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Ateneo

Giarrizzo, il ricordo del rettore

"L'Ateneo non tradirà il suo impegno"

 
 
28 novembre 2015
di Giacomo Pignataro
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Siamo qui convenuti per onorare il professore Giuseppe Giarrizzo, una delle personalità accademiche più eminenti e prestigiose non soltanto del nostro Ateneo, ma del panorama scientifico europeo, come è dimostrato da alcune presenze significative in quest'aula, una fra tutte quella del professore Maurice Aymard, che con Giarrizzo ha condiviso un lungo sodalizio intellettuale, e, soprattutto, i tanti messaggi che sono stati ricevuti dai colleghi e dagli amici del prof. Giarrizzo. Abbiamo deciso di commemorare la sua scomparsa in un luogo emblematico della sua vita professionale e accademica, il Monastero dei Benedettini, un luogo che per lui ha soprattutto rappresentato una grande sfida intellettuale e culturale; nell'Aula Magna Santo Mazzarino che, altrettanto emblematicamente, porta il nome di colui che ha contribuito ad avviare Giarrizzo lungo il sentiero della ricerca storica e, quindi, della sua avventura intellettuale. 

Avremo tante e migliori occasioni per ricostruire il suo contributo scientifico, per serbarne e tramandarne la memoria, com'è nostro dovere; per ripercorrere il suo affascinante viaggio intellettuale (e anche materiale) con le personalità più di spicco della cultura europea del secolo scorso. Oggi è importante esprimergli, attraverso questa presenza corale della nostra comunità universitaria, un saluto che sia soprattutto manifestazione della gratitudine che la nostra Università gli deve.

Nella sua lunga carriera accademica, il prof. Giarrizzo ha voluto e saputo unire l'impegno per la ricerca scientifico e per la formazione delle giovani generazioni, che caratterizza ogni docente, a quello istituzionale, consapevole che, per la responsabilità che ci è affidata di autogoverno della nostra istituzione, una certa visione del ruolo del sapere e dell'istruzione universitaria deve necessariamente concretizzarsi nella costruzione di un'organizzazione che corrisponda in modo efficace a quel ruolo. 

Giunto, infatti, alle massime responsabilità accademiche proprio negli anni del Sessantotto, egli è stato custode di una concezione secondo cui l'Università, nonostante l'apertura di massa, deve continuare a coltivare una vocazione d'élite, che si riscontra nella proiezione europea della propria attività di ricerca. "Destato dall'occupazione del Palazzo Centrale - raccontò molti anni dopo in un'intervista - provai a studiare quell'evento di cui non è facile cancellare l'importanza. In quel caso, come per altri casi del mio passato e del futuro, ebbi acuta e dolorosa consapevolezza dello squilibrio esistente tra obiettivi e strumenti: m'indignava il carattere strumentale dei 'furbi', accademici o intellettuali che fossero, nell'adesione in vista di obiettivi politici e culturali già sconfitti. Quel che temevo di più era la delusione, il ripiegamento al termine della stagione. E son tornato su quella utopia, che toccò i miei figli, per osservare che ai miei nipoti non quella fede hanno trasmessa ma la frustrazione per la sconfitta".

Nel lungo trentennio della sua presidenza forgiò la "sua" Facoltà di Lettere garantendo con il suo prestigio intellettuale che l'Università di Catania mantenesse un alto rango di apertura internazionale. Di questa sua capacità di combinare l'impegno di studioso con quello istituzionale si è giovata non soltanto la Facoltà di Lettere e Filosofia, ma l'intero Ateneo che ha sempre riconosciuto in Giarrizzo, insieme ad altre storiche figure di Presidi di quegli anni, un punto di riferimento e di guida in un momento storico molto importante per il Paese e per la Sicilia.
Certamente il debito dell'Ateneo nei suoi confronti è grande proprio per la reputazione che egli ha saputo creare per la nostra Università, negli ambienti accademici e della ricerca scientifica del Paese e dell'Europa. Ma anche per il suo contributo al dibattito politico e culturale con riferimento ai temi dello sviluppo del Mezzogiorno e della Sicilia, che ha sempre reso viva la presenza dell'Ateneo a Catania e in Sicilia, lasciando a tutti noi una testimonianza di come il rigore scientifico che deve caratterizzare l'opera di ogni studioso possa coniugarsi con l'impegno civile. Egli stesso, infatti, scrive: "Ho vissuto molte stagioni, e ho cercato di trarre da ognuna temi che mi dessero accesso al mutato clima e stile: mi sono formato nella storiografia dell'impegno, e ancora oggi considero il lavoro storico un impegno civile".

