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Dossier/ Il ruolo dell'Università per lo sviluppo di una cultura ambientale

Scienza etica o etica filosofica?

La 'scelta' come via di dialogo tra scienza e filosofia

 
 
25 febbraio 2009
di Salvatore Vasta
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Parafrasando Albert Schweitzer, il quale affermava che «un'etica che si occupa soltanto di esseri umani è disumana», si potrebbe sostenere che una scienza che si occupi esclusivamente della natura nei termini della sua conoscenza materiale è altrettanto "non naturale". Si tranquillizzi, la scienza. Il valore importantissimo dell'azione della scoperta scientifica per l'uomo dovrebbe rimanere invalicabile a qualsiasi attacco destabilizzante da parte di certa teologia e certa filosofia. E se ciò accade, la ragione non risiede nella inadeguatezza da parte della scienza a rispondere a certi attacchi, ma nell'isolamento progressivo che la costruzione concettuale della scienza ha portato inevitabilmente con sé nei confronti di altre forme di sapere, soprattutto quella filosofica. Un allontanamento che è divenuto separazione, fino ad assumere, talvolta, i toni della conflittualità insanabile.

Si dimentica spesso che filosofia, scienza e natura sono state per l'Occidente il segno distintivo dell'indagine razionale. Questa complessa matrice è stata vista operare nella realtà, trasformando sostanzialmente la natura a nostro vantaggio. Ma il più delle volte ci siamo mostrati poco attenti a ponderare anche le conseguenze delle scelte adottate, "toccando" - come nel caso della realtà ecologica - il cuore di equilibri già dati.

Tuttavia, non si può dimenticare che senza un'appropriazione concettuale della natura, non avrebbe avuto luogo l'esperienza filosofica né quella scientifica, figlia della precedente. Infatti, non saremmo arrivati a concepire il nostro posto nella natura e non avremmo neanche tentato di trasformarla secondo i nostri fini. Ed ecco il punto su cui scienza e filosofia (e anche teologia) si trovano costantemente a dibattere: stabilire, per principio, se l'uomo sia dentro la natura o se si sia tratto da sé, parzialmente o interamente, fuori da essa. Nella storia delle idee, per dipanare il nodo, l'utopia, la miopia, la contingenza o la responsabilità, cui si appellano le varie posizioni, individuano la vera differenza che distingue la scelta razionale da una irrazionale, lo scarto tra il vantaggio del nostro stato o il suo peggioramento.

Oggi che, rispetto al passato, come suole affermare il filosofo della scienza Evandro Agazzi, «conosciamo di più e meglio», nessuna scienza e nessuna filosofia possono ignorare i rischi collegati agli atti applicativi conseguenti alla tecnoscienza. In questo secolo "conoscere" non equivarrà semplicemente a "poter fare"; significherà sempre più "scegliere". E la scelta comporterà una direzione di azione.


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Sappiamo perfettamente dove stiamo andando: le logiche della razionalità non costituiscono un mistero per gli uomini che ne vogliano disporre correttamente. Tra i molti scienziati che furono anche filosofi, mi limito a ricordare Aristotele e Galilei. Di un'etica forte fecero possibile esperienza, oltre che di filosofia, anche di scienza. E il secondo, più del primo, persino di vita. Sappiamo che non esiste e non può esistere una scienza/etica. La scienza è essenzialmente chiamata a spiegare la realtà, non ad attribuirle valori. Del pari, l'etica filosofica non può costituire una teoria conoscitiva valida, quando si tratta di spiegare scientificamente la realtà. Impossibilità comunicativa tra i due schieramenti, dunque? Certamente no. Non è umano, cioè razionale, pensarlo. Qui si tratta di scontata differenza disciplinare.

L'etica dell'ambiente è, secondo una definizione classica, il tentativo di giustificare il senso in cui può dirsi morale l'azione umana rivolta ad un ambito tradizionalmente non-morale, cioè la natura. In generale, le possibili soluzioni a questo problema sono essenzialmente due: l'allargamento anche agli esseri non umani delle norme etiche valide per l'uomo (Schweitzer, per esempio, apparteneva a questo schieramento) e l'antropocentrismo debole, che cerca di dedurre il significato morale dell'azione dell'uomo sulla natura, avvalendosi delle medesime categorie valide per la morale umana. Queste impostazioni, impongono passaggi assai difficili da accettare. E ciò sia perché dal punto di vista conoscitivo esse sono non consistenti, sia perché non vi è più conoscenza scientifica, sotto il profilo delle questioni ecologiche, disancorabile dalla politica e dall'economia.

In generale, l'etica ecologica stenta oggi a decollare nelle pratiche universitarie italiane, ma si affaccia comunque a piccoli passi verso un futuro di successo. Chi scrive azzarda una previsione, scontata. Essa riguarderà di certo il dilemma proposto da uno dei suoi specialisti, l'australiano John Passmore: se l'Occidente vorrà risolvere i problemi che ha di fronte, dovrà decidere cosa eliminare e cosa tenere. Gioco molto vecchio, questo, al cui interno il calcolo dei rischi non è meno complesso della scelta etica su cosa siamo disposti a dare in cambio, al fine di assicurare all'uomo un futuro razionale. Inutile sottolineare che, per non incorrere nel dilemma, è necessario evitare a tutti i costi di giungere al punto di non ritorno: dovere cedere, cioè, moneta etica a favore di oboli versati alla scienza. O viceversa. Ecco perché è opportuno che la scienza guardi anche alla possibilità di rafforzare la sua componente valoriale interna, con direttive "anche etiche", che nessuno può imporre dal di fuori, ma che ambiti come quello filosofico possono notevolmente contribuire a stimolare e ad accrescere.

Mai come oggi il binomio scienza ed etica filosofica collegata all'ambiente è chiamato a rinvigorire il proprio legame. In Italia, dove le poche tematiche ambientali trattate in filosofia fanno breccia in campo scientifico, un'attenzione più costante alla questione, da parte dell'accademia, non costituirebbe un eccesso di maniera.

L'umanità è una. E il numero delle scelte vantaggiose a sua disposizione non è maggiore della disponibilità delle risorse del pianeta. L'etica filosofica, anche la più utopica, e la scienza, anche la più sofisticata ce lo suggeriscono: il futuro va scelto.