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Notizie
Lions Catania

Fuga dei cervelli, il 73% dei ricercatori italiani all'estero non intende tornare

Presentati i risultati di una ricerca scientifica a supporto delle politiche pubbliche

 
 
26 febbraio 2011
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Più del 73% dei ricercatori italiani all'estero di età compresa fra i 25 e i 40 anni, su un campione di 955 che hanno risposto ad uno specifico questionario, non hanno alcuna intenzione di ritornare in Italia. Il 27% di loro tornerebbe, soltanto a determinate condizioni: ricongiunzione e valorizzazione della carriera acquisita all'estero, maggiori redditi, migliore gestione delle risorse destinate alla ricerca, rapporti più stretti tra università ed impresa.
Chi rimane in Italia, invece, sta a guardare, sperando che, almeno dall'ultima riforma universitaria, scaturiscano motivi validi e concreti per rimanere ancora a fare ricerca in Italia: magari, mettendo in campo strumenti capaci di generare "attrattività", quali quelli già presenti all'estero, dopo che numerosi provvedimenti legislativi precedenti per incentivare il rientro si sono dimostrati assolutamente fallimentari.

Questo è soltanto uno dei significativi risultati emersi da una ricerca presentata nel corso del convegno dal titolo "Academic brain drain: due facce della stessa medaglia. Risultati della ricerca scientifica a supporto delle politiche pubbliche", organizzato dai 13 Lions clubs della V Circoscrizione del distretto 108YB Sicilia, sotto la presidenza del prof. Benedetto Torrisi, che si è svolto questa mattina nell'aula magna del Palazzo Centrale dell'Università di Catania.
"L'obiettivo di questa ricerca - ha spiegato il prof. Torrisi, ricercatore in Statistica economica nell'Università di Catania e docente di Controllo statistico della qualità, responsabile dei due progetti di ricerca, condotti insieme con i docenti Giuseppe Santisi e Simona Monteleone - è quello di aprire una finestra di informazione su una tematica attuale e di particolare interesse per la Nazione, sulla quale i Lions e la comunità scientifica si sono voluti concentrare attraverso le relazioni e le testimonianze di addetti ai lavori".
"Se è vero che ci riempie di orgoglio che i giovani, laureatisi qui da noi, siano apprezzati all'estero - ha osservato il prorettore Maria Luisa Carnazza -, è altrettanto vero che dobbiamo fare il massimo affinché possano avere le stesse opportunità nel nostro Paese e nelle nostre strutture di ricerca". "Non dimentichiamoci - ha aggiunto il presidente del Club coordinatore Catania Nord, ing. Alfredo Calì - che questi 'cervelli' arricchiscono gli altri Paesi che li accolgono e, in fin dei conti, impoveriscono il nostro". Per il preside di Medicina Francesco Basile, "i criteri di meritocrazia, trasparenza, e soprattutto la possibilità di impiegare fondi provenienti da privati interessati ad investire nella ricerca varati dalla riforma Gelmini potrebbero essere utili ai fini dell'eliminazione del precariato". Ma certo, occorrerà attendere che la riforma entri a regime.

La ricerca "Italian researchers abroad", condotta fra un migliaio di ricercatori di tutti i settori disciplinari e professionali impiegati per la maggior parte nel settore della ricerca pubblica di paesi come Stati Uniti, Olanda, Germania, Francia, Spagna e Inghilterra, rivela che i "cervelli in fuga" italiani ("un censimento attendibile tuttora non esiste - ha ricordato Sergio Nava, conduttore della rubrica "Giovani Talenti" di Radio 24 - anche se si stima che siano tra i 40 e i 50 mila") vivono all'estero in uno stato di benessere sociale e lavorativo molto soddisfacente e sono molto critici verso il Paese d'origine.

Intorno al 90% sono coloro che ritengono "non meritocratico" l'accesso ai finanziamenti per la ricerca in Italia, sia per coloro che hanno avuto esperienze lavorative che non. La quasi totalità delle motivazioni che spingono a lasciare l'Italia (il 95,7%) sono legate alle opportunità occupazionali, seguite dal prestigio dell'istituzione ospitante, dall'innovazione delle tematiche di ricerca, e da vari motivi economici. I fattori che invece attraggono ricercatori all'estero sono da ricercare prevalentemente nell'efficace organizzazione del lavoro, nell'efficienza dei luoghi di lavoro, nelle politiche a supporto della ricerca dei Paesi ospitanti e nelle prospettive di carriera. Per tali indicazioni la propensione a tornare in Italia risulta scarsa se non in alcuni casi nulla.

L'"altra faccia della medaglia" sono coloro che rimangono in Italia. Su un campione di 3575 soggetti impegnati in attività di ricerca, sia strutturati che precari, è emerso che la maggiore propensione ad emigrare è legate alle fasce basse di età (40% per la classe di età tra i 25 ed i 30 anni). Più cresce l'età, dunque, più si riduce la propensione ad emigrare. Tra i motivi che scoraggiano la migrazione all'estero, si conferma l'attaccamento alla famiglia per l'80% degli intervistati, seguita dai rapporti sociali ed infine dall'adattamento al sistema universitario nazionale. Ciò che li tenterebbe ad andar via, per l'83%, è la maggiore valorizzazione delle proprie competenze, seguita dai maggiori redditi, dalle opportunità occupazionali, o il quotidiano e insopportabile "peso" dell'eccessiva e farraginosa burocrazia italiana (per il 42%).

Inoltre, a fronte di elevate percezioni sul benessere organizzativo registrate all'estero, traspare dai risultati la condizione negativa delle percezioni registrate in Italia.  Solo il 14% ritiene di vivere in un ambiente lavorativo con una alta percezione del benessere organizzativo, a fronte del 90% registrato all'estero. "Se chiediamo oggi ai ricercatori italiani che lavorano in Italia - prosegue il prof. Torrisi - quale sia la loro propensione ad andar via, la risposta è comunque prudente. Forse si è in attesa dei risvolti della recente riforma del sistema universitario? Forse la congiuntura economica internazionale sfavorevole? Un fatto sembra certo: dai risultati emerge che il capitale umano impegnato nella ricerca in Italia, se va via non ritorna; se, invece, sceglie di rimanere si attende tempi migliori!".

La giornata si è conclusa con gli interventi del delegato del Governatore Lions alle problematiche interenti l'integrazione, l'avv. Giovanni Altavilla e del past presidente del Consiglio dei Governatori avv. Salvatore Giacona.