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Dalle retoriche del Risorgimento all'immaginario romanzesco

Etnafest 2010, terza giornata del convegno internazionale su l'Unità d'Italia e il Verismo

 
 
15 dicembre 2010
di I-Press
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Un Giovanni Verga ormai vecchio, seduto in via Etnea, la figura austera, granitica, silenziosa, con l'immancabile bastone e lo sguardo freddo di chi ha visto e descritto la sofferenza degli umili. È anche con quest'ultimo profilo del narratore etneo, quasi da sfinge, che i catanesi hanno fatto i conti per decenni, guardandolo con rispetto e discrezione.

È questo stesso Verga che un altro siciliano illustre, Vitaliano Brancati, ha cercato di decifrare in un articolo apparso su "Il Mondo": da un lato la pietà profonda per i vinti, pronta a sfociare in rabbia; dall'altro l'accettazione della vita così com'è, crudelmente darwiniana. Fanno riflettere le immagini descritte da Andrea Manganaro dell'Università di Catania nel suo intervento "Verga politico tra Bottai e Gramsci", alla IV sessione di lavori dei "Percorsi verghiani" di Etnafest - la rassegna voluta dal presidente Giuseppe Castiglione - oggi ai Benedettini di Catania arricchiti dalla presenza di studiosi internazionali, invitati dalla Provincia regionale di Catania e dalla Fondazione Verga a leggere l'Unità d'Italia dalle pagine dei veristi.

Manganaro si è spinto oltre, unico a rispolverare Verga con un'attenta sospensione dell'Autore catanese tra le interpretazioni strumentalizzate dal fascismo negli scritti del ministro dell'educazione popolare Giuseppe Bottai; e l'intellettuale marxista privato della libertà da quello stesso fascismo, Antonio Gramsci, che di critica letteraria si occupò dal carcere.

Attorno alle retoriche del Risorgimento, all'immaginario romanzesco dei veristi, alla frammentarietà del processo storico ha ruotato infatti la nuova giornata dei "Percorsi verghiani". Il modo migliore per rispettare una cosa cara, è tenerla al di fuori della mischia, in un silenzio rispettoso: questa una delle direttrici contenute nei registri stilistici di De Roberto riportati da Giovanni Maffei, studioso della Federico II di Napoli: «De Roberto ha quasi fin troppo pudore a parlare di Risorgimento nelle sue opere - ha affermato - per lui la parola risorgimentale è casta, il mito di Garibaldi è un miraggio che svanisce in fretta».

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Secondo Denis Ferraris, docente dell'Université de Paris III - Sorbonne Nouvelle, invece, «De Roberto propone una descrizione attenta della vita provinciale siciliana, quasi fosse un Balzac al di qua dello Stretto, anche se lo scrittore nostrano non ha certo inventato l'arrivismo in letteratura, come può far credere Consalvo Uzeda (tra i pilastri del romanzo "I Vicerè") o gran parte della classe politica post-unitaria. Da giovane libertino, donnaiolo e viaggiatore, Consalvo si trasforma nell'uomo nuovo, che tende ad "arrivare": deputato, ministro, eccellenza, presidente del consiglio, Vicerè, insomma, in un viaggio che è innanzitutto psicologico, con una disumanità solo apparente del personaggio».

Affascinanti le tesi proposte da Rosalba Galvagno, dell'Università di Catania, che già in passato ha studiato accostamenti interessanti come Teresa Uzeda ed Emma Bovary. Come pure l'intervento di Annamaria Pagliaro dalla Monash University Melbourne, Australia, soffermatasi sulla borghesia emergente rispetto ai "mostri" uzediani.

E dopo gli interventi su Garibaldi alla V sessione del pomeriggio, con Verdirame, Gioviale, Nicastro, Vacante, Riccardi, domani, dopo la successione di interventi a partire dalle ore 9,00 sul parlato regionale e nazionale di Verga, si passa alle rappresentazioni cinematografiche con la proiezione, alle 17,30, de "La terra trema" di Luchino Visconti, nella sessione presieduta da Antonio Di Grado.