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Come cambia il lavoro nella pubblica amministrazione dopo la 'riforma Brunetta'

Convegno e tavola rotonda ai Benedettini

 
 
27 febbraio 2010
di Giuseppe Melchiorri
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Le pubbliche amministrazioni dopo il decreto legislativo 150/09, la cosiddetta "riforma Brunetta". E' stato questo l'argomento del convegno che si è tenuto venerdì scorso nell'auditorium dei Benedettini, promosso dalla facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Catania, dal dipartimento Seminario giuridico e dal Centro studi di Diritto del lavoro "Massimo D'Antona", dal titolo "Amministrazione e amministrati: come cambiano le regole del lavoro pubblico con la riforma Brunetta".

Il meeting è stato aperto dagli indirizzi di saluto del prorettore dell'Ateneo catanese Maria Luisa Carnazza e del preside di Giurisprudenza Vincenzo Di Cataldo, che hanno sottolineato la complessità del provvedimento legislativo e l'esigenza di rispondere ai quesiti che esso lascia ancora aperti, già a partire dalla prossima contrattazione collettiva. «L'obiettivo principale di questo incontro - ha spiegato il prof. Sebastiano Bruno Caruso, ordinario di Diritto del lavoro - è di mettere a fuoco le questioni più rilevanti di questa riforma, in modo da sciogliere i nodi interpretativi che essa pone». Entrando più nello specifico, il prof. Caruso ha parlato di come il legislatore abbia legiferato ispirandosi a «quattro assiomi ideologici che hanno costituito delle vere e proprie linee guida della riforma: le pubbliche amministrazioni devono essere gestite come aziende private; la legge ha funzione pedagogica e non solo regolativa, soprattutto nei confronti di dipendenti e dirigenti riottosi alla cultura aziendalistica; la meritocrazia è un valore in sé da imporre dall'alto, mentre la contrattazione collettiva è un male in sé». «La caratteristica fondamentale di questa legge - ha concluso Caruso - è proprio l'idiosincrasia del legislatore nei confronti del sindacato, la cui sfera d'azione è fortemente ridotta».


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La dott.ssa Gabriella Nicosia, ricercatrice nella facoltà, ha posto l'accento sull'effetto che la riforma avrà sui vertici delle pubbliche amministrazioni: «Con questa legge il dirigente assume una doppia anima. E' controllore, ma è anche controllato: deve valutare, ma deve essere anche valutato, sanzionare ma può essere anche sanzionato. Il decreto 150/09 cerca di rendere efficace quello che durante il secondo tentativo di 'privatizzazione' era un anello debole: cerca cioè di migliorare gli strumenti di monitoraggio della dirigenza. In questo modo il dirigente stesso si sentirà maggiormente responsabilizzato». La ricercatrice Loredana Zappalà ha invece approfondito i compiti che i soggetti interessati hanno nella valutazione della performance. «Il cuore della riforma riguarda l'istituzione degli organismi indipendenti di valutazione, che hanno il compito di valutare l'attività di tutti i dipendenti. La legge istituisce anche una "Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche". In questo modo il processo di valutazione sarà molto standardizzato, anche se i singoli enti avranno la possibilità di scegliere il proprio sistema di valutazione».

La prof.ssa Anna Alaimo, ordinario di Diritto del lavoro, è invece intervenuta su "Contrattazione collettiva e trattamento economico dei dipendenti pubblici tra vincoli procedurali, finanziari e di scopo". «Una sostanziale innovazione riguarda il ridimensionamento della contrattazione. E' qui che sta l'ambiguità della legge; da un lato ci sono alcuni fili che sembrano correre su binari già tracciati dai precedenti tentativi di privatizzazione, dall'altro lato il ridimensionamento della contrattazione collettiva rappresenta una rottura con il passato. Ciò vale soprattutto per la contrattazione integrativa, vista dal legislatore non come un'opportunità, ma come un centro di spesa da controllare».

La mattinata si è conclusa con l'intervento del prof. Antonino Lo Faro: «Nella volontà del ministro Brunetta - ha spiegato il docente - i pubblici impiegati e i dirigenti dovrebbero essere spinti a lavorare di più e meglio. Ma c'è una contraddizione di fondo: il legislatore vuole aziendalizzare le pubbliche amministrazioni, ma impone dei meccanismi valutativi maggiori e molto più invasivi rispetto alle aziende private. Il rischio è che si vada verso una eccessiva burocratizzazione».

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Nel pomeriggio, dopo gli interventi dell'avvocatessa Concetta Currao del centro studi "Massimo D'Antona" ("Lo sguardo severo del legislatore: le nuove regole del potere disciplinare") e del prof. Giancarlo Ricci ("L'applicazione della riforma negli enti territoriali e nelle amministrazioni autonome") si è svolta una tavola rotonda moderata dal prof. Caruso, che ha visto il confronto fra il direttore amministrativo dell'Ateneo catanese, prof. Lucio Maggio, e i direttori generali del Comune di Caltagirone, Maria Angela Caponetti, della Provincia di Catania, Carmen Madonia, e dell'Azienda ospedaliera Cannizzaro di Catania, Francesco Poli.

«Questa riforma - ha affermato la dott.ssa Caponetti - rappresenta una sfida soprattutto per i Comuni, che sono gli enti più vicini ai cittadini. E' una riforma, a mio avviso, positiva, che rafforza le posizioni di vertice e che dà all'intera organizzazione un nuovo slancio all'innovazione. Con questa legge tutti gli attori sono più responsabilizzati. Inoltre, sono finalmente chiare le regole contro i cosiddetti 'fannulloni'. Avendo regole da seguire specifiche sarà più facile gestire il problema».

Meno ottimista il prof. Maggio che ha definito la riforma «un passo indietro per l'Università». «In un sistema dove mancano regole certe e chiare - ha sottolineato - sicuramente la riforma può avere un impatto positivo. Ma non è così per gli atenei, che hanno già dei loro regolamenti interni specifici. Le organizzazioni universitarie sono toccate solo marginalmente dalle leggi dello Stato. La valutazione della performance e il controllo sui nullafacenti già vengono portati avanti indipendentemente dalla riforma Brunetta».

«Anche la Provincia regionale - ha affermato la dott.ssa Madonia - aveva già gli strumenti adatti per portare avanti una politica di miglioramento dell'efficienza amministrativa ma, a sentire le critiche che da ogni parte piovevano addosso sulle pubbliche amministrazioni, evidentemente non li sfruttavamo al meglio. Questa riforma, quindi, ci può aiutare perché impone la realizzazione di quelle attività di controllo, senza le quali non si potrà mai puntare al miglioramento dell'efficienza amministrativa».

Il dott. Poli ha infine affermato: «Il mondo della sanità da sempre è stato la cavia dei modelli privatistici delle amministrazioni pubbliche. Da anni ci chiamiamo, infatti, aziende ospedaliere. Il nostro problema è che spesso siamo valutati in base al numero di posti letto disponibili, quando in realtà dovremmo essere considerati per il valore del personale. Non può e non deve essere una legge a imporci i criteri per la valutazione, anche perché, almeno nel caso nostro, non avrebbe senso valutare il singolo lavoratore, che è integrato completamente e che rappresenta un tutt'uno con l'azienda».