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Se l'architettura potesse parlare...

Il film di Wim Wenders alla Biennale di Architettura di Venezia

 
 
04 ottobre 2010
di Teresita Scalco
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VENEZIA. Schiva, ma giocosa, semplice, ma complessa, Kazuyo Sejima, curatrice della 12 Mostra internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, ha saputo regalarci "People meet in architecture", un'esposizione di rara poesia in grado di stimolare, con leggerezza, profonde riflessioni sull'idea di spazio e sulla consapevolezza collettiva che abbiamo di esso. La ricerca sull'architettura si appella alle pratiche artistiche, al linguaggio della musica e del cinema per meglio comprendere l'evoluzione della dimensione materiale ed astratta dello spazio, nel suo permanere e divenire.
Meglio di altri ha manifestato il dicta di Seijma il percorso allestito all'Arsenale, dove i  numerosi architetti, e non, invitati hanno interpretato il tema di questa Biennale.

Olafur Eliasson, spirali d'acqua
Olafur Eliasson, spirali d'acqua
L'artista danese Olafur Eliasson riflette sulla rappresentazione della temporalità nello spazio, mettendo in mostra spirali d'acqua, illuminate drammaticamente da luci straboscopiche, che schioccano sul pavimento ogni frazione di secondo. L'opera di Janet Cardiff è una forte esperienza sensoriale, che sottolinea l'importanza dell'acustica e del movimento nella costruzione architettonica del suono.

Da parte sua, il regista tedesco Wim Wenders nella sua lirica ed avvolgente installazione 'If building could talk' assimila ad un essere umano il Rolex Learning Center dell'Ecole Polytechnique Fédérale di Losanna, progettato proprio dallo studio SANAA di Sejima.
Gli edifici ci parlano! Ci vogliono parlare, ognuno a modo suo. Wenders guida in un'esplorazione suadente dello spazio, delle strutture dell'edificio e di come queste comunicano con i loro fruitori.

Wim Wenders, If Buildings Could Talk La Biennale Pressefoto
Wim Wenders, If Buildings Could Talk La Biennale Pressefoto
«Alcuni di loro risuonerebbero come Shakespeare. Altri parlerebbero come il Financial Times, altri ancora pregherebbero Dio o Allah. Altri bisbiglierebbero appena, altri canterebbero a voce alta le loro lodi, mentre altri mormorerebbero poche parole senza avere in effetti niente da dire. L'edificio che incontrerete è gentile e amichevole, fatto per imparare, leggere e comunicare. Le sue colline e le sue vallate sono impazienti di darvi il benvenuto, per aiutare per essere utili e per essere, nel senso migliore della parola, un luogo d'incontro».
Nella video-intervista con Hans-Ulrich Obrist lo stesso regista chiarisce la genesi del processo creativo che lo ha condotto alla realizzazione di questo film; svela Wenders: «Jean Nouvel mi ha presentato il lavoro di Sejima ed è stato amore a prima vista. Quando ho ricevuto il suo invito per questa Biennale, mi sono sentito onorato. Sono fotografo e filmmaker dei luoghi, spesso le mie storie partono proprio dal senso che hanno i luoghi per me, ma ogni storia appartiene ad un certo spazio, ed in questo caso è stato l'edificio stesso a suggerirmi la narrazione del film. Ho deciso di realizzarlo in 3D per renderlo più vivo. E' un edificio 'infinito', dato dai molteplici ingressi, con la grande qualità di farti perdere l'orientamento».

Losanna, Politecnico, Rolex Learning Center:
le curvature generano direzioni
Losanna, Politecnico, Rolex Learning Center: le curvature generano direzioni
Quel desiderio di perdersi, si traduce in una ripresa fluida e continua; l'indagine affascinante sul rapporto tra spazio e tempo è come una storia raccontata, quasi sussurrata, dalla voce femminile dolcemente vellutata di Megan Gay: «Can you hear me? Places have voices. Buildings can talk, as you can hear. No, not all of them. But some need too. Some have chosen to remain silent».

In quel silenzio, la musica di Thon Hanreich amplifica la percezione di questo spazio, dando volume a quella che, nel contesto espositivo, può essere solo un'interpretazione dell'architettura.
Proprio l'immagine(in)movimento, per dirla alla Deleuze, estrae l'essenza del luogo; per questo motivo Wenders ha scelto la nuova tecnologia digitale come strumento per enfatizzare e, quindi, rendere più efficace la comunicazione dell'esperienza diretta dell'edificio.

Senza soluzione di continuità, il film di 12 minuti ripete in loop la stessa sequenza di immagini, ma vi accosta un testo sempre diverso, offrendo così al visitatore molteplici percezioni visive. L'alternanza temporale del giorno e della notte, del movimento accelerato di alcune riprese rispetto ad altre lentissime, quasi sospese, dettano il ritmo del film e rivelano la struttura del Rolex Learning Center: quando scende la notte, il volume ondulato dell'edificio si annulla nel buio, lasciando di sé solo una sinuosa linea di luce. Ma non solo. Dall'interno, la supremazia del bianco e la trasparenza del vetro dialogano con la presenza delle persone a volte colte in controluce e ridotte a sagome, altre volte valorizzate per i loro colori, come nel caso della contessa Setsuko Kloosowska - vedova del pittore Balthus - che indossa uno splendido kimono verde smeraldo nel quale si può leggere un omaggio a 'madame Architettura" e più in generale all'arte e alla cultura nipponica.

Losanna, Politecnico, Rolex Learning Center: 
durante le riprese del filmato - La Biennale Pressefoto
Losanna, Politecnico, Rolex Learning Center: durante le riprese del filmato - La Biennale Pressefoto

L'indagine visiva di Wim Wenders su quest'edificio - inaugurato lo scorso marzo e divenuto l'emblema del Politecnico di Losanna - può essere interpretata come manifesto di questa Biennale, dove proprio un centro studi-biblioteca, da sempre crocevia di destini e di saperi, sembra essere il luogo deputato alla nascita di nuove idee per il futuro.
Grazie alla sapiente regia di Kazuyo Sejima e alle fitte collaborazioni trasversali ed interdisciplinari, questa Biennale apparentemente eterea sa ampliare i punti di vista sull'architettura. «Il mio vero sogno è che la gente arrivi ad avere la possibilità di riflettere sull'architettura (o sull'arte), la possibilità di trarne una carica di energia, anche se non è immediatamente in grado di coglierne il significato. Vorrei che le persone ricevessero da questa mostra una grande carica di energia per riuscire a sognare il più possibile», ha dichiarato Seijma in un'intervista.

Ed è proprio questo che è riuscita a fare: stimolare e (si auspica) seminare una nuova sensibilità, un nuovo modo di percepire la realtà per costruire nuovi mondi. Quali il "sogno" e le trasparenze di Wenders ci suggeriscono.

"People meeting in architecture"
12^ Mostra Internazionale di Architettura, La Biennale,
Venezia, fino al 21 novembre 2010
www.labiennale.org

* L'autrice lavora all'Archivio Progetti dello IUAV di Venezia ed è membro del Comitato Tecnico Scientifico e Organizzativo di AAA/Italia (Associazione Archivi di Architettura contemporanea).