In un momento, come quello attuale, nel quale il dibattito politico e scientifico sul Mezzogiorno dimostra, assai sovente, di non essere all'altezza della drammaticità e dell'urgenza dei problemi, la lezione dello storico, in molti casi "fuori dal coro" (come egli stesso si definiva), resta e sarà in futuro un punto di riferimento; in particolare la sua polemica spesso sferzante nei confronti delle classi dirigenti, da cui tutti abbiamo molto da imparare.  "La misura del basso livello del ceto politico meridionale - osserva in un saggio dedicato all'analisi dell'insufficienza delle politiche di sviluppo negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso - è data dal fallimento dell'industrializzazione, dalla povertà della mediazione tra gli interessi regionali del Sud, ora identificati attraverso l'istituto nuovo della regione a statuto ordinario, e dal credito accordato al meridionalismo piagnone".  Il suo sforzo fu soprattutto quello di spingere una nuova generazione di giovani storici a confrontarsi con i problemi della Sicilia e del Mezzogiorno liberandosi dalla visione ereditata da una lunga tradizione di deprecazione meridionalistica.

Giuseppe Giarrizzo auspicava la riscoperta di un "Mezzogiorno senza meridionalismo", come recita il titolo di una sua raccolta di scritti: una linea scomoda, spesso polemica; ma portatrice di analisi lucide e innovative.
Pari gratitudine gli dobbiamo per la modestia, la perseveranza e l'investimento di "lunga durata" mediante il quale è riuscito a regalare a Catania, prima ancora che alla sua Università, grazie anche al lavoro di Giancarlo De Carlo e di Antonino Leonardi, la grande fabbrica del restauro dell'antico Monastero, un altro dei gioielli che, insieme al suo contributo intellettuale, viene trasferito alle giovani generazioni. La sua passione per il Monastero ha, probabilmente, eguagliato quella per i suoi studi. Ricordo, infatti, che qualche tempo dopo il mio insediamento ha chiesto di incontrarmi proprio per parlarmi e "raccomandarmi" il Monastero e per mettere a disposizione il suo impegno per iniziative che potessero ancor più avvicinare la città a questo suo importante patrimonio. La sfida, infatti, è stata non soltanto quella di recuperare un patrimonio di grande valore storico e architettonico, ma soprattutto di affermare una concezione viva del patrimonio culturale, quella che orgogliosamente, raccogliendo il testimone di Giuseppe Giarrizzo, rivendichiamo: cioè quella di farne un luogo di grande valore e vitalità sociale, come lo è un luogo vissuto quotidianamente da migliaia di giovani per la loro formazione, senza, allo stesso tempo, essere un luogo chiuso alla città. Anzi, cercando di intrattenere con essa un'interazione viva e di condivisione della responsabilità del luogo, che lo portò a trasferirmi l'idea di costituire un'Associazione degli amici dei Benedettini, che mi impegno a realizzare nel prossimo futuro.

Certamente, l'Ateneo non tradirà l'impegno del Prof. Giarrizzo, in questo come in altri campi. Continueremo ad onorare la sua memoria, così come lui stesso ha voluto, nell'impegno per l'istruzione e la formazione delle giovani generazioni, anche attraverso l'ultima sua "creatura", la Fondazione "Giuseppe e Maria Giarrizzo", che ha lo scopo di potenziare i rapporti tra Università e scuole e di promuovere la ricerca sulla storia delle società, delle città e delle scuole in Italia e in Europa, con particolare riferimento ai secoli XIX-XX. A questa Fondazione il prof. Giarrizzo ha donato tutto il suo patrimonio librario affinché sia reso disponibile per gli studiosi presso la sede del dipartimento di Scienze umanistiche. Insieme alla sua famiglia, anche attraverso questo suo lascito, l'Università di Catania proseguirà l'impegno dell'illustre studioso.

Giuseppe Giarrizzo è stato un maestro, ha goduto del rispetto anche di chi non ne ha sempre condiviso le posizioni, scientifiche e accademiche. Per chi, come noi, fa questo mestiere di ricercatore e di docente, siano da guida le parole che egli ha scritto in un breve saggio autobiografico, ringraziando i colleghi che avevano avuto una parte nella composizione delle opere in suo onore e ritrovando "In tutti loro l'attenzione per il modo in cui ho condiviso le comuni passioni delle tre-quattro generazioni che ho conosciuto e praticato, del senso drammatico, tragico a tratti del vivere che nella verità ricercata e raggiunta trova solo momentaneo riposo - se il dubbio tenace vien riproposto dalle tensioni dell'agire, dalle perplessità delle scelte di ogni giorno. Scelsi più di mezzo secolo fa il mestiere di storico. Non mi sono ancora pentito di quella scelta".