, professor Antonino Recca che, intervenendo al convegno di AlmaLaurea, così si è espresso: «I nostri studenti scontano in partenza la difficile situazione socio-economica delle regioni del Mezzogiorno; per questo l'Ateneo deve continuare a lavorare per aumentare l'appeal del bagaglio culturale e professionale dei propri iscritti, sia nella definizione dei curricolididattici, sia avviando nuove occasioni di collaborazione con il mondo del lavoro».

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