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Pari Opportunità

Stalking e violenza sulle donne

Un termine nuovo per un problema di sempre

 
 
28 gennaio 2009
di Rita Palidda
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Martedì 25 novembre 2008, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, si è tenuto nella facoltà di Scienze politiche un convegno sullo stalking, promosso dal Comitato Pari Opportunità del Sindacato Italiano Appartenenti Polizia e dal Comitato Pari Opportunità dell'Ateneo di Catania. Hanno partecipato all'incontro rappresentanti delle forze dell'ordine, del non profit e dell'università. L'iniziativa si inserisce in un percorso di ricerca e di sensibilizzazione che la facoltà conduce ormai da anni, collaborando con istituzioni nazionali e locali e con soggetti del settore non profit in una prospettiva di analisi che guarda agli aspetti sociali, giuridici e culturali del fenomeno e alle possibili misure di contrasto.

Stalking è un termine inglese che fa riferimento a comportamenti di persecuzione e molestia assillante tenuti da un individuo nei confronti di un'altra persona che possono arrivare a comprometterne il normale svolgimento della quotidianità.La persecuzione avviene solitamente mediante reiterati tentativi di comunicazione verbale e scritta, appostamenti ed intrusioni nella vita privata che hanno un andamento crescente e culminano in minacce e in aggressioni fisiche che possono arrivare fino all'uccisione della vittima. Lo stalker può essere un estraneo, ma il più delle volte è un conoscente o un ex-partner che agisce spinto dal desiderio di recuperare il precedente rapporto o per vendicarsi di qualche torto subito. Nella maggior parte dei casi si tratta di soggetti di sesso maschile che non accettano la fine di un rapporto affettivo.

In particolare, è stato segnalato in letteratura che è più probabile che gli uomini stalker agiscano nei confronti di una persona con cui hanno avuto una relazione intima e che quanto più la relazione interrotta  è stata lunga e seria, tanto più assillanti e gravi risultano gli atti posti in essere dello stalker. La più importante ricerca sull'argomento, condotta negli USA, nella metà degli anni novanta (National Violence Against Women), ha rivelato sia l'estensione del fenomeno (che secondo i risultati dell'indagine riguarda l'8% delle donne e il 2% cento degli uomini), sia le sue caratteristiche salienti: la maggior parte delle vittime di stalking è costituita da donne (78%) e la maggior parte degli stalkers sono di sesso maschile (87%). Nella gran parte dei casi la vittima conosce lo stalker e solo il 23% delle donne e il 36% degli uomini è stato perseguitato da uno sconosciuto. In Italia, l'Osservatorio Nazionale Stalking sta svolgendo da qualche anno una ricerca volta a individuare l'incidenza del fenomeno ed è stato presentato in parlamento un progetto di legge volto a sanzionarlo come reato specifico.


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Lo stalking si inscrive all'interno della più generale questione della violenza sulle donne che, lungi dal riguardare solo le donne dei paesi sottosviluppati o degli ambienti sociali più svantaggiati, è largamente presente anche nei paesi avanzati. Ricerche e studi e condotti negli anni recenti, anche sulla scorta di dati istituzionali ormai periodicamente disponibili, hanno evidenziato la trasversalità del fenomeno per quanto riguarda i profili socio-biografici delle vittime e degli autori della violenza, mostrando altresì che la maggior parte delle violenze vengono esercitate in ambito familiare o in circuiti relazionali caratterizzati da intimità e affettività.

In ogni caso, anche laddove la violenza provenga da estranei, essa implica  un persistente orientamento a considerare quello femminile un corpo violabile, a scopo sessuale, di punizione o di rivalsa, e la libertà delle donne di disporre del proprio corpo, dello spazio in cui vivono e delle relazioni con gli altri, più limitata di quella degli uomini.

La violenza sulle donne ha una sua specificità che non permette di assimilarla alle altre forme di devianza. Essa è inscindibilmente legata alle modalità con cui si sono definite le relazioni tra sfera pubblica e sfera privata e i ruoli di uomini e donne all'interno delle due sfere. Le relazioni fra i due sessi infatti, non solo hanno storicamente comportato un accesso differenziato alle risorse socialmente rilevanti (prestigio, potere e ricchezza), ma hanno anche continuato ad includere la dipendenza personale delle donne rispetto agli uomini e il potere maschile di disporre del corpo femminile.

I principi di libertà, autonomia personale e uguaglianza sono rimasti nell'ambito del privato pericolosamente avviluppati con gli ideali della complementarietà e della fusionalità. Il considerare naturale e obbligata la finalizzazione della vita delle donne alla cura della propria famiglia e del proprio uomo, ha legittimato sconfinamenti illimitati nella prassi di oblatività e di sottomissione che un tale destino comportava. A partire dalla necessità sociale di esercitare un controllo sul frutto del concepimento e sulla supposta possibilità di separare chi genera la vita dal frutto della generazione, si è legittimato, sul piano micro, il partner, su quello macro, le leggi, a pretendere un potere sul corpo femminile, che ha assunto nel tempo e nello spazio i connotati più vari, ma che appare un nodo ancora irrisolto.


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La violabilità del corpo femminile in passato era esplicitamente sancita da norme giuridiche, culture e pratiche sociali, e ancora oggi viene implicitamente ribadita non solo dal sessismo della cultura dominante, ma anche dalla infinita scia di violenza che attraversa la vita di donne di ceto e appartenenza territoriale diversi. Di fatto, la violabilità del corpo femminile confligge con quelli che sono stati definiti come i diritti fondamentali dell'uomo.

La violenza è stata bandita dalle transazioni sociali e le libertà personali sono state poste a fondamento dei rapporti sociali nella società moderna, che però ha più o meno implicitamente previsto o tollerato che le donne avessero meno diritti sul piano della libertà di disporre del proprio corpo e su quello del riconoscimento sociale e giuridico del lavoro di cura svolto nell'ambito domestico.

E' sulla base di queste considerazioni, pur sommariamente richiamate, che la battaglia contro la violenza va considerata una battaglia per compiere la cittadinanza, essa va assunta da donne e uomini e va condotta su una molteplicità di piani che coinvolgano i processi di costruzione delle identità sessuali, la cultura, le leggi e i loro strumenti di attuazione, l'organizzazione del lavoro e della quotidianità familiare.

I passi avanti in questa direzione sono stati negli anni recenti imponenti, ma ancora inadeguati. Va, soprattutto, notato che il percorso di riflessione e di trasformazione della propria identità e della propria vita quotidiana svolto dalle donne in direzione dell'autodeterminazione, della costruzione di un'identità complessa, della compatibilità tra logiche del mercato e logiche della reciprocità, non ha incontrato un percorso maschile analogo, incrociando spesso uomini confusi o restii a impegnarsi nel tentativo, certo non facile, di trovare codici di comunicazione diversi  nel confronto tra i generi.

Per questo occorre che la procedura, che tante donne hanno sperimentato negli ultimi decenni, del partire da sé, come unità inscindibile di corpo, di cultura e di pratica sociale, venga adottata dagli uomini per trovare nuove identità, nuovi codici di comunicazione, nuove forme di autorealizzazione che non passino attraverso la costrizione ad assumere logiche di sopraffazione. Un processo che deve prendere le mosse soprattutto dai giovani, uomini e donne, che più che di educazione sessuale hanno bisogno di educazione alla cittadinanza e di educazione dei sentimenti.