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Atenei

Università, la sfida del riassetto organizzativo

Seminario sul rapporto Unires-Crui promosso dal dottorato di ricerca in Economia pubblica (Demq)

 
 
29 marzo 2011
di Giuseppe Melchiorri
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La nuova università? Non esiste un "format Gelmini", ma entro l'anno in corso gli atenei dovranno interamente riorganizzarsi e dotarsi di una nuova governance e di un'articolazione più funzionale, traendo spunto da esempi esistenti e sperimentazioni in corso, anche all'estero. Del futuro delle università italiane nell'era della legge 240, la cosiddetta riforma Gelmini, si è parlato oggi, nell'aula magna del Palazzo centrale dell'Università di Catania, in un incontro proposto nell'ambito delle attività del dottorato di ricerca in Economia pubblica del dipartimento di Economia e Metodi quantitativi (Demq) dell'Ateneo catanese. 

«Con questo incontro - ha affermato il prof. Pignataro, ordinario di Scienza delle Finanze e promotore dell'iniziativa - abbiamo cercato di dare un contributo al dibattito sulla riforma dello statuto e sul nuovo assetto della nostra università, dato che la legge 240 non propone un modello omogeneo e obbligatorio a cui adeguarsi. In questo senso, il rapporto dell'Unires e della Fondazione Crui che è stato presentato oggi può aiutarci molto: ci permette, infatti, di capire come gli atenei di diversi Stati europei stanno affrontando tematiche centrali come i nuovi organi di governo universitari, la valutazione della didattica e della ricerca, e il rapporto tra le strutture di base e quelle intermedie, che corrispondono rispettivamente ai nostri attuali dipartimenti e facoltà».

Al seminario hanno preso parte il rettore Antonino Recca, il coordinatore del dottorato in Economia pubblica, Isidoro Mazza, lo stesso prof. Pignataro, il prof. Massimo Marrelli, rettore dell'Università Federico II di Napoli, e il commissario dell'Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur), la prof.ssa Fiorella Kostoris. La presentazione del rapporto di ricerca Unires-Crui è stata invece affidata ad uno dei due curatori, il prof. Marino Regini, prorettore dell'Università di Milano e ordinario del dipartimento di Studi del lavoro e del welfare, che ha approfondito, in modo comparato, le modalità mediante le quali le istituzioni universitarie di quattro Paesi europei - Inghilterra, Francia, Germania e Olanda - organizzano la propria struttura interna (facoltà e dipartimenti) relativamente alle funzioni basilari di ricerca e didattica.

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«Il testo del ddl Gelmini - ha affermato il prof. Regini - prospetta un totale riassetto delle strutture di base e delle loro relazioni anche se, correttamente, non propone un modello omogeneo e obbligatorio. Non si tratta, quindi, di una legge dirigista, ma al contrario nell'ambito della loro autonomia lascia agli atenei una grande libertà di scelta che mi auguro sappiano sfruttare».

Entrando poi nel merito dei risultati emersi dal rapporto, Regini ha spiegato che «sono state prese in esame, attraverso una serie di interviste, due istituzioni universitarie per ogni Paese: Manchester e Leicester in Inghilterra, Amsterdam e Twente in Olanda, Monaco e Kassel in Germania e Strasburgo e Marsiglia in Francia. Sono emersi diversi modelli di gestione e di organizzazione di istruzione universitaria: il modello anglosassone, ad esempio, è caratterizzato da una grande autonomia istituzionale e da una certa flessibilità nella gestione della didattica. Olanda e Germania rappresentano invece quel modello continentale caratterizzato dalla rilevanza del ruolo dello Stato, mentre la Francia è un modello molto complesso, quasi sui-generis, perché, pur appartenendo al modello continentale, ha avuto un percorso storico peculiare».

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«La Legge Gelmini - ha poi sottolineato il prof. Marrelli - rappresenta solo il primo tassello di una riforma che prevederà diversi regolamenti e decreti attuativi. Si tratta quindi solo di una cornice generale all'interno della quale le università dovranno essere brave a muoversi. Non so quale tra i modelli analizzati dal rapporto Unires sia più adatto al nostro Paese: credo che non esistano modelli giusti o sbagliati a priori, dipenderà molto dai singoli atenei».

La prof.ssa Kostoris, infine, ha affrontato il delicato tema della valutazione della ricerca e della didattica, spiegando quali sono le funzioni dell'Anvur e proponendo un nuovo metodo di valutazione della ricerca scientifica: «Credo - ha infatti sottolineato Kostoris - che il modo migliore per mettere in atto una corretta valutazione della ricerca sia utilizzare il metodo del "peer review" (revisione paritaria), che indica la procedura di selezione degli articoli o dei progetti di ricerca effettuata attraverso una valutazione eseguita da specialisti del settore per verificarne la validità scientifica, insieme a quello degli indicatori bibliometrici, che misurano la distribuzione della produzione scientifica e il suo impatto».